Ohcumgache

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Ohcumgache
(*) Omaggio a Hector German Oesterheld

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0 Ohcumgache.

Da giorni ormai il sentiero si era fatto un’arida pista.
1 OhcumgacheLa polvere ricopriva le facce e irritava la gola.
Tutti si sentivano preoccupati per la mancanza d’acqua che faceva muggire il bestiame e scavava il viso dei più piccoli.
Tutti erano allarmati per la presenza dei cheyenne apparsi, d’improvviso, come statue e fermi lì a circa mille piedi, sui primi contrafforti delle Montagne Rocciose. Proprio le Montagne Rocciose attraverso le quali, gli uomini e le donne del convoglio, dovevano per forza transitare se non volevano morire di sete.
-Perché non ripartiamo mamma? Domanda una bambina stringendosi alla madre.
– Ora riprenderemo il viaggio, ripartiremo presto vedrai. Il vecchio Oregon farà qualcosa. Ne sono sicura.
A qualche spanna dal cerchio, formato dai carri fermi, si andavano riunendo gli uomini del convoglio.
– Dovremo batterci, non c’è via di scampo – mormorò Wilbert Glenn More, lanciando occhiate di fuoco verso le figure, immobili, degli indiani.
I suoi lunghi baffi erano bianchi di polvere.
– Dovremo farci sotto prima che la mancanza d’acqua ci lasci senza cavalli – aggiunse.
– Hai ragione, Will, non c’è via di scampo – intervenne Sampson Christian, sforzandosi di fare la voce grossa2 Ohcumgache perché non si notasse troppo la sua faccia di adolescente; le sue mani, madide di sudore, stringevano nervose la carabina.
– Non vedo come sarà possibile batterci. Con i cavalli non possiamo arrampicarci sulle rocce e se vogliamo infilarci dentro a El Paso, gli indiani faranno il tiro a segno con noi. No, non possiamo batterci.
Vi fu un grande silenzio e tutti si voltarono verso l’ultimo arrivato. Era un uomo che suggeriva l’immagine di una vecchia quercia segnata da infinite tempeste ma ancora robusta e resistente.
Si chiamava Oregon Trail.
– Prima di cominciare a sparare – aggiunse l’uomo – possiamo fare un tentativo: andrò io a parlamentare; forse riuscirò a convincere Ohcumgache (piccolo lupo), il capo cheyenne, a lasciarci passare.
– Come? Voi siete disposto ad andare fra gli indiani? – Glenn More guardò Oregon con grande incredulità.
Gli altri si unirono al suo sguardo.
3 OhcumgachePer tutta risposta, Oregon spronò il cavallo. Al galoppo, si diresse verso i contrafforti. In pochi istanti arrivò a tiro di fucile. Vide come due guerrieri lo tenessero nella mira delle loro carabine. Continuò a galoppare avvicinandosi, sempre di più, agli indiani.
Non gli spararono.
Finalmente raggiunse un breve spiazzo di sabbia: li stava Ohcumgache, il capo cheyenne, circondato dagli anziani e dai guerrieri. Fermò il cavallo e alzò la mano in segno di saluto.
Nessuno rispose.
– Non abbiamo acqua Ohcumgache – esordì con la voce resa aspra dalla sete – vengo a chiederti di lasciarci passare.
Il volto del capo rimase impassibile.
– Te lo chiedo in nome delle donne e dei bambini del convoglio. Non ci resta un sorso d’acqua. Ormai, i più piccoli, stanno morendo.
– Nessuno ha chiamato i Visi Pallidi perché venissero, così lontano, dalle loro “Wigwamps” – Un lento sorriso ironico s’insinuò fra le rughe del vecchio cheyenne.
Oregon strinse i denti.
– Gli uomini della carovana sono disperati e vogliono battersi, Ohcumgache. Se lo faranno, può anche darsi che tu li vinca, ma prima non saranno pochi i tuoi guerrieri che perderanno la vita.
– Per questo sono guerrieri!
– Ma i capi ci sono per evitare morti inutili – insistette Oregon. – Se non sbaglio, i tuoi anni sono tanti quanto i miei, siamo uguali. Ti sfido a disputare con me – col pugnale o il tomahawak – la sorte del convoglio. Se vinco io, il convoglio potrà passare. Se tu mi vinci, il convoglio sarà tuo.
Ohcumgache sputò, per terra, con rabbia.
– Chi mi credi? Un cucciolo di guerriero che non si è, ancora, guadagnato le prime penne d’aquila? Potrei4 Ohcumgache accettare la tua sfida soltanto se dovessi dimostrare coraggio e abilità di fronte alla mia gente. Da molto tempo, però, tutti conoscono le mie qualità. Tu sei invecchiato nel deserto. Oregon, ti credevo più intelligente. A meno che non siano stati il sole e la sete a prosciugarti tutto il “pemmican” che conservavi nel tuo cervello.
Una gran risata, dei guerrieri, sottolineò le parole di Ohcumgache.
– Che si batta la tua gente, se vuole – continuò, sdegnoso, il capo cheyenne – così moriranno prima. Il convoglio è già nostro: con i cavalli in quelle condizioni non potete, ormai, tornare indietro e con l’acqua che vi rimane, non resisterete un giorno di più. Domani, circa a quest’ora, io e i miei guerrieri scenderemo tra i carri del convoglio per tagliare, ai morti, il braccio destro all’altezza del gomito, secondo il costume cheyenne, così tutti sapranno che siamo stati noi i vincitori. I sopravvissuti li metteremo nelle mani delle squaws. Sai bene, vero, come si divertono a far strillare i prigionieri.
Oregon Trail sembrava non udire quelle parole. Conosceva fin troppo bene qual era la fine che attendeva i convogli caduti in mano agli indiani.
Troppe volte aveva visto la sofferenza, di uomini e donne, prima che le fiamme distruggessero i carri e gli avvoltoi calassero su tanta carne martoriata.
Oregon si sentì vinto e, senza degnare di uno sguardo il capo cheyenne che continuava a parlare sempre più infervorato, tornò al proprio cavallo.
Pian piano cominciò ad allontanarsi.
Il cavallo, affondando gli zoccoli, soffiò forte. Tra poco sarebbe riapparso oltre la piccola pianura, agli occhi di Oregon Trail, il convoglio.
Un convoglio, ormai, condannato.
– Oregon! – una voce lo raggiunse imperiosa.
5 OhcumgacheEra Ohcumgache, il capo dei Cheyennes.
– Sei disposto a batterti in un duello con me, per salvare il convoglio, non è così?
– Sì, è così.
– Battermi con te sarebbe, da parte mia, una sciocchezza. Una sciocchezza più grande di tutta la prateria. Se, però, sei disposto a dare la tua vita per salvare il convoglio, forse un modo c’è.
– Un modo? Quale modo? – il vecchio cuore di Oregon Trail cominciò a battere con più forza. Forse qualcuno aveva accettato la sua sfida! Fosse stato il più forte e agile di tutti i Cheyennes, non avrebbe rifiutato il combattimento.
– Tu sei famoso tra le nostre tribù, Oregon. Sei molto più famoso di quanto tu non creda. Colui il quale riuscisse a strapparti il cuore dal petto, si guadagnerebbe un’immensa reputazione di guerriero. Ebbene, quella reputazione, la voglio per me.
– Ti sei deciso a batterti, finalmente?
– No! Come devo dirtelo che non sono uno stupido?! Quello che ti propongo è, soltanto, uno scambio: Il tuo cuore in cambio del permesso, alla carovana, di passare tra le Montagne Rocciose fino a raggiungere l’acqua.
– Il mio cuore? Il mio cuore in cambio della carovana?
– E’ così!
– E … come lo toglierai?
– Te lo strapperò con questo pugnale. Anche subito, qui, se accetti.
Oregon Trail osservò per un attimo, in silenzio, Ohcumgache. Il capo cheyenne non stava scherzando. I suoi 6 Ohcumgacheocchi manifestavano la massima gravità, tutta la gravità di cui è capace un indiano.
Scese da cavallo.
Anche Ohcumgache saltò a terra.
Con le dita, come intorpidite, Oregon Trail iniziò a sbottonarsi la camicia. A poco a poco apparve il vecchio petto segnato dalle cicatrici, ormai antiche testimoni di mille avventure.
– So che posso contare sulla tua parola, Ohcumgache. Sono sicuro che, se ti do il mio cuore, tu lascerai transitare tranquillamente il convoglio.
Nella mano del cheyenne era già apparso il pugnale. Ohcumgache appoggiò la punta d’acciaio sulla pelle di Oregon. Come se volesse saggiarne la resistenza. Premette un po’ e fissò i suoi occhi in quelli di Oregon. Premette ancora un po’. Oregon serrò le mascelle. Era come se gli avessero appoggiato, al petto, un ferro incandescente per marchiare il bestiame. Il cheyenne aumentò la pressione della lama. Il pugnale, dapprima, incontrò una leggera resistenza nei muscoli, poi penetrò di alcuni centimetri.
Oregon ebbe d’un tratto la sensazione che gli occhi, spaventosamente fissi del cheyenne, cominciassero a ballare follemente. Il bruciore divenne atroce, insopportabile. La lama penetrò ancora un po’.
La luce del giorno sembrò scomparire, d’un tratto, per Oregon Trail.
Era appena trascorsa mezz’ora quando, un guerriero cheyenne, si avvicinò al convoglio gridando: “Il grande capo, Ohcumgache, vi lascia passare. Potete proseguire il viaggio, visi pallidi!”.
– E Oregon? Che ne avete fatto della nostra guida? – domandò, come stordito, Glenn More.
7 Ohcumgache– L’uomo saggio non fa domande, quando riceve un regalo. Accetta e ringrazia dal profondo del suo cuore – rispose il guerriero spronando il cavallo e scomparendo in una nuvola di polvere.
La carovana rimase ferma, ancora, un’ora. Gli uomini non riuscivano a convincersi che non si trattasse di una trappola. Finchè la sete non li vinse e iniziarono ad avanzare, diffidenti, tra le rocce dei contrafforti. Più avanti, i buoi, avvertirono la presenza dell’acqua non lontana e non ci fu più bisogno del pungolo per farli procedere speditamente.
Anche Oregon Trail era, ormai, lontano e privo di sensi sopra una pelle di bufalo tesa tra due cavalli in marcia.
Il suo corpo bruciava per la febbre, provocata dalla profonda ferita al petto. Su uno dei due cavalli cavalcava Ohcumgache.
– Non me l’hai strappato il cuore – tentò di dire, più tardi, Oregon riemergendo da un abisso di nebbia.
– Veramente non ho gretta – gli rispose il cheyenne senza guardarlo.
– L’inverno è vicino e ormai dobbiamo prepararci a passare una brutta stagione. Cercheremo una valle riparata tra le montagne e lì innalzeremo i nostri “tepee”.
– Che farai di me, Ohcumgache?
– Non so ancora. Ti ho già detto che non ho fretta. In ogni modo il cuore di Oregon il coraggioso, il cuore del famoso Oregon adesso è mio.
Il gruppo avanzò per un lungo tratto in silenzio.
– Sai una cosa? – disse d’improvviso il cheyenne.
– Credo che ti lascerò vivo fino a primavera.
– La primavera? Perché fino a primavera?
– Vedi, Oregon, le notti d’inverno sono molto lunghe per noi sepolti nei “tepee” sotto la neve, mentre fuori, tra i pini, ululano i lupi. Sono lunghe, molto lunghe, anche se i guerrieri hanno molte storie da raccontare.
– Cosa c’entro io con tutto ciò? – domandò Oregon riprendendo un po’ di fiato.
– Succede che, a volte, annoia sentire raccontare le stesse imprese. – rispose lentamente Ohcumgache – Penso che sarà interessante raccontare altri racconti, altre imprese compiute da gente diversa da noi. Sì, credo che ti lascerò vivere fino alla prossima primavera Oregon.
– Solo, soltanto per questo non mi hai strappato il cuore, Ohcumgache?
Il cheyenne sembrò non aver udito la domanda mentre, il suo sguardo vuoto, si perdeva dietro una nuvola di polvere sollevata dal vento all’orizzonte.
(*)
Hector German Oesterheld, un geniale scrittore di fumetti, fu assassinato brutalmente da “chi”, ancora, credeva che uccidendo gli uomini si possano uccidere le idee.
(Buenos Aires, 23 luglio 1919 – 21 aprile 1977-* La data di morte è incerta perché desaparecido.)
Oesterheld scomparve il 21 aprile del 1977 a La Plata, prelevato da una squadra armata. Da allora è entrato a far parte della numerosa schiera dei desaparecidos argentini. Dal giugno dell’anno precedente erano sparite due sue figlie, Beatriz Marta e Diana Irene, quest’ultima incinta di sei mesi. Nel novembre 1977 a scomparire è una terza figlia, Marina (incinta di otto mesi e il cui marito era già desaparecido). Il mese dopo è uccisa, insieme al marito, anche Estrela Inés, l’ultima figlia fino allora sopravvissuta alla Guerra sporca della giunta militare argentina.
Secondo i registri raccolti dal CONADEP, fu detenuto nella caserma Campo de Mayo e nei centri di detenzione clandestina conosciuti come El Vesubio e El Sheraton e fu visto anche nel Batallón de Arsenales 601 Domingo Viejobueno; fu assassinato, si crede, a Mercedes, in provincia di Buenos Aires, nel 1978. (Fonte WKPD- http://it.wikipedia.org/wiki/H%C3%A9ctor_Oesterheld ).
Per mantenere viva la sua presenza nell’affascinante mondo degli eroi di carta.

8 Ohcumgache finale.

Cordialità

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58 pensieri su “Ohcumgache

  1. Una storia diretta.
    Bella, mi sono immersa nella storia e ho sentito il sudore di Oregon e la voce di Ohcumgache.
    Ho sentito le urla e ascoltato i zoccoli dei cavalli mentre arrivano a El Paso.
    Buon giorno mio signore Milord.

    🙂

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    • lady Eleonora Bisi

      Il sudore di Oregon, da voi così trattato è pari al dolore vissuto sia dai primi prigionieri, sia dai conquistati. Ci riferiamo, in particolare, ai nativi del continente americano. Vennero massacrati e oggi, nei civilissimi Stati Uniti d’America, sono rinchiusi in parchi zoo.
      Grazie e cordialità

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  2. Caro Ninni tu non sai che piacere è stato per me leggere la tua storia.
    Dovrebbe essere sceneggiata da un buon disegnatore.
    Inoltre la tua dedica al grande e mai dimenticato Oesterheld, che tanta parte ha avuto nell’infanzia di tantissimi ex bambini. Me compreso.
    Buona mattinata

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    • sir Spillo

      Ci piacerebbe che possa venir sceneggiata quest’umile storia.
      Sarebbe, comunque, dedicata ed evidenziata ad uno dei più bravi autori del fumetto (come evidenziato in epigrafe all’articolo).
      Grazie

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  3. Letteratura. Letteratura a margine di un grande uomo che ha fatto la storia del fumetto impegnato. Mi riferisco e sto parlando del fumetto d’autore.
    Condivido l’intervento di Spillo. Mi piacerebbe vederla disegnata questa storia.
    Ciao

    PS: bella anche la grafica
    Bye

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  4. Grandioso racconto, Milord! Sia per la prosa – perfetta -, sia per il contenuto. I personaggi appaiono reali, veri, e sono descritti con assoluta perizia. La storia è scorrevole e “prende” il lettore fino all’ultimo. Mi associo al pensiero dedicato a una delle vittime di questo mondo scellerato.
    Radiosità.

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    • m.me Annelise Baum

      beh, mia signora, anche noi siamo orgogliosi per la Vostra presenza.
      Quella dedica venne formulata a Hector German Oesterheld che, ritenemmo, uno dei migliori autori per fumetti che si possa sperare.
      Grazie e cordialità

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    • lady Lilly Sim

      Saremo sinceri anche noi: condividemmo (in ogni caso) la massima ammirazione per quei popoli, gli indiani d’America.
      E adesso vi faremo, un umile e piccolissimo, regalo.
      Il nome, impronunciabile del capo cheyenne “Ohcumgache”, significa, proprio in lingua cheyenne, Piccolo Lupo.
      Con ammirazione

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    • Preg.mo Sig. Grande Flagello.

      Già. Anche noi. indimenticabili le storie de L’Eternauta. (Molte storie sceneggiate da Oesterheld erano disegnate dal bravissimo Francisco Solano López, uno fra i più bravi disegnatori.).

      Che nostalgia.
      Salutations

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