Nadiya Zaytseva XXIII

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1Pur essendo rientrata a tarda ora dal banchetto dello Zar Alessandro, Nadiya si alzò al levar del sole e indossò un abito da carrozza di seta, orlato di pizzi, e una collana di perle a tripla fila per nascondere la ferita, ormai quasi risanata. Lasciò i capelli sciolti sulle spalle, troppo inquieta per aspettare che Sophy glieli raccogliesse in un elegante chignon.
Il tormentoso senso di impazienza continuò ad affliggerla mentre terminava la colazione e poi si ritirava in un salottino affacciato sul giardino delle rose.
Era un locale molto accogliente, con la tappezzeria di seta giallo pallido e mobili francesi dipinti d’oro e rivestiti di raso color crema. I tavolini intarsiati d’agata sfoggiavano una collezione di delicati cammei. Sul soffitto era affrescata una scena di amorini che danzavano tra le nuvole.
Ma non era tanto la bellezza della stanza ad attirare Nadiya, quanto il sole mattutino che filtrava dalle alte finestre.
Si raggomitolò su un divano e tentò di concentrarsi nella lettura, cercando di non riflettere troppo sul breve incontro serale con Stefan né sul biglietto che le era stato consegnato all’uscita dal palazzo.
Se durante le ultime settimane aveva appreso una lezione era di non perdere tempo a interrogarsi sul Duca di Huntley.
Passarono parecchie ore prima che un rumore di passi la convincesse a riporre il libro, con il cuore che batteva forte.
Mentre si lisciava la gonna, fece il suo ingresso Pyotr.
Da quando lei era rientrata a San Pietroburgo, il suo fedele servitore la sorvegliava come una chioccia con i pulcini.
“È tornato Huntley. Lo devo mandare via?”
Lei si alzò in piedi. “No, Pyotr. Per favore, dite a Sergi di farlo accomodare.”
“Ne siete sicura?”
Nadiya si sforzò di sorridere. Non si era mai sentita tanto incerta in vita sua. La semplice presenza di Stefan la gettava in un turbine di confusione. La ragione le suggeriva di trattarlo con fredda indifferenza. Prima o poi, la sua apatia l’avrebbe persuaso a rinunciare a cercarla. Tuttavia le bastavano pochi minuti in sua compagnia per emozionarla come un’adolescente di fronte al primo corteggiatore.
“Sì” riuscì a rispondere.
“Allora vado a chiamare Sophy.”
“Non è necessario.”
“Non potete stare qui da sola con lui” borbottò lo stalliere.
“Il duca mi ha invitata a un giro in carrozza.”
Pyotr la guardò con sospetto. “E voi avete acconsentito?”
“Certo.”
“Perché?”
“È una questione che riguarda me e lui.”
Pyotr non era affatto contento dalla sua decisione di incontrarsi in privato con colui che evitava da giorni.
“Allora verrò con voi.”
“Grazie, Pyotr, ma non è necessario.”
“Avete scordato che c’è ancora in circolazione un folle intenzionato a uccidervi?”
Nadiya fu percorsa da un brivido gelido. Soffriva di incubi ogni notte sin da quando era tornata a casa. Non in quella appena trascorsa, però.
I suoi sogni erano stati dominati da un gentiluomo bruno dagli occhi blu che le faceva ribollire il sangue.
“Non me ne dimentico affatto.”
“Dunque capite che vi serve protezione.”
“Un compito che ora spetta a me” dichiarò una voce virile alle spalle di Pyotr.
“Stefan” mormorò lei con il cuore impazzito, mentre una figura alta e snella superava lo stalliere e le andava di fronte per farle il baciamano.
“Graziosa come sempre, colombella.”
Per qualche istante la mente di Nadiya si rifiutò di funzionare. Com’era affascinante Stefan con i suoi lineamenti fini, i folti riccioli neri e gli occhi blu!
Lei provava l’istinto di affondargli le dita tra i capelli e baciare le sue labbra sensuali. Il desiderio frustrato la torturava ogni giorno di più.
Si riprese con un sforzo e, voltandosi verso la porta, rivolse un cenno al maggiordomo dai capelli grigi, rimasto dietro a Pyotr.
“Grazie, Sergi, è tutto.”
L’anziano domestico lanciò a Stefan un’occhiata severa, poi salutò con un rigido inchino. Era evidente che2 Stefan era entrato a forza in casa, offendendo il povero Sergi.
“Molto bene” rispose infine e si allontanò.
Lei riportò l’attenzione su Stefan, che sorrideva con aperta soddisfazione.
“Non c’era alcun bisogno di maltrattare i miei domestici” lo rimproverò.
“Ero stanco di aspettare davanti alla vostra soglia.”
“Avevo acconsentito a venire con voi. Non mi rimangio la parola data.”
“Allora attribuite i miei modi scortesi alla fretta di rivedervi…” mormorò lui.
“Potete conversare con Miss Zaytseva nella sicurezza della casa” notò Pyotr dall’altro lato della stanza, “senza trascinarla per le strade cittadine.”
Stefan serrò le labbra, in ogni caso non distolse lo sguardo da Nadiya.
“Poiché Vanya Petrova è stata così gentile da prestarmi la carrozza, non dovrò trascinare Miss Zaytseva.”
“Comunque è pericoloso” insistette Pyotr, senza curarsi della battuta.
Lui si voltò a guardarlo con un sospiro spazientito.
“Non temete: ho un vetturino e due servitori a cavallo. Miss Zaytseva sarà ben difesa.”
“Non mi piace questa faccenda.”
“Forse no, ma sono sicuro che Miss Zaytseva è stanca di stare confinata in casa” notò Stefan con gentilezza. “Non è più prigioniera e merita di sentire i raggi del sole sul viso.”
Il cuore di Nadiya minacciò di sciogliersi. Nessuno, tranne lui, si era mai accorto di quanto amasse il tepore delle belle giornate e il calore del caminetto acceso.
Forse per altre donne non avrebbe significato molto ma per lei era… sorprendente.
“Andrà tutto bene, Pyotr. Restate qui a occuparvi di mia madre.”
Lo stalliere brontolò tra sé, ma non avendo nessuna autorità per tenere Nadiya relegata in casa, rispose con uno stentato cenno del capo. “Se proprio insistete…”
Ignorando il suo sguardo d’ammonimento, Stefan prese a braccetto Nadiya e la scortò per il corridoio. Sostò un istante vicino all’ingresso mentre lei si metteva un cappellino dai nastri color pesca e poi, lasciando che il maggiordomo aprisse la porta, la condusse giù per la scalinata verso una carrozza scoperta dai sedili di pelle bianca.
Nadiya riconobbe vagamente il servitore al posto del vetturino e quelli che affiancavano a cavallo la vettura: le era capitato di incrociarli durante il soggiorno a Meadowland.
Tuttavia si stupì nel notare l’assenza di Boris, poiché aveva avuto l’impressione che non intendesse lasciare il duca fino al rientro in Inghilterra.
Dopo che si furono accomodati, la carrozza partì e i colpi secchi degli zoccoli sul selciato echeggiarono nel tranquillo quartiere di San Pietroburgo.
Lei rimase in silenzio mentre si allontanavano dalla dimora, intenta ad assaporare il calore del sole. Stefan aveva ragione: era rimasta rinchiusa troppo a lungo.
“Dove andiamo?” si informò infine Nadiya, mentre percorrevano un lungo ponte che portava fuori città.
“Immaginavo che avreste gradito qualche ora in campagna” le rispose lui, voltandosi a guardarla. “Vi fa piacere?”
“Vi interessa davvero se mi fa piacere o no?” gli domandò Nadiya in tono acido.
Lui ignorò la domanda e invece le sfiorò con delicatezza le lievi occhiaie.
“Sembrate stanca. Dormite bene?”
“Abbastanza.”
“Cosa vi turba il sonno, Nadiya? Avete degli incubi?”
Lei sospirò. Quell’uomo era troppo perspicace! Una qualità preziosa per trattare con domestici o fittavoli. Lei, però, avrebbe preferito tenere qualche pensiero per se stessa.
“A volte.”
“Gerhardt ha scoperto qualche traccia di Sir Charles?”
“No. Ma è raro che comunichi tutto quello che sa” ammise con una smorfia.
3Stefan le posò una mano sotto il mento e lei si trattenne a stento dallo sfregarsi contro le sue dita come una gatta.
“Vi potrei tenere al sicuro a Meadowland, almeno finché quella canaglia non verrà catturata.”
“Siete davvero l’uomo più ostinato del mondo” lo rimproverò Nadiya con sincera esasperazione.
Lui le accarezzò il labbro inferiore con irritante confidenza. Per fortuna avevano raggiunto i sobborghi del centro abitato ed erano lontani da occhiate curiose.
“Non mi dimostrerei così testardo se voi foste più ragionevole” le fece notare lui.
“Il che, nel vostro linguaggio, significa obbedire a ogni comando?” indagò lei.
“Sarebbe già un buon inizio.”
“Capisco perché non siete sposato. La vostra povera moglie mi farebbe compassione.”
Un’emozione indefinibile gli illuminò gli occhi. “Sì?”
“Certo” confermò Nadiya, ignorando la stretta al cuore.
“Vi sbagliate. Quando voglio bene a una donna, faccio di tutto per renderla felice. Soddisfatta da ogni punto di vista” aggiunse bisbigliandole all’orecchio.
Lei sussultò per l’improvviso calore che le percorse le membra. “Arrogante, oltre che testardo.”
Stefan le sfiorò il collo con le labbra. “Annientereste un uomo più debole di me” le assicurò. “A meno che non preferiate un tirapiedi…”
Nadiya si sottrasse in fretta, temendo di sciogliersi dal languore.
“Voglio un gentiluomo che rispetti la mia capacità di decidere, non un prepotente che ignora le mie opinioni” ribatté irritata.
Lui le cinse le spalle con un braccio, senza smettere di fissarla in volto.
“Non ho alcuna intenzione di contraddire la vostra volontà, ma soltanto l’assurda convinzione che io intenda farvi del male.”
“Chiedermi di diventare la vostra amante mi farebbe soffrire” gli rispose a voce bassa, per evitare che la sentissero i servitori.
Stefan strizzò gli occhi, in preda alla frustrazione. “Vi ho solo domandato di concedermi la vostra compagnia. La decisione di non limitarci alla conversazione starebbe a voi.”
Avendo riconosciuto l’espressione caparbia di Nadiya, Stefan lasciò calare il silenzio.
Maledizione! Non era stupido. Aveva visto i suoi occhi illuminarsi di gioia quando si era presentato nel salottino, si accorgeva delle sue reazioni alle carezze.
Allora per quale motivo seguitava a respingerlo?
Quella donna era capace di convincere un uomo a farsi monaco.
Si voltò a contemplare il paesaggio per impedirsi di abbracciare Nadiya e baciarla fino a farle perdere i sensi.
Non che riuscisse a ignorare la sua presenza.
Persino mentre osservava i miseri servi della gleba chini sui campi, sentiva il corpo pulsare di eccitazione.
Il profumo di gelsomino gli stuzzicava le narici e il calore del suo dolce corpo oltrepassava la barriera dei vestiti. Era difficile resisterle.
Infine la carrozza rallentò e svoltò in un viale alberato in fondo al quale sorgeva un sontuoso edificio in pietra adorno, sulla sommità, di statue di divinità greche.
Stefan, comunque, ammirava soprattutto il parco, dove, a parte il giardino formale e la grande fontana, regnava la bellezza spontanea della natura.
Pur avendo una bassa opinione dell’insidiosa politica russa, apprezzava di tutto cuore l’intatto splendore dell’ambiente.
Gli piaceva allo stesso modo di Nadiya, che, come il paesaggio, era indomita e piena di sorprese.
Il vetturino fermò i cavalli davanti all’ampia terrazza d’ingresso. Stefan scese a terra e porse il braccio a Nadiya.
“Cosa ci facciamo qui?” gli chiese lei, consentendogli malvolentieri di aiutarla a posare i piedi sulla ghiaia.
Lui mantenne una ferma presa sul braccio, temendo forse che si desse alla fuga nello scoprire la sorpresa che le teneva in serbo.
“Siete un po’ dimagrita” commentò conducendola su per i gradini. “Speravo di stuzzicare il vostro appetito.”
Nadiya si irrigidì. “Non credo che migliorerà molto, buttandomi in mezzo a un gruppo di estranei.”
“Fidatevi di me” le rispose con un sorriso.
“Sono stanca di sentirmelo dire.”
Prima che Stefan potesse risponderle, la porta venne spalancata da una governante di mezza età, dal viso4 rotondo e dal sorriso accogliente.
“Vostra Grazia, Miss Zaytseva, siate i benvenuti” li salutò con un rapido inchino. “Mi volete seguire?”
Si voltò, attraversò il vestibolo e si diresse allo scalone che saliva con un’ampia curva. Nadiya lanciò a Stefan un’occhiata ostile, ma essendo troppo educata per reagire in malo modo, seguì la governante. Giunta al piano superiore, questa aprì la porta più vicina e rimase accanto a Stefan mentre Nadiya entrava.
Era una camera accogliente, dalle pareti rivestite di pannelli fino a metà e affrescate per il resto con scene pastorali. Un sofà a righe verdi era sotto una finestra affacciata su un lago lontano. Sedie in tinta erano state sistemate accanto alla stufa di ceramica. Al centro del locale campeggiava una tavola apparecchiata, con diversi vassoi coperti.
“Penso di avere procurato tutto ciò che avevate richiesto” mormorò la governante.
“Perfetto, grazie mille.” Stefan estrasse una grande moneta da una tasca interna della giacca e gliela porse. “Non ci occorre altro.”
“Molto bene.”
Con un sorriso d’intesa, lei si girò e si allontanò lungo il corridoio. Stefan chiuse la porta e girò la chiave, lasciata apposta nella serratura.
Senza capire che presto si sarebbero ritrovati soli nella grande dimora, Nadiya si era avvicinata al tavolo inarcando le sopracciglia per lo stupore.
“Chi è il proprietario?”
Stefan si affrettò a scostarle una sedia, attese che lei si sedesse, poi le tolse il cappellino, girò attorno al tavolo e prese posto a sua volta.
“Vanya Petrova, ma preferisce che non si sappia in giro.”
“Perché?”
Lui scelse con cura le parole. Vanya non divulgava volentieri il suo impegno per proteggere Alessandro Pavlovich.
“In certi casi preferisce incontrare gli amici con una certa discrezione” spiegò infine, servendole un’abbondante porzione di salmone condito con una delicata salsa ai funghi, fagiano arrosto e patate alla menta.
“Dunque siamo soli?” gli chiese Nadiya, guardando verso la porta.
Stefan si riempì a sua volta il piatto, poi versò a entrambi un bicchiere di vino.
“I miei domestici rimarranno di guardia fuori. Non ci sono pericoli.”
“Dipende da cosa intendete.”
“Vi prego, Nadiya, ho richiesto i vostri manicaretti preferiti” le disse con un sorriso, senza specificare che l’aveva osservata con tanta attenzione da conoscere i suoi gusti. “Che male c’è in un buon pasto?”
Nadiya si sistemò il tovagliolo in grembo e prese in mano la forchetta. “So che me ne pentirò.”
“Vi prometto che non sarà così.”
Lei arrossì un poco per i sottintesi intimi e, chinando il capo, si concentrò sul cibo. Stefan si compiacque di vederla mangiare con appetito.
Era diventata troppo magra durante lo snervante viaggio di ritorno, inoltre era evidente che dormiva male. Questo pungolava all’estremo il suo istinto protettivo.
Soltanto dopo avere svuotato il piatto, Nadiya rialzò la testa e gli domandò con perfetta calma: “Avete parlato con l’imperatore?”.
“Brevemente” le rispose sorseggiando il vino.
“Immagino volesse sapere per quale motivo siate venuto in Russia.”
Stefan alzò le spalle. A dire il vero, il colloquio con Alessandro aveva rappresentato una gradevole sorpresa. Lo zar, infatti, aveva dimostrato una comprensibile curiosità per il suo arrivo inatteso, ma si era accontentato di risposte piuttosto vaghe, senza indagare oltre.
Si era limitato a fissarlo con intensità, come se avesse colto più di quanto Stefan non volesse ammettere.
“Sì” confermò.
“Dunque?”
“Gli ho spiegato che, dopo la vostra partenza dall’Inghilterra, mi preoccupava il pensiero di voi in viaggio per l’Europa, con la sola compagnia di due servitori. Quindi ho deciso di assicurarmi che arrivaste a destinazione sana e salva.”
“E vi ha creduto?” gli domandò perplessa.
“Chi può dirlo con certezza? È ben nota l’abilità di Alessandro Pavlovich nel tenere per sé i propri pensieri. Perlomeno non sono ancora stato sbattuto nelle segrete.”
“Se ne pentirà appena verrà a sapere che mi avete condotta in questa casa isolata senza uno chaperon” ribatté lei.
Con un sorriso, Stefan fece scivolare la sedia sul pavimento, fino a portarsi al suo fianco.
“Come mi avete ripetuto più volte, è meglio che lo zar ignori alcune cose.”
“Quando conviene a voi.”
“A tutti e due” mormorò prendendo una fragola e mettendogliela tra le labbra. “Permettetemi.”
Lei affondò i denti nel frutto con il cuore che batteva forte. “Sono in grado di nutrirmi da sola.”
“Certo, ma così è più divertente.”
“E se vi mordessi un dito?”
5Stefan guardò incantato una goccia di succo rimasta sul labbro inferiore.
“Potete mordermi come volete.”
“Non mi tentate.”
Con una risatina, lui si chinò a leccarle il succo dal labbro. “È proprio quello che cerco di fare” sussurrò.
“Stefan…”
“Sapete di fragole.” Le rubò un bacio, poi un altro. “Le adoro.”
Nadiya gli posò i palmi sul petto, ma non lo respinse. “Non avete finito di mangiare.”
“Quello che desidero non è nel mio piatto.” Tracciò i contorni delle labbra con la punta della lingua, poi le baciò con dolcezza il collo, fermandosi alla collana di perle. “Quanto mi siete mancata, Nadiya. Il contatto con la vostra pelle, la fragranza dei vostri capelli, i vostri gemiti di piacere…”
Con un brivido, lei inarcò il collo in un muto invito. “Non dovremmo stare qui.”
Senza darle ascolto, Stefan continuò la sua sensuale esplorazione baciandole le spalle.
“Preferite che vi accompagni a casa?”
“Io…”
“Ditemi.”
Seguì una lunga pausa. Continuando ad accarezzarla, Stefan evitò a stento di chiederle di esaudire il desiderio di entrambi. Aveva aspettato tanto quel momento magico e non lo voleva rovinare con qualche parola sbagliata.
Mentre già si preparava ad affrontare la frustrazione, gridò quasi di sollievo quando Nadiya emise un dolce sospiro e gli allacciò le braccia al collo.
“No.”
“Grazie al cielo” mormorò lui.
Si alzò in piedi, la prese in braccio e la portò al vicino divano. La distese con tenerezza sui cuscini e iniziò a levarsi gli indumenti.
Ben consapevole delle occhiate ardenti che seguivano ogni suo movimento, si eccitò ancora di più.
Non aveva mai immaginato che spogliarsi per una donna potesse essere così erotico.
Si inginocchiò accanto al sofà, poi la baciò sulla bocca con ardore, iniziando intanto a slegare i nastri del vestito.
Il suo sapore e il suo profumo lo inebriarono al punto di dimenticare il mondo intero. Le sfilò l’abito, poi armeggiò con impazienza con il corsetto e la sottoveste.
Dopo che l’ebbe svestita quasi del tutto, le sfiorò con le labbra la gola, i seni, i capezzoli turgidi. Sorridendo ai suoi mugolii di piacere, discese fino al ventre piatto.
Era così esile e delicata! Come un bocciolo di gelsomino.
Dopo averle tolto anche le scarpe e le calze di seta, indietreggiò un poco per contemplare il suo corpo nudo disteso sul divano, con i riccioli biondi che brillavano ai raggi del sole.
Era di una bellezza straordinaria, ma questo non spiegava perché gli comunicasse una profonda sensazione di appagamento, come se fino a quel momento fosse rimasto privo di un bene vitale.
Scacciando dalla mente quel pensiero inquietante, Stefan si chinò a baciarle le punte dei piedi, ignorando le sue risatine. Intendeva assaggiare ogni parte di lei.
Le sfiorò con le dita l’interno delle cosce e, giunto alla sommità, le spostò una gamba giù dal divano per aprirla alle sue carezze.
Gemette nel trovarla già umida e pronta ad accoglierlo.
Per molti notti aveva sognato proprio quell’istante ed era così eccitato che rischiava di non gustare a fondo ogni particolare dell’amplesso.
Stuzzicò con la lingua le intime pieghe e fu felice del grido soffocato che le sfuggì dalle labbra. Era proprio così che la voleva: fremente di desiderio, abbandonata al piacere.
Continuò a eccitarla, ascoltando con gioia il suo respiro ansimante. Solo quando si accorse che era ai limiti dell’orgasmo, si portò sopra di lei e fissò quasi con soggezione il suo viso rapito.
Era la sua donna.
“Nadiya” la chiamò in un gemito roco, senza sapere di preciso cosa chiederle.
Almeno finché lei non gli mise una mano dietro la nuca e gli abbassò il capo per baciarlo con passione sulle labbra.
“Stefan, vi prego.”
Lui non si fece supplicare a lungo. Le prese il volto tra le mani e, con una spinta decisa, la penetrò fino in fondo.
Nadiya si inarcò sotto di lui, gemendo di soddisfazione al ritmo crescente dell’amplesso. Stefan dimenticò ogni intenzione di delicatezza appena lei gli avvolse i fianchi con le gambe e assecondò con il bacino i suoi movimenti.
“Come siete bella, Nadiya” ansimò con il cuore in gola.
“Stefan…” La parola divenne un grido estatico, mentre gli occhi si chiudevano e il corpo tremava nel godimento.
E a quel punto anche lui si arrese all’orgasmo. Il tempo parve fermarsi mentre, con un’ultima spinta, liberò il seme dentro di lei, travolto dalla voluttà.
(Tutte le immagini sono tratte da opere del maestro Pietro Annigoni, 1910-1988)
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19 pensieri su “Nadiya Zaytseva XXIII

    • Grazie per esserci mia signora.
      La psicologia sia delle persone, sia degli eventi è importante per l’opportuno svolgimento di una storia e il mantenimento della sua impronta.
      Grazie e cordialità

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  1. E finalmente abbiamo aperto quella porta! Ero preoccupata, pensavo tra me e me: “ma che cosa ha questa ragazza nelle vene al posto del sangue? Aranciata?
    Ora sono più tranquilla. Però tutti quei vestiti da togliere … certo che quei tempi se la guadagnava proprio …

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    • oplà.
      La porta, che a ben guardare era una finestrella piccola piccola e asfittica, si aprì con “grandi soddisfazioni”.
      La mise, mia signora, la fece da complice: può un’eccitazione estremizzata dalla lunga teoria di vesti e sopravvesti da togliere, rimanere entro i canoni della liceità e normalità?
      Salutazioni vivissime

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