La morte impossibile

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0 La morte impossibile

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1Avrete, certamente, sentito parlare della “Morte Impossibile“. E’ un comunissimo letto di contenzione che suscita l’inevitabile desiderio di annichilimento nel condannato, proprio perchè la libertà di togliersi la vita è l’unica cosa che gli viene concesso scegliere, ma non di eseguire proprio perché immobilizzato. Fui soggiogato alla Morte Impossibile per alcuni mesi. Incatenato alla stessa sbarra. Incantato sullo stesso rigido orizzonte geometrico. Assieme alle mie fantasie di morte; fantasie di libidine e atroci dolori ai genitali martoriati, dentro questa umida e buia cloaca. Non crederete a una parola di quello che vado raccontando e mi considererete piuttosto un fantasticatore tormentoso, ma è superflua questa fatica di insinuarsi tra le righe, per studiarne la verosimiglianza, quando la realtà si  presenta più inverosimile di qualsiasi delirio. Scrivo queste frasi un po’ tristi, proprio adesso che mi sono, inaspettatamente, liberato da qualsiasi angoscia permettendomi, così, di ristabilire una corrente positiva che liberi tutte quelle energie, di opposizione e di rifiuto, inutilmente incatenate.
Stringi i denti per verificare che il desiderabile sia ancora possibile e non nascosto tra le pieghe, eventuali, della tua vita …”.
Adesso, però, mi interessa l’oggi.
Ecco il mio resoconto. 
Avevamo dato luogo ad una manifestazione fin dentro questo “santuario della scienza“. Era stato facile! Rabbiosi, pronti a tutto, pur rendendoci conto che, lì, godevamo di un privilegio che potevano toglierci a loro discrezione. I giornali, da2 giorni, titolavano (e non si poteva fare a meno di leggere) di follia, di irragionevole e intollerante insubordinazione; di anarchia. Erano ovunque quelle accuse! Nei luoghi di lavoro, per le strade e anche dentro posti come questo. Si stava scatenando un qualcosa che assimilava tutti noi, appena venuti fuori dalle nostre cellette e ancora sprofondati in un comune degradante stato di torpore, a quel mondo inquieto e impazzito, quel mondo che, irragionevolmente, proseguiva nella sua evoluzione ignorando la nostra voce. Comunque! Tentammo, ad un certo punto, di dar fuoco allo studio del Direttore: era un modo come un altro per  partecipare quanto stava accadendo la fuori. Si sapeva di trasferimenti dalle carceri giudiziarie “speciali” della città ad altre più inaccessibili, dal nome diverso e preparate per noi dagli avveduti pianificatori del Governo centrale. Non mi sentii particolarmente coinvolto, oppure turbato, o peggio ancora, alienato quasi come fossi stato una creatura di un altro mondo. Eppure toccato, anzi toccati, da un tale sconvolgimento, ci ritrovammo attorno a quell’astro nascente, foriero di speranzose mutazioni. Poi ci calmarono e quando fummo “ragionevolmente sedati“, il Direttore passò tra di noi, disposti in fila per uno, con un sorrisetto strano tra le labbra. Al termine della sfilata prese la parola, parodiando un tono paterno: “Che sciagura far da capitano ad una nave di folli durante una tempesta!“. E non aggiunse altro. Non lo rividi più. Alcuni di noi, il mattino dopo, furono svegliati da un gruppo minaccioso di energumeni, forse una quindicina, che, senza badare troppo alla toilette, tra sbeffeggiamenti e qualche schiaffone, ci spinse verso l’uscita di quel singolare luogo di pena dove erano ad attenderci alcuni automezzi militari. Il mio universo, già così limitato, si restringeva progressivamente: Per alcune ore divenne l’abitacolo di quel veicolo in cui ci avevano sistemato ordinatamente; poi una stanzetta molto stretta e con la finestra colma di sbarre d’acciaio ed infine, dopo un sonno tormentato e falso, quell’orribile giacilio detto della “Morte Impossibile“.
A questo punto della mia storia, con i ricordi che affiorano da tutte le parti dovrei, semplicemente, abbandonarmi alle urla liberatorie o ai sogni più deliranti per riprendermi un attimo. Invece, per voi che state ascoltando, dovrò cercare di trovare tutta la prontezza della ragione di cui posso esser capace. Per esempio, se voi poteste sedervi qua, di fronte a me, su quelle sedie bianche ed ascoltare le mie parole sciagurate, oppure percepire quelle sensazioni atroci che io stesso sto provando, otterremmo la duplicazione del tormento. Qualsiasi  descrizione, orripilante, a voi fornita, raggiungerebbe il suo scopo imprimendosi sia nei sensi vivi, sia nell’immaginazione. Eccovi, dunque, mentre vi sto osservando:  lanciate le vostre occhiate imbarazzate gli uni sugl’altri; siete, comunque, pronti al diniego ed a schermirvi. Nessuno, dico nessuno, che si adatti spontaneamente al mio metodo di “illustrazione sensoriale“. Ero certo di questo, anche se siete curiosi di sapere come andò a finire! La conoscenza, tante volte, è imbarazzante sia per chi ascolta, sia per chi racconta. Quindi, se non c’è altra strada, aggirerò l’ostacolo e procederò oltre. L’unica giustificazione che mi diedero fu che, durante gli scontri di quella strana  sommossa, avevo lanciato, rompendola, una sedia in testa all’ infermiere di sorveglianza. Sicuramente fu riferita semplicemente la verità; niente di più facile. Di quegli attimi ricordo, unicamente, la mia esplosione brutale di energia fino ad allora repressa. In quel periodo oscuro dovetti fare i conti con l’odiosa virtù della rassegnazione. Mi tornò utile, comunque, un’esperienza infantile di cui conservo il ricordo dell’abitudine.
(Quì inizia il ricordo)
Da bambino, tanto tempo fa, annoiato dalla lunga attesa dell’alba mi lasciavo andare ad una lunga sequenza di fantasie, trovando il modo di raccordare il sonno alla veglia e la notte al giorno. Creavo uno spazio privato di vagheggiamento e lo salvaguardavo, a mio piacere, dalle brusche intromissioni della realtà. Una mattina, infatti, giunto fino all’ “albero che 3piange”, vi avevo girato attorno, come al solito, consolandolo e carezzandolo su quella scorza ruvida, prima di intrecciare con lui “il dialogo del risveglio”. Accadde che una voce mi sorprese: la voce indesiderata di un intruso, un timbro diverso da tutti quelli ai quali la mia mente si era assuefatta. “Tu stai raccontando un episodio della mia vita” disse l’albero, spaventandomi, “Permettimi di fare un po’ d’ordine”. L’intruso era lì a due passi: costretto ad una posizione analoga alla mia, con i piedi bloccati nel terreno e le braccia tese verso l’infinito. “Dunque”, continuò, “nel giardino di questa villa crescono diverse specie di alberi. Alcuni mi somigliano ma, tra questi, uno è veramente strano. Mai visto prima d’ora. Dai suoi rami pendono dei frutti sconosciuti. Io stesso, per quanti sforzi abbia fatto, non sono stato in grado di identificarli”. “Quella donna, invece, che dalla porta posteriore della casa  viene avanti sorridendo è tua madre. Non la riconosci? Non senti? Ti chiama!”. Poi fu il silenzio. Era, per me, l’ultimo giorno di villeggiatura e più volte, nei giorni passati, mi ero soffermato ad osservare quell’albero dal quale, però, mai avrei avuto il coraggio di staccare uno di quei frutti misteriosi. Ricordo che fu lei, mia madre, ad offrirmene uno chiedendomi se avessi avuto voglia di assaggiarlo. Indeciso, come sempre, dissi di no, attendendo, però, il momento opportuno per farlo. Quella sera infatti, di nascosto,  ne mangiai uno assaporandolo con lentezza. Era buono e salato. Subito dopo, però, impaurito dal buio oscuro lo poggiai per terra, calpestandolo e coprendolo con una foglia. Il giorno dopo eravamo in partenza verso casa. Salii, in fretta, sull’automobile già in moto. Fu a questo punto che il custode del giardino corse verso di me, gridando: “Ti ho visto, sei stato tu!”. Gli risposi con voce ferma e decisa: “Io non ho fatto niente”. La zona dove era situata la villa si chiamava “Colle del Paradiso”. La conclusione era facile da trarre: mi ero imbattuto nell’albero “del Bene e del Male”. Riconosco, anche adesso, che il ricordo di tutto questo ancora mi commuove. Quella fu la prima voce “umana” che ascoltai, anche se sembrava proveniente da un luogo molto lontano e quasi irreale.
(Quì finisce il ricordo)
Aspettai che gli infermieri aprissero le imposte per poter scrutare il nuovo venuto. Quasi certamente era stato ricoverato nel cuore della notte, mentre io mi trovavo, ormai più frequentemente, smarrito in uno dei miei labirinti. Era abbastanza giovane; il corpo lungo ed esile, con i piedi fuori dalle coperte. Sembrava un grande uccello supino con le ali ripiegate. Il naso mi parve, chissà perchè, il cane di una pistola pronta per sparare e fu allora che mi accorsi del buco. Si, del buco. Aveva un foro sulla tempia sinistra e un’etichetta legata al piede destro. Non riuscivo a leggere da qui. Anzi, non riuscivo nemmeno a muovermi. Come in preda ad una forte ansia tentai di sollevarmi da quel lettino.
Nulla.
La morte impossibile” pensai sbalordito, mentre mi accorsi, sgomento, che anch’io avevo un’etichetta bianca, con una vistosa scritta nera, legata all’alluce sinistro.
C’era scritto: “Suicida“.
Finalmente libero mi addormentai!
Alcune volte,
quando non troviamo più qualcosa,
non è perché non l’abbiamo più ma,
più semplicemente,
perché è stata spostata.
Cordialità
I disegni digitalizzati, presenti in questo articolo,
sono stati ideati dall’autore, Ninni Raimondi,
che ne è il proprietario dei relativi diritti.

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83 pensieri su “La morte impossibile

  1. E’ un Capolavoro!
    Ho stampato tutto. Lo voglio leggere e rileggere e rileggere.
    Che immagini e che sensazioni profondissime.

    Un bacione grande dolce Milord.
    Torno, torno, torno, torno, tornoooo.

    Ho i brividi.

    Eleonora

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    • Vi ringraziammo delle parole sempre gentili e sempre indulgente.
      Un capolavoro, addirittura.
      Potremmo aggiungere, a quanto su esposto che, la vita riserva sorprese se non identificata nella propria, giusta, veste.
      Diceva Seneca: “E’ come osservare la gente che cammina lungo le strade e non rendersi conto di essere già morti nel momento dell’osservazione stessa. A cosa giova osare e creare, sproporzionatamente, se la creazione stessa non servirà e se, quel non servire, sarà inutile anche dopo?

      Grazie.

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    • …e osserverai, esteta, quanto bella è la natura
      e i suoi contenuti ti illumineranno di nuova luce,
      ma non quella che illumina le montagne …
      (Aby Hamid Mohammad ibn Mohammad al Ghazzali, L’incoerenza dei filosofi – Tahafut al falasifa, XI secolo)

      Grazie.

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  2. Sono stordita, accecata, inebetita e ridotta al silenzio.
    Prima la Tua assenza, Milord e adesso questo “mozzafiato” che mi fa rimanere come una bambina, naso e mani piantate contro il vetro di una pasticceria d’inverno.
    Riesci a scuotere l’anima.
    Riesci a fare “vedere”.

    Anch’io ho stampato tutto.
    Un bacio

    Manu

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  3. Leggo, per la terza volta, il tuo brano, caro e dolce Ninni.
    E sono smarria, stupita e compressa nella mia voglia di fuga dalla realtà.
    Quella realtà che ognuno concede a se stessi, ma nega agli altri.
    Il senso di vacuità è profondo.
    Un senso assassino che comprende l’io e uccide.

    Attendo di leggere, per l’immediatezza Emilia di Roccabruna; Emma Vittoria per la profondità del linguaggio e PicWick per l’attenzione ai testi.
    Ne potrei citare tanti e tanti altri (mi scuso con tutti se non li elenco).

    Caro Ninni, ti lascio un bacio, un abbraccio con tanto “profondissimo” affetto e un grande in bocca al lupo per tutto.
    Ti ammiro tanto.
    Buon lavoro

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    • Ecco un’ altra eternità.
      Vive racchiusa
      tra le dita della mia mano,
      mentre il cuore
      fermo, immobile,
      pulsa nei tuoi occhi
      pieni di sabbia e lacrime.

      Oltre il sonno degli Déi,
      dentro il mio risveglio,
      in questo tempo,
      ormai fuggito

      (n.r.)

      Grazie

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  4. La pregevole fattura di quanto leggo e la sapiente combinazione tra scritto e immagini, senza alcun bisogno di firma, la contraddistinguono, caro Ninni.

    Le parole e considerazion, riportate, sono dure e spietate, ma rappresentano la verità.
    L’ambientazione e la grafica, poi, sono veramente eccelse.

    La saluto e forse sarà tempo che, qualcosa, stampi anch’io.
    Buona serata.

    Amedeo

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  5. Anestesia di uno stato d’animo e considerazioni, focali, di una – tante – molte esistenze.
    Assistiamo alla conoscenza.
    La “Conoscenza”, anzi, quella con la C maiuscola. Io non credo che noi, sinceramente, possiamo dire di conoscere e riconoscerci.
    No, non lo credo.
    Siamo troppo occupati a sfornare soluzioni, ma soprattutto a darle.
    Anche questo è vanità e vuotezza.
    Viviamo, sembrando immortali, da essero mortalissimi e poi, davanti all’orrore della paura, oppure, alla “paura dell’orrore”, ci lasciamo o reagiamo secondo quanto la nostra, stoltezza, ci impone.

    Caro Milord, come si dice da noi, “avite fatt’o quarantott”.
    Tutto è così bello e … così oscuro da destare preoccupazione il fatto che, forse, sia tutto vero.
    Se questa è la vita e queste le risultanti di questa vita, io mi chiedo: ma perchè sono nato?
    Non c’è dono e non c’è gioia in una sofferenza che dura una vita e poi si trasforma, con la morte in …. e cheste nun se po’ sapè!
    mai nessuno è tornato per dircelo, ma la sensibilità, caro Milord, padrona del cuore vostro e della vostra intelligenza, ce lo fa capire, comprendere, respirare e annusare.
    Ci fa sentire il vero, discernendolo dal falso.

    Simme fatt’e ‘ccarne e simme fatte ‘pe ‘mmurì.
    Grande Milord.
    Veramente uno spettacolo.

    Dalla Partenope Capitale.

    Dudù

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    • Il nostro bisogno del Divino e delle certezze, che ci furono proprie della nostra giovane età, quante “sciocchezze” ci portarono a fare.
      Creiamo figure mistiche e ci vestiamo di certezze che sono proprie delle anime perdute (posto che esista un anima per ognuno dei viventi).
      Ecco che nascono le figure, i mostri, da relegare nel profondo del nostro “ID”. Figure che non vorremmo mai tornassero da quell’Io profondo al quale tando dobbiamo in termini caratteriali e in termini di sofferenza.
      L’abisso, la disperazione e le lacrime, nacquero da lì e da lì non andranno da alcuna altra parte se non per torturare la nostra, ben misera, esistenza.
      L’uomo prepara e si prepara … ma a cosa?
      Cosa serve creare per distruggere’
      Perché non creare per creare e creare e creare?
      L’Orrore, quello con la “O” grande, al quale Vi riferite, mio Signore, è, a nostro umile parere, prima il nostro, dopo quello altrui. Siamo abituati a “contare” sugli altri, al fine di contare noi stessi. Procuriamo, così, anche con un “battito” d’ali, paure e timori.
      L’irripetibilità della vita singolarmente (non credemmo né in opportunistiche reincarnazioni, né in comode resurrezioni, né, tanto meno, in Giudizi Finali, dove si attende con “Terrore” il Final Giudizio per le nostre colpe: Quali? Quelle di essere nati, senza che nessuno ci chiese, mai, un parere? Oppure quel che dopo una vita di Terrore, disperazione, povertà materiale e lacrime, diventa, aggiungendosi, un Giudizio Finale?
      Noi dicemmo basta ai Giudici, i loro mandanti e i loro dogmi. Di ogni giorno è pena e di facili inganni verbali siam pieni.
      Vi ringraziammo, Don Dudù, della Vostra presente presenza.
      Un saluto cordiale alla “Partenope” capitale.

      Grazie

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  6. Ecco che ti vedo, Milord, mentre alla mia indifferenza, porti la saggia bontà dell’avviso.
    Mi avvisi e ci avvisi su quanto può essere dolorosa la vita o una parte di essa. Ma forse, tutto questo, lo sappiamo già.
    Forse non conosciamo la profondità dell’abisso stesso.
    Forse l’abisso siamo noi.

    Io vi parlo della disperazione.
    Io vi parlo dell’abisso.
    Io sono l’uno e l’altro: ma voi siete con me.

    Ecco la verità che balugina dentro il nostro “io” durante una lettura affascinante, racchiusa dentro un Blog, mentre siscrive, si lavora o si naviga, in internet, da diporto.
    Un sussurro e un sorriso amaro, fanno indugiare fra queste righe e mentre si legge e si tenta di capire e comprendere il fine, l’ultimo porto di queste parole, delle immagini che ti bloccano, della propria fretta perduta, proprio per leggere, l’inquietudine ci assale.
    Quel sottile senso, trasversale, che porta i brividi.
    Che porta una uccisione annunciata o l’arrivo di una tragedia imminente.
    Ci accorgiamo, invece, come tutto sia legato a noi stessi.
    Ci accorgiamo come tu, caro Milord, dall’alto del ciglio di un Abisso, dentro l’impulso emotivo della Disperazione, lanci un grido: Salvatevi, salvando!
    Credo sia questo uno degli aspetti più leggeri, ma dolorosamente profondi e come tuo costume di grand’uomo d’arte e di letteratura, lanci il tuo messaggio secondo il tuo costume.
    Porti la paura, il terrore, l’insinuazione che mai vorremmo sentire sulle e nelle nostre carni.
    Terrorizzi facendoci entrare in una dimensione di tristezza, di paura, di timore dentro un incubo ossessivo ma …
    ma ricordo le tue parole e le ricordo bene: attraverso il buio si giunge alla luce, ovvero, come solitamente dici: è dopo la notte più profonda e agitata che, comunque, ci sarà l’alba più bella.

    Eccoci, allora, propiettati nella notte più buia, in attesa dell’Alba che ci faccia finire le nostre sofferenze portandoci, forse, a sorridere nuovamente.
    So di parlare all’Uomo e al professionista.
    So di parlare a un grande amico.
    So di parlare alla coscientia vitae.

    Non mi hai fatto dormire questa notte, ma ne è derivato un esame di coscienza che mi ha distrutta.

    Te dejo un abrazo, mi Señor, con todo el cariño que te mereces y tu pasión.
    Le enviaremos un café, mi caballero, pero sé que en este momento todavía lo beba.
    Besos y sincero afecto

    Marisa

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    • Si rimane stupiti dallo stupore.
      Mia Signora, siete molto gentile da concederci una gfrase, sinesteticamente, perfetta.
      Basta un’immagine, un concetto, un colore e il simbolo creato prese vita dando spiegazioni, più esaustive di qualsiasi altra parola.

      Grazie.

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  7. Chapeau!. Il dado è tratto. Una nuova incursione, del Dott. Raimondi, nel mondo accanto ci riporta nella realtà più cruda; Quella che non vogliamo vedere; Quella scandita ogni giorno dal battito dei nostri cuori. Ammetto che, questa società moderna ci imponga nuovi dettami per quanto riguarda le emozioni e i rapporti interpersonali, fino ad arrivare a trasformarci in bandiere al vento o in canne battute dal vento. Sempre più spesso la “nuova” società ci insegna che cuore è solo un muscolo e i sentimenti sono cibo da fagocitare velocemente. Ed è una tortura continua, nonostante ci si siano “nutriti gruppetti di ribelli” che tentano di ricordare quotidianamente che l’anima esite e ha un suo peso nella società. Viviamo ogni giorno come fosse l’ultimo, consapevoli di subire la “Morte Impossibile” ogni istante. La subiamo talmente tanto e la accettiamo in modo passivo da arrivare ad assuefarci ad essa. Il suicidio è un lusso? No. Non credo. Il lusso è vivere ogni giorno. Il lusso è lottare contro i pregiudizi che ci hanno imposto tutti quei dogmi “moderni” tra cui la moda,gli eccessi; il sesso… Stiamo vivendo talmente di corsa, che non avremo pace nemmeno all’approssimarsi della morte. Solo nel letto di morte ci renderemo conto di quanto tempo abbiamo sprecato. Lo scritto che viene lasciato tra queste pagine di pixel ne è esempio lampante. Per il resto, posso ammettere che nella mia esperienza (soprattutto quand’ero in 118) ho imparato che le persone che urlano di più nel letto di morte sono quelle che non hanno vissuto appieno la propria vita. Questa è la Morte Impossibile, ed è quella che avviene nella maggior parte dei casi. Il lusso è, anche, non morire in solitudine. Il lusso non è ritornare ad addormentarsi in un letto di morte…

    Ecco il ritorno di Numero Sette.

    Eternamente sospeso tra azione e rassegnazione. Il dualismo che assale la sua anima ha il sapore del fragile confine che separa vita e morte, esistenza e annientamento, essere o nulla. Maledizione e benedizione. Ecco la dualità dello scrittore sempre in bilico tra bene e male. Ecco l’uomo che dismette i panni dell’osservatore del decadimento della natura umana al cospetto dei disastri che avvengono, perpetuamente nel quotidiano, per vestire quelli dell’eroe negativo che si riscatta immolandosi sull’altare della disperazione. Numero Sette ha il dono della fascinazione e ci impone di percorrere un percorso inverso dentro l’anima, non come scelta personale ma come ineluttabile conseguenza di un immobilismo autodistruttivo, di una forma di cattività a cui si arrende neppure troppo inconsapevolmente.
    Nella consapevolezza della fine, come qualcuno diceva, vi è una eco d’infinito.
    Leggo l’ultima riga e mi trovo a fare i conti con ciò che sento dentro di me: cupa rassegnazione, angoscia, frustrazione per la deriva a cui va incontro ogni giorno. Ma la circostanza è del tutto eccezionale: la fine è privazione della libertà e incertezza. La morte è un piccolo frammento che lascia in eredità un grido di dolore espresso con una prosa eccelsa. Questa, sì, immortale.

    Salutazioni cordiali.

    Emma “la ribelle”.

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    • Allontana,
      dal cuore
      lo sguardo,
      oltre il distacco
      tra le nuvole
      e il cielo.

      Piove, oltre le nebbie,
      come sussurri
      tra euforia e pianto,
      nascosti, adesso,
      fra le increspature
      di ricordi liquidi,
      negli occhi
      di un viso assai lontano.

      Nascosta,
      tra lontane rocce,
      d’ultimo bacio il luogo,
      oltre vita,
      che, di deserto fiore,
      ricorda le umane lacrime
      che guardiane del Creato
      in còr, nostro, pose.

      (n.r.)

      Oltre le tenebre, più profonde, non ci sono punti di arrivo o partenza.
      Esiste la perenne strada e il suo incubo che, come il più leggero dei percorsi, avvicina, costantemente, al nero della disambiguazione della mente, mentre allontana, allo stesso modo, da tutto quel che fece parte del proprio afflato.
      Esiste un punto, mia Signora, d’arrivo?
      Esiste un punto di partenza?
      Queste due, profonde, assenze, forgiano la “Lachrima Mundi“.

      Saluti da numero Sette

      Cordialità

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  8. Potrei scriverti tante cose Milord.
    Lo sai.
    Potrei “panegiricare” un opera lodevole con spirito costruttivo, ideativo, fondante e attenzionabile.
    Non lo farò, caro Ninni. Io so, io conosco, quanto dolore e quanta fatica ti sia costato raccontare.

    Io credo che tutto nasca dalla nascita della lacrima.
    Si, la lacrima.
    Elemento esteriore di dissenso, dolore, gioia, paura e chissà cos’altro.
    Ma: la Lacrima perché?

    Perché è quella manifestazione esteriore che ci fa uomini raziocinanti e … ragionevoli.
    Ti scrivo da una redazione grondante di Cronaca nera, rosa, viola, bianca e a pois.
    Ti scrivo dall’unico scopo della mia vita (ma non raccontarlo a mia moglie, o mi butta fuori di casa.).
    Lo so, sto diventando (pesante), come dici tu, ma è soltanto una introduzione.
    Cosa mi dici, caro Milord, delle guerre?
    Dell’offesa all’uomo, in quanto tale, arrecata da altri uomini?
    Ecco il maligno che è il … raziocinio, interporsi tra queste parole e quelle tue.
    il male, si.
    Il maleficum…
    Maleficum … perchè espone le tesi contrarie. una sorta di democrazia all’inverso.
    Ben venga il “Maleficum” se il “maleficere” riesce a scuotere le coscienze.
    Anticamente la benedizione (bene dictus=dico bene di te), si basava sull’assenso e sulla comprensione coatta della benedictionem (l’atto di dire bene di te, ma sottoposto a precise regole).
    Il maleficum (il male, l’uomo, riprodotto nella sua essenzialità terrena senza l’apporto del divino) dava la ragione.
    Il “maleficum” ha sempre posto la questione “dall’Altro punto di vista”.
    Noi che godiamo e ci crogioliamo del creato, oggi, benediciamo o male -diciamo di chiunque sia in linea con la nostra mente o contrario alla nostra comunione (condivisione).

    Ma cosa fa Krenneg McAff, quel Bardo e Maestro di Spada scomodo e inviso a molti?
    Lui ci mette in guardia dalla vita stessa.
    Lui dice:

    “Ama pure come ti pare, ma non ti illudere! Quello che tu oggi dichiari eterno, morirà con te.”

    in un apparente “suicidio”, che porta ad addormentarsi.

    Concordo con la sig.ra Hilde Strauss: Emma Vittoria, come sempre, ha scritto un apporto “forte”.
    Buona serata Milord

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    • Conosciamo i Vostri impegni sia giornalistici, sia uimani.
      Adesso conoscemmo, anche, la Vostra poesia che raggiunge le ultime corde di un mondo perduto: la nostra individualità.
      Dalla Assurdità dell’essere, Vi giunga il nostro saluto.

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  9. Sotto il sole
    ho consumato la mia vita,
    nel cammino
    e nel sogno.

    Sotto il sole,
    ho cercato sollievo
    al freddo della vita.

    Oggi sono qui, al buio,
    a cercare una ragione;
    a trovare un senso
    a tentare di commuovermi
    nuovamente.
    Oggi sono senza te.

    Ho letto cose stupende.

    Un bacio Ninni.

    Annelise

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    • Mia Signora, grazie per esser transitata presso queste umili pagine.
      Splendido sarebbe non ricordare o trattar più, di tutto quello che, perduto, ognun non trova.
      Splendido sarebbe se, le parole, prese per quel che sono, andassero di pari passo con l’emozione.
      Splendido sarebbe se mai più esistessero le incomprensioni, che tanto male fanno a noi , poveri dannati del pensiero.
      Come perdersi in un sotterraneo di speranze perdute, alla ricerca di una uscita, che non arriverà.

      Grazie

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  10. Mio caro Milord, non ho parole per descrivere le sensazioni che ho vissuto leggendo. Forse è una delle prime volte che mi sono guardata dentro fino in fondo.
    Ma desidero rileggere, cogliere ogni parola, virgola sospensione. Tornerò lo prometto

    Un abbraccio affettuoso, permettetemelo

    Giovanna Scaglione Orofiorentino

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    • Nel cuore…è qui che abita la nostra vita.
      E’ in questa casa…così misteriosa…così imprevedibile… così incredibilmente bella che si muove gioca danza la nostra esistenza.
      E da questa casa ci parla fin dalla nascita…giorno dopo giorno, anno dopo anno…
      con pazienza…con costanza…con gioia….
      Il linguaggio è sempre lo stesso…sottile dolce delicato…le emozioni.
      I messaggi sono chiari ma, spesso, fingiamo di non sentirli.
      Troppo chiasso intorno a noi, troppe parole inutili, troppo apparire, troppo vuoto.
      Ma, la vita è sempre lì…nel cuore…pronta a farci sentire la sua presenza… pronta a ricordarci di vivere…
      Basta un po’ di silenzio, e tutto appare chiaro limpido vero.
      La via da seguire è sempre in salita…”non porta mai dalle parti del lago, sebbene sia una strada di passaggio, è tuttavia battuta“…
      Ma è una via che ci permette di essere autentici e spontanei, sempre in pace con noi stessi e con ciò che di più vero vive in noi.

      Grazie

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  11. (quì inizia il ricordo)

    Un pomeriggio di tanto tempo fa, dopo aver pianto a dirotto per la mia malattia, avevo deciso di farla finita.
    Prima di quell’ultimo addio e dopo aver scritto a mio marito (poveretto) tutta la mia disperazione, anche, per la sua malattia, decisi di fare un ultimo viaggio con il PC .
    Avevo riposto le mie cose vicino al comodino.
    La mia borsetta, vuota come sempre, era riversa sconsolatamente sul divano. Venni qui. Era un triste giorno di gennaio. E lessi. Lessi ina storia struggente che sembrava la mia. Lessi, nel fondo delle parole, tutta la disperazione che avevo nel cuore. Era un tuo racconto Milord.
    Quello dell’antica dama, quando disperata, era pronta al sacrificio.
    Mi sfogai.
    Tu, milord, scrivesti dell’amore per il prossimo. Ma poi mi scrisse la signora Emilia e Sonia e Manuela e Emma e Pickwik e … capii che oltre la morte, dentro un suicidio, cartellini compresi attaccati al piede, esiste qualcosa d’altro. Esiste l’affetto e la comprensione.
    Ti e vi voglio bene. Hai scritto una cosa magnifica.

    Elena

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    • Quale amore, Lady Elena Simonin, se non la voglia e la gioia di esserci, verso il proprio uomo o la propria donna?
      Voi, mia Signora sapete spaziare tra l’incanto e la realtà.
      Voi, mia Signora risolvete, con la Vostra innocenza, tutto quello che innocente non è!
      Una espressione d’amore?
      Una espressione di vita?
      Voi, Milady, colpiste nel segno.
      Grazie.
      Grazie di cuore.

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  12. Stretta nel silenzio dell’attesa in un inferno senza fine.
    Oltre il bianco di una morgue lontana.
    Leggo questo racconto e mi nascondo oltre i timori di una morte solitaria.

    Un bacio Milord.
    L’attesa ci consuma.

    LMR

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  13. […] Si, sento che la mia anima è imprigionata nel chiavistello del mio corpo, e non può liberarsi per fuggire lontano dalle rive battute dal mare umano, e non essere più inflitta dallo spettacolo della livida muta delle sciagure che senza tregua insegue, attraverso le paludi e le voragini dell’abbattimento immenso, umani camosci. Ma non mi lamenterò.
    Ho ricevuto la vita come una ferita, e ho proibito al suicidio di guarire la cicatrice.
    Voglio che il Creatore ne contempli, in ogni ora della sua eternità, il crepaccio spalancato.
    E’ questo il castigo che gli infliggo.
    […]

    Lautrèamont – Les chants de Maldoror

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    • … tutto io voglio raccontare …


      Lady Emma Vittoria

      Di colui che vide tutto io voglio narrare al mondo.
      Di colui che conobbe ogni cosa, tutto io voglio raccontare.
      Egli andò alla ricerca dei Paesi più lontani e raggiunse la completa saggezza.
      Egli vide cose segrete, scoprì cose nascoste,
      riferì delle storie dei tempi prima del Diluvio.

      Egli percorse vie lontane, finché stanco e abbattuto si fermò.
      E fece incidere tutte le sue fatiche su una stele di pietra.

      (Epopea di Gilgamesh – Ša nagba inuru, Sîn-leqi-unnini,VII sec. a.C.)

      Grazie

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  14. A volte la Vita stessa è la punizione per il Vuoto a cui permettiamo di divorarci. Immobili, legati ad una catena invisibile solo agli occhi del mondo, eppure pesante ed indecifrabile nella sua fredda presenza attorno alle nostre caviglie sottili … consumate.

    Vivere è stendere le braccia nell’Abisso che ci è concesso di sostenere con il peso dei pensieri e del battito regolare della paura contro le tempie … dicevo … Vivere è Impossibile, restare ad osservare con voracità quelli che corrono e ridono e si beffano della nostra immobilità, come a non comprenderne il Silenzio.

    Le catene servono a ricordarci che non possiamo andare Oltre … non più.

    Le risa servono a ridimensionare i nostri vagheggiamenti nell’oscurità di quello che è rimasto dei nostri sogni.

    Le voci sono ciò che stringe le fibbie di pelle attorno ai nostri polsi … e come spade sguainate al sole, noi possiamo dimenticarci di chi siamo e perderci in ciò che possiamo svanire … nell’Ombra … nell’Aria …

    … nella trasparenza dell’Esistenza.
    _____
    Milord,
    un Brano da leggere e trattenere, prezioso per la sua tragica intensità. Mi ha colpito e lasciato con un senso di Attesa.

    I Miei Rispetti
    Ni’Ghail

    Slàn

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  15. Caro Milord, dimmi, raccontami quanto è profondo l’Abisso che t osservi e vedi anche per me.
    Dimmi e raccontami cosa significa “amare” anche quando questo verbo di pietrifica nella forma da te data.
    Dimmi, raccontami, della mia cecità verso il mondo che alieno, mi uccide offendendomi con la sua imperiosa presenza e lasciandomi sola a piangere.

    Un pezzo che colpisce e allo stesso tempo uccide nella sua forma più semplice: la parola.

    Sony

    Un saluto grandissimo per tutti

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    • … guardare giù, al nostro abisso …


      Lady Sonia Liverani

      Noi ci costringiamo a non percepire il nostro abisso. Eppure, per tutta la vita, non facciamo altro che guardare giù, al nostro abisso fisico e psichico, pur senza percepirlo.
      (Thomas Bernhard, Perturbamento, 1967)

      Grazie

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  16. Mi aspettavo “un” ritorno di “Numero Sette”.
    Non in questo modo devastante, Milord.
    Ho letto tutto, ma attendo che venga pubblicato su “Krenneg McAff” alla voce OPG, Numero sette, assieme agli altri.
    Un brano bello.

    Per i lettori: suggerisco di andare a leggere i pezzi precedenti di Numero sette sul Sito Krenneg McAff.

    Ciao Ninni Milord.
    Saluto chi conosco

    E.

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  17. La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso, perché la si vede uscire dalle labbra, e le labbra piacciono e gli occhi seducono. Ma le parole nere sulla carta bianca sono l’anima messa a nudo.
    Guy de Maupassant

    Tremendo milord!
    Buona giornata

    Melissa

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  18. Inizia il ricordo.

    Eccolo lì; Immobile come una statua di marmo.
    Eccolo lì; hai il ghiaccio dentro le vene e un sorriso beffardo stampato in faccia.
    Non vivo. Non morto. Lo so che è così, anche se hanno nascosto il tuo corpo sotto ad un lenzuolo sudicio, osservi la fine, annusi l’aria come a cercare odore di sangue. Cerchi la vita che ti ha rinnegato.

    Osservo l’inutile immobilità, del sacco d’ossa, di muscoli e vene che ti compone.
    Ci sono cose che non riesco a raccontare, storie che non esistono, cose che tutte le parole dell’universo, tutte insieme, non possono descrivere, le lettere diventano null’altro che agglomerati di limitazioni e le emozioni diventano una fuga dal presente.

    Non ce la faccio più a dormire, a denti stretti e con le mani legate, dentro a questo cassone di ferro. Ho una corda di iuta tra il mento e lo sterno; mi domando sulla resistenza mortale e di quanto sia facile stare in equilibrio sugli specchi, di come sia facile vivere tra i reietti. Sospiri sulfurei, sintomi del tuo nome, respiri e spasmi senza onore, da urlare piano, senza rumore. Mi hanno lasciato le mani distese sulla schiena, mi hanno tirato indietro il collo e mi si è rotta una vertebra, mi hanno spezzato le gambe e bucato i polmoni. E tu sei sempre stato lì. Fermo. A sentire la mia angoscia come fosse la musica del tuo piacere. Ti ho sentito ridere a mezzanotte.

    Ti ho invocato, non vivo, non morto, invano. Ti ho chiesto, sottovoce, di proteggere i miei sogni superstiti. T’avrei dato il mio spirito da toccare, da masticare coi denti; ma mi hai ignorato.
    Ho slegato le mie vene delle ire che ti hanno sempre circondato. Ti ho sentito dire, mille volte e con un milione di soffi, che non hai mai provato dolore. Che non esiste l’anima e il dolore, quel dolore, è un lusso. Eppure di quel lusso ne sei sempre stato pregno. In sovrapposizione, certe sensibilità ti hanno dato il coraggio di saltare nell’oblio dell’eterno. Sei scappato da quella condizione di precaria inesistenza e l’hai trasformata in fecondità insapore. L’hai chiamata poesia. Eppure io, non ne ho mai colto la poesia. Quando mi hanno messo vicino a te, mi sono sporcato del tuo azzurro freddo. Si vive. Si muore. Suicida. Ci sono versi che non so; che non hanno confine. Si diventa un ingranaggio di un meccanismo arrugginito, si diventa marionette senza fili. Si vive da morti.

    Quando mi hanno portato qui, ho avuto la violenta sensazione che una stalattite di ghiaccio mi fosse precipitata in mezzo al petto, tagliando la mia vita in due periodi grammaticali differenti. Il Prima e il Dopo. Ti ho percepito sulle ossa, senza che tra noi due potesse esistere lo spazio per il nulla. Non una parola per Te. Non una parole per me.
    Eppure mi eri accanto. Eri lì.
    Avresti avuto lo sguardo di chi conosce l’immortalità di un’anima, salvando te stesso. Il mondo.
    Eppure rimani lì, dove sei, a bearti di quel fottuto cartellino appeso all’alluce destro.
    Sei solo un numero. In un obitorio qualsiasi. In un qualsiasi Anno Domini.

    Come sempre Numero Sette.

    Come sempre Numero Otto.

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  19. OBLIO
    Arrivato ai miei ultimi giorni, e spinto verso la follia dalle atroci banalità dell’esistenza che scavano come gocce d’acqua distillate dai torturatori sul corpo della vittima, cercai la salvezza nel meraviglioso rifugio del sonno. Nei sogni trovai un poco della bellezza che avevo invano cercato nella vita, e m’immersi in antichi giardini e boschi incantati. (…) In un sogno m’incamminai per una valle d’oro che conduceva a una serie di boschetti ombrosi e a mucchi di rovine, per chiudersi con un muro possente coperto di rampicanti dove si apriva un piccolo cancello di bronzo. Ho camminato in quella valle molte altre volte, indugiando sempre più a lungo nella penombra magica, dove alberi giganteschi assumevano pose grottesche e parevano rannicchiati su se stessi; lì la terra incolore si stendeva umida tra gli alberi e a volte rivelava le pietre fangose di templi sepolti. Ma la meta delle mie fantasie era sempre la stessa: la muraglia di rampicanti in cui si apriva il piccolo cancello di bronzo. Poco a poco i momenti di veglia si fecero più rari e insopportabili, soffocati dal grigiore di un’immobilità stagnante. Sempre più spesso mi abbandonavo alla pace drogata che sola poteva ricondurmi alla valle degli alberi d’ombra, chiedendomi come avrei fatto a non lasciarla mai più: non volevo essere costretto a strisciare di nuovo nel mondo spento, privo di interesse e di nuovi colori. (…) Incertezza e mistero sono per noi le più grandi lusinghe, e mi dicevo che non poteva esistere orrore più grande della quotidiana tortura nel mondo grigio e banale della veglia. Finalmente venni a sapere che esisteva una droga capace di farmi superare il cancello: decisi quindi di berla non appena mi fossi svegliato. L’ho presa stanotte, e fluttuando nei sogni sono entrato nella valle d’oro, fra i boschetti ombrosi; poi sono arrivato davanti all’antica muraglia e ho visto che stavolta il cancelletto di bronzo era socchiuso. Dall’altra parte pioveva un fascio di luce che rischiarava di bagliori magici i grandi alberi contorti e la sommità dei templi sepolti. Mi sono fatto avanti con il cuore gonfio di canti, ansioso di imbattermi negli splendori della terra da cui non sarei più tornato. Ma non appena il cancello si è aperto del tutto e l’incantesimo della droga e del sogno mi ha trasportato dall’altra parte, ho capito che visioni e splendori erano arrivati, ormai, alla fine: in questo nuovo universo non c’è né terra né mare, ma solo il vuoto luminoso dello spazio disabitato, illimitato. Più felice di quanto avrei mai creduto di poter essere, mi sono dissolto ancora una volta nell’oblìo infinito, trasparente, da cui il demone della vita mi aveva chiamato per una breve e sconsolata ora.
    (H. P. Lovecraft – Ex oblivione)
    …………
    DO UT DES Ninni caro…
    Letteratura per letteratura.
    Cordiali saluti a tutti.
    E a te… desaparecido!

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  20. Buona sera, Lord Ninni.
    Un grande post e davvero c’è poco da aggiungere dopo tanta artistica letteratura e commenti così dotti e esaustivi.
    Tra l’altro, mi ha impressionata il flashback di biblica memoria, origine della vita e del male insieme.Un male da libero arbitrio, ci ricordano, un male che comunque spesso possiamo solo tentare di arginare, di mutare perchè derivato da arbitrio altrui. Ma è un tentativo da fare e da perseguire finchè “il desiderabile sia ancora possibile”.
    Un saluto cordiale,
    Marirò

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  21. caro Ninni
    non ti nascondo di aver letto non meno di tre volte il tuo racconto. (Forse qualcuna in più, ma tre sono sicure)

    Una analisi dello stesso è impossibile (almeno per me) in quanto è difficile raccogliere quelle sfumature da te inserite, come in un gioco di scatole cinesi.
    Abbiamo implicazioni caratteriali, morali, dello spirito e riflessioni sulla fede che, tu, hai nascosto nel “ricordo” infantile, con tutto quello che ne consegue.
    E non solo.

    Credo e ritengo che un pezzo di letteratura, così ben scritta, debba essere osservata e conservata in usi futuri.
    Sono andato a leggere, su Krenneg McAff, tutto quello che aveva attinenza con Numero Sette. Ho visto che, questo brano, non è stato pubblicato, quindi, oltre che leggere autentica letteratura, ho assistito alla nascita di una “Prima mondiale”.

    Non potevo provare e leggere di meno.
    Ciao

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    • … e dal finestrino osservo opachi amori …


      preg.mo Valerio B.


      che nel caldo sorridono.

      Accanto a me
      una chiesa
      che fa pensare alla morte.

      nella tempesta silenziosa
      che ruba ogni sorriso.

      Grazie

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  22. Perché questo brano introspettico è così fresco, bello?
    La potenza delle sue parole, caro dott. Raimondi, riempie quelle lacune, quelle pozzanghere che noi nascondiamo, anche, ai nostri occhi.
    Un brano bello e violento.
    Un brano delicato e soffice.
    Un outing dell’essere umano che colpisce e annichilisce nel profondo delle proprie verità.

    Buon lavoro
    GF

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    • … sperduto nel nero deserto …


      preg.mo Sig. Gran Finale

      Accanto a me soltanto
      la gioiosa paura
      che urla.

      Sperduto nel nero deserto
      dove i sogni diventano tetre tentazioni
      e uccido me stesso.

      Grazie

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  23. Il potere delle parole sull’uomo.
    Ecco la storia del sentimento ucciso e umiliato dalla cattiveria dell’uomo.
    Perché non ascoltare, anche, le urla di terrore che si levano in difesa delle lacrime?
    Un atroce viaggio tra quello che è e quello che è “forse”.

    Ciao Milord

    Lilly

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  24. Ehi… Gatta Strabica!!!
    Qua di gatta ne esiste solo una… e sono io.
    Difendo la mia casa e caccio le intruse!!!
    Senti gatta oscura se vuoi una gattata vieni nel luogo delle chiacchiere che ti stronco!!!
    Questo non è un post per gatte porche … parla di morte impossibile e di filosofia… e non di pseudo orgasmi post coito letterario!! Hai capito???
    Qui ci sono commenti di letteratura eccelsa… ci sono parole che riempiono l’anima e il cuore.
    Se non sei in grado di comprendere ciò che ci viene donato da Ninni vai al diavolo.
    Gatta scimunita che sei!!!
    Se vuoi ti sfilo le sette vite che hai… e ti faccio vedere che l’impossibile diventa possibile.

    Scusa Ninni ma quando ci vuole ci vuole….

    La gatta Pimpinella arrabbiata.

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  25. Che tristezza!

    La figura di “Numero sette” esalta e viene esaltata, in modo simbiotico, dal racconto stesso. Un veloce correre dentro il labirinto della mente e delle emozioni che offrono la visione interessante: quella di Numero sette.
    Fermiamoci un attimo e tratteniamo il respiro su questa tristezza.
    Tristezza perché oltre il perbenismo vi è altro. Abbiamo la certezza che la vita è chiusa in un labirinto oscuro e che non ha uscita. La riflessione di Numero sette è precisa in tutta la sua innocenza:

    “Di quegli attimi ricordo, unicamente, la mia esplosione brutale di energia fino ad allora repressa. In quel periodo oscuro dovetti fare i conti con l’odiosa virtù della rassegnazione.”

    Cosa può portare un uomo a violentare la propria vita così? Voglio sottolineare la frase (di Ninni): “dovetti fare i conti con l’odiosa virtù della rassegnazione”.
    E’ odiosa ma viene considerata una virtù.
    Il motivo è una medaglia e il suo rovescio.

    Capire la filosofia, che le parole esprimono, porta a capire quella dell’isolato dalla società.
    “Numero sette”.
    Quel numero che dal dolore umano e dalla sofferenza tutta interiore lotta per l’affermazione della verità: la nostra condizione.

    L’unica risposta resta: “Finalmente libero, mi addormentai”.
    Libero e trasformato dal mondo reale contro quel mondo fittizio e repressivo in cui è vissuto.
    Grazie per queste pagine di poesia … in prosa.
    Sei proprio bravo.

    Ciao gattone.

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  26. Mi corre l’obbligo sottolineare la profondità delle parole, caro milord, che ci mettono di fronte a noi stessi e alle nostre paure.
    Paure che si presentano e si ripresentano, nel quotidiano, oltre la cortina dei sogni talmente sottile da travalicare gli incubi.

    Ho avuto modo di leggere con più attenzione e interesse e rimango stupito da quanto, letto, si impara ogni giorno.
    Profondità, sostanza e letteratura.

    Un abbraccio

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    • … il dubbio dello sbaglio, del non corretto …


      Sir Spillo

      Il dubbio dello sbaglio,
      del non corretto, dell’aver permesso,
      il controverso, incerto, discutibile,
      il promesso non mantenuto,
      l’abbaglio del perché,
      per quale ragione;
      un senza senso di quella posizione
      non giusta, forse imperdonabile.

      Grazie

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  27. “Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”.

    – Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo” –

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  28. LA GATTA PIMPINELLA.

    Ma quanto sei spiritosa!
    Se questo è il tuo modo di inzozzare un brano di letteratura, meglio che inizi a scommettere sulle tue sette vite.
    Ovviamente inutili.

    Ciao micione!

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  29. LA GATTA GRIGIOTOPO…
    cito:
    […] Riesco ad andare in estasi quando ti leggo e quando ti penso. Un orgasmo che mi richiama, alla mente, una festa di profumi lontani. Ciao gattone […]

    Su dai…di cosa vogliamo parlare?
    Se avevi avuto il mio consenso con il “brano di letteratura” che hai postato in seconda battuta, con questa tua ultima risposta sei crollata miseramente… Peccato… avevi avuto la possibilità di elevarti… Invece… me ne farò una ragione….

    Per quanto riguarda le sette vite, sono a metà della mia ultima vita. L’è dura ma non totalmente inutile… Ti ho tirato fuori (forse è stato c… ) un bel pezzo. degno della pagina di Ninni…
    Il resto è aria fritta.

    Cordiali ossequità e inchinamenti vari.

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  30. Buon giorno Ninni.
    Leggo, con l’antica gioia per gli occhi, il tuo modo sempre elegante nella risposta per i tuoi lettori.
    Eleganza, stile e signorilità. Questo mi ha colpita fin dalla prima volta che ci siamo conosciuti. Riservatezza, poi, al limite della “chiusura” totale.
    Signore fino in fondo, anche nella semplice risposta.

    La felicità di leggerti, adesso, è pari al leggere tue notizie.
    Buona giornata.
    Ciao

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  31. Salve Lord Ninni, è stato molto interessante leggerti, entrare tra le pieghe più scure dell’anima e porsi tanti perché ,specialmente quando i dubbi rodano l’anima, e come gorghi divorano dentro…
    Ritornerò a leggerti ! Prometto. Sei un grande affabulatore!… Buona serata!
    Dora

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