Anna Stepanovna Politkovskaya ________________________ А́нна Степа́новна Политко́вская

LA SPORCA GUERRA DIMENTICATA di Anna Politkovskaya
Tre anni fa il presidente russo Vladimir Putin andò al potere lanciando una guerra di aggressione in Cecenia a cui, ancora oggi, la Russia si riferisce come a una “lotta contro il terrorismo”. La guerra dimenticata, continua, con violenze inenarrabili da parte russa e con 4.000 soldati di Mosca caduti in campo a tutt’oggi. Perché? In Russia, la differenza esistente tra le statistiche ufficiali e la vita reale è grande almeno quanto quella sussistente tra Putin e le libertà democratiche. E’ bene tener conto di ciò, allorché si consideri Putin un alleato nella famigerata “guerra contro il terrorismo”. La differenza è evidente per tutti coloro i quali si chiedano quale sia la realtà della Cecenia oggi.
La risposta è che la Cecenia è un’enclave isolata all’interno della Russia, un ghetto del 21esimo secolo. Nessuno vi può liberamente entrare o uscire – né uomini, né donne o bambini, né vecchi. I checkpoint militari sono ovunque. Per attraversare questi checkpoint, i civili devono inserire una banconota da 10 rubli nel passaporto. Senza questa estorsione, qualunque soldato è libero di spararti alla schiena o di arrestarti. In entrambi i casi, le conseguenze sono fatali. La caratteristica più sconvolgente della vita in Cecenia, oggi, è l’incontrollabile bufera di pallottole e missili tutte intorno. Nessuno è al sicuro. Qualsiasi discussione sui diritti umani è semplicemente inutile, perché in Cecenia non esiste alcun diritto umano. In questo dramma, il ruolo principale spetta ai militari, mentre la popolazione civile è una semplice comparsa. Per quanto riguarda i combattenti ceceni, invece, essi forniscono il necessario background affinché l’occupazione della Cecenia possa essere definita “una piccola, sporca guerra”. Dall’inizio dell’invasione russa in Cecenia, oltre ai morti, ai feriti, ai mutilati, circa 2.000 civili sono “spariti”, durante retate in città e villaggi, e non si hanno più notizie, né si sa se siano morti o vivi. Le corti – che esistono solo nominalmente – non fanno nulla. La polizia è molto peggiore dei militari. In effetti, le peggiori camere di tortura a Grozny sono gli uffici del Ministro degli interni e le stazioni di polizia. Il governo filo-russo imposto durante la guerra non funziona, ospedali e scuole sono distrutti, l’economia è al collasso, il sistema bancario inesistente e soprattutto, la cosa più incomprensibile è l’immagine del ghetto ceceno.
Cosa vuole Putin in Cecenia? Al posto della Cecenia? Dai ceceni? Cosa, soprattutto considerando che nessuno degli obiettivi che si era posto, dalla conquista della Cecenia alla maggiore sicurezza per i cittadini russi, è stato raggiunto? I civili non si sentono più sicuri, poiché la resistenza cecena si rafforza e cerca maggior vendetta dopo ogni assassinio subito. I discorsi pubblici di Putin sono infarciti di proclami sulla grandezza della potenza russa, e il suo pubblico ci crede. In cosa, specificamente, si manifesta lo status di grande potenza della Russia? Quali aspetti della vita in Russia dimostrano che c’e’ qualcosa di cui andare fieri oggi?
La Russia di Putin non ha alcun aspetto positivo. L’economia è nelle mani di pochi oligarchi. La corruzione è rampante. La sicurezza sociale è inesistente. In effetti, non c’e’ nulla su cui costruire una politica interna. Ma, ciò nonostante, il popolo russo vuole sentirsi dire che vive in uno stato grande e importante. La Cecenia fornisce il lievito per la crescita di una mentalità di super-potenza, la base della moralità dello stato di Putin. Per questa ragione, Putin consente all’esercito di macchiarsi, quotidianamente, di crimini e atrocità. In effetti, fornendo la base ideologica alla sua lotta contro i ceceni, Putin incoraggia i militari a compiere azioni irresponsabilmente criminali in Cecenia. Il Putinismo è ugualmente apprezzato da tutti coloro che, in America ed Europa, hanno caldeggiato e accolto con favore l’abilita’ del presidente russo di tenere il suo paese sotto controllo. Tra tutti i premier e i presidenti occidentali, non ce n’e’ uno solo che voglia disturbare l’alveare russo sollevando il problema della catastrofica situazione in Cecenia. Così, America, Europa e Putin, tutti felici e contenti l’uno dell’altro, affondano nel fango di compromessi che appare un tradimento. Questo tradimento diventerà sempre più profondo, a mano a mano che Bush e Putin si sosterranno reciprocamente nelle loro rispettive campagne contro il terrorismo internazionale. Nei suoi incontri con Putin, Bush dovrebbe ricordare tutto ciò: i compromessi continui non faranno altro che rafforzare il Putinismo, e chiuderanno sempre più i ceceni nella trappola di questo ghetto del 21esimo secolo.

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TRISTI ANNIVERSARI di Ninni Raimondi
La guerra russo-cecena è uno dei conflitti più lunghi e pervasivi della storia. Dura da quasi duecento anni, lasciando dietro di sé una scia storica di odio reciproco e frequenti episodi di ostilità da entrambe le parti. E’ ormai un decennio dal momento in cui la piccola repubblica cercò di dichiarare la propria indipendenza dalla Federazione Russa. Per gran parte di questi anni, le truppe russe, hanno martoriato la Cecenia, lanciando una guerra brutale e indiscriminata contro la sua gente. Da allora, sono stati uccisi circa 100.000 ceceni (su una popolazione totale di 1,2 milioni) e altrettanti sono i profughi. Nonostante la massiccia perdita di vite umane da parte cecena e le politiche genocide dei successivi governi russi, il conflitto in Cecenia è stato pressoché’ dimenticato, ricevendo pochissime analisi rigorose e sistematiche. Per comprendere le ragioni di questo conflitto, invece, bisogna considerare la geopolitica di questa travagliata area, che include considerazioni riguardo alle dispute territoriali, alla lotta per le risorse vitali, i dilemmi militari e di sicurezza e considerazioni. Il conflitto in Cecenia è il risultato di due fattori: le animosità radicate in rivendicazioni storiche, etniche, religiose e territoriali, e la lotta per lo spazio geostrategico e le risorse, come il petrolio e gli oleodotti connessi al suo trasporto.
Gli attacchi dell’11 settembre e la successiva “lotta al terrorismo”, lanciata dagli USA, hanno dato nuova luce al conflitto in corso in Cecenia. Vladimir Putin ha giustificato le brutalità commesse dai russi in Cecenia usando le stesse parole che furono di Bush, dichiarando la sua “una guerra contro il terrorismo in una regione senza legge, che potrebbe diventare un porto franco per al-Qaida e i suoi simpatizzanti, i quali hanno già combattuto al fianco dei ceceni”. In effetti, già a partire dalla guerra scatenata dagli USA contro l’Afghanistan, c’ é stato un qui pro quo tra le amministrazioni americana e russa. I russi hanno fornito supporto d’intelligence alle truppe americane in Afghanistan e gli USA hanno ricambiato non vedendo la brutale occupazione russa della Cecenia. Inoltre, unità speciali americane, tuttora, stanno addestrando le truppe georgiane dallo scorso maggio affinché queste riescano a prendere controllo del Pankisi Gorge, una verde valle a nord di Tbilisi, rifugio di combattenti ceceni e dei loro simpatizzanti. I ceceni, in risposta alle atrocità russe, hanno lanciato una serie di operazioni kamikaze, la più cruenta delle quali portò all’abbattimento di un elicottero russo.

 Nel 1940 e nel 1942, le forze aeree sovietiche bombardarono la Cecenia e l’Ingushetia per reprimere le insurrezioni popolari. Nel febbraio del 1944, l’intera popolazione Cecena e Ingush fu deportata col pretesto di aver collaborato col nemico durante la Seconda Guerra mondiale. Un’accusa assurda, poiché i tedeschi non erano mai arrivati in quei territori. Alcuni furono mandati nei campi della morte in Siberia, mentre, la maggioranza, nelle gelide lande del Kazakistan. Circa un terzo dei 618,000 deportati morì durante il trasporto a causa di epidemie di tifo. Alcune atrocità hanno lasciato un segno profondo: a Khaibakh, isolata tra le montagne, 700 persone troppo anziane o troppo malate per essere deportate, o semplicemente residenti in villaggi troppo isolati per la deportazione furono lasciate morire. Nonostante le numerose misure genocide adottate dai russi, i ceceni sono rimasti l’unico popolo caucasico a essersi rifiutato di accettare la psicologia della sottomissione.
Il 10 dicembre 1994, il presidente russo Boris Eltsin, inviò le truppe a restaurare l’ordine nella repubblica cecena. I militari adottarono, la dottrina bellica della II Guerra Mondiale, bombardando l’area a tappeto. Preso il controllo della Cecenia, organizzarono l’amministrazione del territorio in maniera gerarchica, enfatizzando l’occupazione della sua capitale, Grozny. I ceceni resistettero con piccoli gruppi di combattenti ben equipaggiati e riuscirono ad ottenere stupefacenti risultati di disturbo all’avanzata delle colonne russe. La lotta del 1994-96 fu l’ultima nella serie di lotte anti-coloniali cecene. La vittoria degli indipendentisti fu tanto più stupefacente se si considera il fatto che la Cecenia vinse senza l’ausilio di un vero stato né di un’organizzazione politica o militare formale. Con il pretesto di una misteriosa ondata di sanguinosi attentati nelle città russe, di cui la Cecenia ha sempre negato la responsabilità, la Russia invase nuovamente la Cecenia. Finora, il governo russo non è stato in grado di produrre alcuna prova che colleghi quegli attentati ai ribelli ceceni.

Il recente conflitto maschera una lotta tra le grandi potenze per il controllo delle vitali risorse petrolifere dell’area. Tra le maggiori preoccupazioni russe e occidentali è l’oleodotto che, dai campi petroliferi dell’Azerbaijan attraverso Dagestan e Cecenia, dovrebbe arrivare al porto russo di Novorossisk. L’oleodotto Baku-Novorossisk è diventato ancora più importante dopo la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi sulle rive del Caspio. Si ritiene che tali giacimenti contengano circa 3,5 miliardi di barili di petrolio. Il controllo, l’accesso e il trasporto sono di grande importanza per Mosca, Ankara e Washington. A tale riguardo è da notare che, l’11 settembre, non ha mutato alcune caratteristiche nel nuovo ordine mondiale, formatosi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La fine della guerra fredda ha fatto sorgere un’altra guerra. Un conflitto cruento per l’accaparramento delle ultime risorse energetiche del pianeta. Lo status delle superpotenze richiede, naturalmente, il controllo del petrolio a tutti i livelli: dalla scoperta alla commercializzazione. L’ American Petroleum Institute di Washington, organo delle maggiori compagnie petrolifere del paese, ha definito la regione del Caspio “l’area di maggiori risorse potenziali al di fuori del Medioriente”. Dick Cheney, vice-presidente USA, parlando del bacino del Mar Caspio nel 1998, quando ancora lavorava nell’industria petrolifera, commento’: “Non posso pensare al momento in cui quella regione emergera’, all’improvviso, per diventare cosi’ strategicamente importante quanto quella del Caspio”. Il 4 marzo 2006 il primo ministro Sergei Abramov muore in un incidente stradale a Mosca. Viene sostituito dal vice-primo ministro Ramzan Kadyrov (filo russo). Il 17 giugno 2006 le truppe russe uccidono Sadulayev e il 9 luglio 2006 Shamil Basayev, l’uomo più ricercato in Russia e leader della guerriglia cecena, nel corso di un’operazione delle forze speciali d’assalto. La maggior parte della Cecenia è, attualmente, sotto il controllo dei militari federali. Dopo il massacro di Beslan, nei media italiani, non si è più sentito parlare della causa indipendentista Cecena. Il 7 Ottobre del 2006, con quattro colpi di arma da fuoco, moriva Anna Politkovskaja (il giorno del compleanno di Vladimir Putin) che da lì a quattro giorni avrebbe pubblicato sul suo giornale “Novaja Gazeta” i risultati di una, sconvolgente, inchiesta sulle torture perpetrate in Cecenia dai Russi – ultimo reportage di una carriera giornalistica, sempre all’insegna del coraggio, della verità, della lotta per i diritti e la dignità umani, per la libertà e la democrazia. Testimone scomoda, ha vissuto sulla propria pelle e raccontato al mondo, senza mezzi termini, i lati più oscuri della Russia post sovietica; gli episodi più drammatici, dalla strage dei bambini nella scuola di Beslan, al sequestro di ostaggi al teatro Dubrovka.
Le cose, in questo momento, non sono cambiate. La gente continua ad essere perseguitata e a morire! Putin, uscito dalla porta, sta rientrando dalla finestra.

24 pensieri su “Anna Stepanovna Politkovskaya ________________________ А́нна Степа́новна Политко́вская

  1. La tristezza, anche qui, per le libertà democratiche dei singoli e dei popoli.
    Siamo copme inebriati, ubriacati dal potere e da tutto quello che il potere ci sbatte sul viso, ogni giorno.
    Val bene ricordare, caro amico, tutto quell che accadde, perché è estremamente attuale.
    Putin onnipresente come tutta la scriera della “Casta” in italia.
    Mai attualità fu più cocente e bruciante.
    Ti lascio un abbraccio e tanta stima.
    Mi ero dimenticata che la morte della brava Politkoskaja venne interpretata come un, particolare, “regalo di compleanno”!
    Il mondo deve poter ricordare.
    Sempre.

    Un abbraccio e un caro saluto per tutti.

    Marisa

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  2. Buongiorno e buona domenica Lord Ninni.
    Il ricordo di chi si batte per le libertà deve essere sempre in primo piano.
    Giusto adesso che in Russia sta succedendo tutto quello che il mondo ha condannato.
    Bello l’articolo e interessante quello che scrisse la sig.ra Politoskaia.

    (Buongiorno Sig.ra Marisa)

    Buona domenica

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  3. Una intera generazione sta leccandosi le ferite che hanno macerato questa povera umanità. Non ci sono né guadagni, né prospettive: esiste la voglia e la forza di combattere per una Giustizia Sociale vera.

    Buona domenica, caro Ninni.
    Un abbraccio e un bacio

    Sonia
    (PS: Saluto tutti)

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  4. Buona domenica, Ninni.
    Non esiste base ideologica per offendere un popolo solo perchè ti sta fra i piedi (anche in Palestina, i Sigg. Israeliani, non scherzano). Creano i muri della vergogna e ci impongono di vergognarci per sempre.
    Barriere e muri su di loro brandendo le bandiere di quanti hanno lasciato un profondo segno su questa povera terra martoriata.

    Un abbraccio e un saluto

    Spillo

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  5. Ciao luis.
    Il prezzo, sì, è stato altissimo; è stata la vendetta del male contro l’uomo.
    Mi chiedo: perché la sofferenza, per il bene di pochi, ci deve perseguitare?
    Giustizia è l’unico sentimento che ci accomuna e che trovo presso le stanze del Milord.
    Giustizia.
    Giustizia.
    Giustizia.
    Grazie Ninni Milord!!!!
    Un abbraccio caro Ninni e grazie per porre in evidenza, con intelligenza, quello che “alle nostre preoccupazioni quotidiane” ci sfugge in quanto figlio delle nostre paure.

    Un abbraccio da Imperia (belin che freddo)… e un saluto per tutti

    Francesco

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  6. Lady Marisa
    la Casta, la casta.
    Giratela come volete, sarà sempre presente. nek momento “istante” in cui, noi, permettiamo che possa essere compiuta anche una sola “virgola”, ecco che permettiamo alla casta di crescere e proliferare.
    Grazie per esserci…

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  7. Miss Eleonora
    Grazie per la Vostra gratidissima visita.
    In effetti è la ri-.pubblicazinone di un articolo che scriovemmo nel 2009.
    da allora, a quanto pare, nulla è cambiato!
    Nulla.
    Stessi problemi, stessi avvenimenti, stesse persone…
    Una buona domenica anche a Voi.
    Grazie

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  8. Sir Spillo
    una base ideologica presuppone che si possa allargare, tale base stessa, al consenso popolare. Tutti viviamo e tutti stiamo bene con noi stessi e con gli altri.
    Non mi sembra che le cose vadano “punto” nella seguente maniera.
    Grazie per esserci

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    • Tutto vero.
      (P.S. è macchinoso commentare qui. Secondo me, c’è qualche inghippo, dato che si devono effettuare – a naso – due passaggi).
      L’Unione Sovietica non era il paradiso in terra – soprattutto a causa di Stalin -, non era il paradiso dei lavoratori e, nella sostanza, aveva tradito gli ideali di partenza.
      Tuttavia, dettomi da un’amica russa, Lidia, moscovita, hostess e benestante, si stava meglio prima.
      Forse le riforme avrebbero dovuto essere più graduali. In ogni caso, Putin era il capo del KGB…
      Radiosità!

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  9. Buonasera a Voi Milord.
    Buonasera a tutti.

    Ho letto l’articolo di Anna Politkovskaya e anche il vostro, Ninni, e arrivo alla conclusione, forse banale, che tutto il mondo è paese. Cambi nome a uno stato, ma i meccanismi rimangono sempre quelli. Dittatori travestiti in modo tale da apparire “capi di stato di mentalità aperta e liberale”, ma che in fondo, rimangono usurpatori violenti, capaci, con poche astute mosse di far crollare l’intero paese e con esso la dignità di quelle persone che credevano in lui.
    Da una parte, Cattivi presidenti che fanno della democrazia un qualcosa da usurpare e violare, poveri cristi che vivono di stenti, di pallottole e di silenzi imposti.
    Con molti dei capi di stato che si vedono in giro in questo periodo, (non metto nomi perchè la lista sarebbe molto corposa e molto noiosa…) sono sicura che non riusciremo, almeno per il momento a dare forma alla democrazia-utopia. Anzi, credo che si stia tornato a grandi falcate in un passato oscurantista che doveva essere morto, sepolto e dimenticato. Bisogna essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà fisica, emotiva, economica, per amore della libertà, anche quando le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Ecco che tutto si ripete come un vecchio ritornello, stonato, ma che non smette mai di rimbalzare tra i pensieri. ” Fare qualcosa per altre persone usando i mezzi che ogni uno di noi ha”… Anna, come Voi, Ninni, usate il giornalismo per urlare al mondo le ingiustizie.

    E’ bello che Voi, Ninni, abbiate omaggiato una grande donna e giornalista come Anna, ma io, con questo commento “voglio” ricordare e omaggiare tutti quelli che sono morti nella stessa maniera della Politkovskaya.
    Dall’inizio dell’anno nel mondo sono morti 82 giornalisti.
    Un massacro continuo: i giornalisti uccisi negli ultimi anni sono stati infatti 79 nel 2010, 91 nel 2009, 67 nel 2008, 100 nel 2007, 107 nel 2006, 69 nel 2005, 89 nel 2004. Sembra un balletto di numeri, ma dietro a quei numeri, ci sono uomini e donne, giornalisti e fotografi… e ci sono famiglie. E poi negli annali del giornalismo la giornata di sangue a Mindanao (Filippine) nel novembre 2009: in un solo giorno uccisi 32 i giornalisti assassinati. “32 ANNA POLITKOVSKAIA”….qualcuno di voi, li ricorda?….

    Ecco l’articolo di allora:

    FILIPPINE-ISOLA DI MINDANAO: SALE A 30 IL NUMERO DEI GIORNALISTI UCCISI

    26.11.09 – Recuperati tutti i corpi e tutti identificati, sale a 30 il numero dei giornalisti uccisi nel massacro di Mindanao, avvenuto il 23 novembre scorso. Una data che rimarrà per sempre scolpita nella lunga e minacciosa muraglia che sta circondando in tutte le aree del mondo la piena libertà di stampa.

    Questo l’elenco dei giornalisti uccisi:

    Rey Merisco – Periodico Ini , Ernesto “Bart” Maravilla – Bombo Radyo, Lupo Lindogan – Mindanao Daily Gazette, Bienvenido Jr Lagarte – Prontiera News, Santos Gatchalian – DXGO, Jhoy Duhay – Gold Star Daily, Eugene Dohillo – UNTV, Gina Dela Cruz – Saksi News, Noel Decina – Periodico Ini, Lea Dalmacio – Socsargen News, John Caniban – Periodico Ini, Hannibal Cachuela – Punto News, Marites Cablitas – News Focus, Romeo Jimmy Cabillo – Midland Review, Andres “Andy” Teodoro – Journaliste au Central Mindanao Inqu,Ian Subang – Socsargen Today, General Santos City, Arturo Betia – Periodico Ini, Rubello Bataluna – Gold Star Daily, Napoleon Salaysay – Mindanao Gazette, Cotabato City, Alejandro “Bong” Reblando – Manila Bulletin, General Santos City, Fernando “Rani” Razon – Periodico Ini, General Santos City, Joel Parcon – Prontiera News, Koronadal City, Arriola, Mark Gilbert “Mac-Mac” – UNTV, Ronnie Perante – Gold Star Daily, Koronadal City, Araneta, Henry – Radio DZRH, Victor Nuñez – UNTV, General Santos City, Adolfo, Benjie – Gold Star Daily, Rosell Morales – News Focus, General Santos City, Marife “Neneng” Montaño – Saksi News, General Santos City, Reynaldo “Bebot” Momay – Midland Review, Tacurong City.

    Intanto, un membro del potente clan familiare, principale sospettato della strage di giornalisti e politici nell’isola di Mindanao, è stato catturato alla polizia. Andal Ampatuan jr, figlio del governatore omonimo, ha però negato, secondo la France Press, di aver organizzato il massacro costato la vita a 57 persone. Il fermo è avvenuto alcune ore dopo che erano stati arrestati almeno una ventina dei suoi sicari, che sarebbero gli autori materiali della strage. Nel corso dell’operazione, le forze si sicurezza hanno ripreso il controllo anche delle città’ che sono la roccaforte della famiglia Ampatuan e disarmato circa 200 miliziani dell’esercito privato della potente famiglia. Andan Ampatuan jr, che è anche il sindaco di Datu Unsay, e i suoi due fratelli sono stati espulsi ieri dal partito della presidente filippina, Gloria Macapagal Arroyo, che finora era sempre stata una ferma alleata della famiglia.

    Il gruppo, diretto agli uffici della Commissione elettorale provinciale di Shariff Aguak, è stato attaccato da oltre 100 uomini armati. Fonti investigative confermano che una parte delle vittime è stata uccisa a colpi di arma da fuoco, alcuni sgozzati e altri – sembra – sepolti vivi.

    dichiarazioni:

    Comunicato stampa di ISF: “L’assassinio di decine di giornalisti nel massacro compiuto a Mindanao dalle bande armate del governatore locale che ha fatto contare finora 46 cadaveri, non rappresenta solo il più grande massacro di giornalisti mai avvenuto nella storia, conferma le Filippine come uno dei Paesi più sanguinari del mondo per chi esercita questa professione. Fino ad oggi erano già 41 i giornalisti uccisi nelle Filippine solo a partire dal 2004. Queste cifre rappresentano un pesante capo di accusa nei confronti del Presidente Gloria Arroyo che gestisce ormai un sistema solo formalmente democratico, ma in realtà in balia di bande armate legate ai notabili locali che agiscono in regime di totale impunità e con gravi compromissioni del governo. “Qui regna una cultura dell’impunità”, dichiara il presidente dell’Associazione Nazionale dei Giornalisti Filippini Benny Antiporda. E infatti nessuno degli omicidi di colleghi avvenuto in questi anni ha mai visto condannati gli esecutori. Dal momento dell’arrivo al potere di Gloria Arroyo le organizzazione umanitarie hanno contato circa ottocento delitti politici rimasti tutti impuniti. L’Associazione dei Giornalisti denuncia che le aggressioni nei confronti dei reporter sono sempre più violente e sfrontate e che ai delitti seguono minacce di morte nelle redazioni colpite. Alla vigilia delle prossime elezioni si è voluto dare un sanguinario avvertimento intimidatorio alla stampa filippina. Forse la comunità internazionale dovrebbe togliere questo Paese dal capitolo delle democrazie asiatiche e collocarlo nell’elenco dei regimi più sanguinari del continente, dove merita (dati alla mano) uno dei posti di testa”.

    Amnesty International: “Questo episodio sottolinea i rischi ai quali va incontro la popolazione civile nel periodo che precede le elezioni del maggio 2010. Nelle Filippine, in particolare a Mindanao, eserciti privati al soldo di potenti e ricchi uomini politici si rendono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani che di norma rimangono impunite. Sollecitiamo il governo filippino a vietare e smantellare gli eserciti privati e i gruppi paramilitari, a introdurre standard per la protezione dei diritti umani e ad assicurare l’applicazione di questi ultimi, soprattutto in un periodo pre-elettorale in cui gli omicidi politici rischiano di diventare più frequenti”.

    Associazione Nazionale dei Giornalisti Filippini: “Qui regna la cultura della totale impunità”

    Reporters sans frontières: “Mai nella storia del giornalismo, la professione aveva pagato un così pesante tributo in una sola giornata. Abbiamo spesso denunciato la cultura dell’impunità e della violenza nelle Filippine e specialmente a Mindanao. Questa volta è stata la follia omicida di uomini legati a politici corrotti che ha condotto a questo bagno di sangue incomprensibile.

    International Federation of Journalists: “This is an event which shocks journalists around the world to the core….(ho fatto una breve ricerca su Web…)

    Scusate Milord per la prolissità del commento.
    Ma mi sembrava doveroso ricordare chi è morto per dar voce a chi voce non ha.
    Vi saluto e vi ringrazio di cuore.
    GRAZIE per tutto ciò che fate.

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  10. Caro Ninni,
    Io oltre che riferirmi alla Casta (parlo di casa nostra) guardo e osservo il male perpetrato alle nostre spalle dove, noi poveri incoscienti, siamo pedine di un goco più grande della nostra conoscenza.
    Mi riferisco agli “inghippi” stigmatizzati dai “governanti” ruspanti e di casa nostra e quelli paventati (con più cattiveria) da quelli stranieri. Ti conosco, Milord e so che di questo pezzo, che ammirai tantissimo su “Splinder” ne hai fatto una bandiera da sventolare per ricordare, oltre la brava Politovskaja, quanti, alla ricerca della verità “per sapere, comprendere e capire” sono rimasti vittime di un mondo posticcio fatto di “Potere e falsità”.

    Mi occupo, ormai da tempo, dei malesseri perpetrati alle donne.
    Vorrei, però, in questa sede, trarre quei “docet” su tanti Martiri che, in silenzio, ci raccontano di quanto sia cattivo il mondo e di quanto abbiamo bisogno di conoscerlo per crescere. Gazie anche a te, caro Ninni, che non ti sei MAI risparmiato (mille e mille articoli e reportages da zone pericolosissime pur di farci sapere che … un bambino era morente per i misfatti di noi adulti cattivi, vili e biliosi).

    Ti ammiro e ti voglio bene sul serio.

    Scappo non senza un monito a tutti quelli che mi leggeranno:
    Ninni dà la sua vita e il suo essere, senza orpelli e/o richiami a falsi moralismi o incantesimi di comodo.
    Ascoltiamolo, grazie!
    Non merita esser sordificato.

    un bacio Milord…

    Marisa

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  11. Il mestiere di raccontare il mondo. Che cosa chiediamo a un giornalista se non di descriverci quello che non possiamo vedere con i nostri occhi, di farci capire quello che non riusciamo a toccare con le nostre dirette esperienze? E allora il giornalista parte, va a scovare la realtà e ce la mette davanti. Con un articolo, un reportage fotografico, un filmato. A volte questa realtà è abbastanza vicina e a portata di mano che ricostruirla per il pubblico può essere semplice, addirittura un lavoro di routine. Altre volte è invece tanto nascosta, la verità, è tanto lontana, scomoda e violenta che il suo racconto può costare anche la vita.
    Le zone più rischiose sono il Sud-Est asiatico, il Medio Oriente, la regione orientale dell’Africa e la Russia. Si tratta di aree geografiche caratterizzate da
    regimi o comunque sistemi di governo non democratici.
    Le uniche realtà democratiche in cui i giornalisti rischiano la vita sono la Colombia e il Bangladesh.
    Nella maggior parte dei casi, i reati contro i giornalisti sono compiuti da persone che detengono il potere e occupano posti istituzionali, come re, presidenti della Repubblica, dittatori, e questo rende molto difficili poterli perseguire per le violazioni contro l’articolo 19. Inoltre, in queste realtà, la violazione della libertà di stampa spesso coincide con la morte del giornalista, mentre ci sono altre situazioni in cui la libertà non è comunque garantita, ma le sue violazioni non arrivano fino alla soppressione fisica del giornalista.

    Il giornalista cerca di raccontare i fatti e per fare questo deve documentarsi su questioni che spesso danno fastidio a chi detiene il potere o a centri di interesse più o meno legale. Questa è la causa scatenante, chi non rispetta la legge o chi ha dei traffici e degli interessi non trasparenti non ama certo vederseli sbattuti in prima pagina. Inizialmente si cerca di evitare che questo succeda con minacce, censure, con la chiusura di organi di stampa o con l’incarcerazione di giornalisti; ma se queste misure non bastano e i giornalisti continuano a fare il proprio mestiere, a documentarsi e a indagare, l’esito finale è l’aggressione o la morte.

    Ecco che ti ringrazio, caro Ninni mon trésor, per quello che scrivi, per come lo scrivi, per i tuoi sacrifici e paure che “non racconterai mai”.
    Ti ho seguito per il mondo e durante quelle strade, io, ho sofferto per l’uomo e la persona.
    Non posso, però, sottovalutare l’importanza di una “professione” che per te è come una “professione di fede”.

    Grazie.
    Leggo passivamente e in silenzio ascolto tutte quelle voci lontane come alla radio, mentre cerchi tra vari canali audio, Mosca, bruxelles, Helsinki, una voce che si levi per farci conoscere, con quel timbro gracchiante e lontano miliardi di anni luce, che tanta gente ci osserva da lontano e spera in noi.
    Grazie, Ninni.
    Grazie per tutto.
    Lascio, anche, un grande e carissimo saluto a Marisa e alla brava Emma Vittoria e a tutti gli altri.
    Non capisco e non comprendo quello che accade, ma anche grazie alla vostra sensibilità, sto meritandomi il diritto di rimanere fra gli uomini.
    Un abbraccio sentito.

    Un bacio “de fuego” Milord.
    Annelise pour toi

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  12. Ilaria Alpi



    Enzo Baldoni

    Lady Emma Vittoria
    avete toccato il nervo scoperto di tutta la vicenda e con perizia, volontà e acume, l’avete condotta con maestrìa. Purtroppo, per le libertà individuali, quell’anno (al quale Vi riferite) divenne l’anno dell’inferno in terra.
    Intere popolazioni abbandonate a se stesse e prive di interlocutori che potessero raccontare i disagi e il dolore di tanta umanità offesa.
    Dite bene: quante Anna Politovskaja ci sono state? E quanti , Mauro de Mauro?
    Potremmo individuare altri nomi: da Ilaria Alpi, al bravo Enzo Baldoni (sempre speranzoso e sorridente nel sostenere che il mondo, tutto sommato, non era così cattivo come lo raccontava. Inutile ricordare la sua decapitazione “filmata”, mentre rassicurava l’occidente che tutto era “a posto” e soprattutto era Ok).

    Avete fornito più di uno strumento per ricordare e più di uno spunto da sviluppare.
    Ve ne fummo grati.
    Vogliate accettare le nostre cordialità, mia Signora.

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  13. … ” come i Cerchi nell’Acqua ” …

    Le Vite di chi non si ferma ad una sola Verità, ancora macchiano la sabbia dei deserti … ancora urlano di quei silenzi; che solo grazie ad un’Intensa Fede, possono e devono continuare a raccontare … con la loro voce e il cammino che li ha preceduti, con quell’Incosciente onestà che ce li rende … come un regalo arrivato in ritardo.

    Gli spettatori restano nell’ombra,
    in silenzio;
    in attesa di una parola.

    E quella Parola arriva,
    macchiata di Vita e legata ad un respiro lontano.

    Gli spettatori sanno bene che le cose cambiano,
    pur restando nell’Immutabilità delle cose,
    eppure attendono che quel gesto arrivi e con lui,
    l’essenza stessa di ciò che può dare un Senso alla Nebbia.

    Quella parola non è per Tutti,
    non è per le voci di chi è legato all’Istante
    e nemmeno per chi ancora spera in una rinascita a fior di labbra.

    Quella Parola è per le Ferite che non hanno più Sogni, basta restare in silenzio e dimenticare di essere il Centro del Mondo.
    ___
    Grazie Ninni

    Un caro saluto per Tutti.

    I Miei Rispetti

    Ni’Ghail

    Slàn

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  14. Lo so che quello che sto scrivando, sembra che non c’entri con l’articolo che Voi Milord, avete pubblicato. Ma voglio sottolineare una cosa…
    In certi casi, un giornalista non si uccide “SOLO” con qualche colpo di pistola. Ma un giornalista si uccide anche togliendogli la libertà di pensiero, d’azione e tentando di annullare la sua dignità.

    NON HO PAROLE.

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