Cuba … decimocuarto y último

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1L’insegnante puntò la canna della pistola sulla tempia di Shelley e la spinse in avanti, andando fino al fondo della camera. Fidelia era sdraiata su un letto gemello, i piedi legati insieme con del nastro adesivo, le braccia libere. Un carrello del servizio in camera con i resti di un pasto era situato dall’altra parte del letto.
“Ninni!”
“Non ti muovere!” le urlò in spagnolo.
“Ninni!”
“Chiudi il becco!”
In una frazione di secondo, l’insegnante comprese quanto era accaduto.
Un rapimento. Lo volevano costringere a rinunciare alla sua parte. Quel verme li aveva visti insieme, li aveva sorvegliati.
“Sporco figlio di puttana” sibilò Ninni a Donald mentre allontanava la sua pistola dalla tempia di Shelley e la spostava su suo figlio.
“Calma” ordinò Shelley.
“Chiudi quella fottuta bocca, baldracca da due soldi” comandò lui, ansimando.
“No. Mi devi ascoltare.” La voce della vedova era quasi strozzata. Aveva lasciato cadere la borsetta e teneva il braccio di Raimond con entrambe le mani, cercando di allentare la pressione al collo. “Non avevamo intenzione di farle del male. È solo … Noi volevamo … fare semplicemente uno scambio.”
“Con la mia quota.”
“No. Con questa carta che hai scritto e che ci accusa.”
L’insegnante teneva lo sguardo su Donald. “Metti la pistola per terra.”
“No” disse Donald.
“Dannazione, metti la pistola per terra o la ucciderò.”
“Mi faresti felice.”
Shelley, quasi afasica, disse in modo strozzato: “Lasciami respirare”.

2“Per l’amor di Dio, Ninni” gridò Fidelia in spagnolo “la stai strangolando!”
Ninni allentò la presa,
Donald tenne la sua arma puntata contro la coppia che si divincolava, entrambe le mani sul calcio, braccia distese, spostando la sua mira lentamente ogni volta che i loro piedi si spostavano.
Shelley inghiottì e fece un respiro profondo. “Ascoltate, voi due, ascoltatemi” boccheggiò e aggiunse rapidamente: “Se uno di voi due spara un colpo, perdiamo tutto, andiamo in prigione. Se spari, Donald, il suo testamento e la deposizione ci metteranno sotto accusa. Tu passerai il resto della tua vita in carcere. Se tu uccidi uno di noi due, Ninni, o entrambi, sarai accusato di omicidio. Avresti dovuto chiamare la polizia, non venire da solo. Non c’è modo che tu la faccia franca. Non con tante persone che sanno cosa c’è tra di noi. Pensaci”.
Fissandosi a vicenda, entrambi gli uomini rifletterono sulle sue parole.
“Non le abbiamo fatto nulla, Ninni” proseguì Shelley. “Non abbiamo usato la forza. È venuta di sua spontanea volontà, credendo che il suo capo avesse bisogno di lei per un lavoro. Donald mi ha assicurato che non capisce una parola d’inglese, così non potrà riferire la nostra conversazione.
Questo rimane solo tra di noi.”
“Chiudi il becco” tagliò corto Raimond che la voleva contraddire, ma si trovava in difficoltà.
“No, no” insistette Shelley, e i fratellastri in silenzio presero atto che la donna aveva la loro completa attenzione. “Avevamo bisogno di lei per farti capire che non possiamo passare il resto della nostra vita nel timore che ti capiti un incidente e che noi possiamo essere accusati di omicidio. Va bene, è stato uno sbaglio. Va bene, io ti chiedo scusa. Donald ti chiede scusa.”
“Mamma, va’ a farti fottere.”
L’intensità del loro antagonismo sorprese Raimond.
“Ascolta, Ninni, d’ora in poi basta con sporchi trucchi, te lo prometto.
Divideremo i soldi e…”
Shelley rimase a bocca aperta mentre veniva spinta verso i letti. Riuscì a schivarli in modo goffo.
“Liberala” ordinò Raimond, ansimando, senza perdere di vista Donald o lasciare la sua presa.
“Non posso.”
Raimond le tolse il braccio dal collo e l’afferrò per il colletto dell’abito. Shelley fu in grado di chinarsi sulle caviglie di Fidelia. L’insegnante si accovacciò dietro il suo scudo umano. Per alcuni minuti, il rumore del nastro adesivo che veniva staccato fu l’unico percepibile.
“Fatto” disse la vedova, e si rialzò. Raimond fece lo stesso.
“È stata un’idea tua!” rinfacciò Donald alla madre. Fidelia cominciò a tirarsi su.
“Mettiti dietro di me” disse l’insegnante in spagnolo.

3Il legale fece quanto le era stato detto. Raimond sentiva le sue mani tremanti dietro la schiena.
“Adesso, voi mi ascoltate. Tutti e due” disse l’insegnante. “Sono sicuro che avete ucciso mio padre.”
“È stata lei” disse Donald con un sorriso beffardo; la sua pistola adesso era puntata direttamente contro il petto di Shelley.
La ristretta visuale di Raimond era costituita dal retro della testa della vedova, che stava perfettamente immobile.
“Forse è stata lei” continuò l’insegnante. “Forse siete stati entrambi. Ma uccidere voi non lo riporterà in vita, e uccidere voi non vale la pena di un giorno di prigione. Hai ragione Shelley. Questa è una situazione dove non c’è vittoria. Quindi, adesso noi ce ne andremo. Tu verrai con noi, Shelley.
Ci saluterai nella hall. Stai fermo, Donald. Non provare a fare nulla.”
Con passi laterali e indietreggiando, i tre raggiunsero la porta principale.
Raimond allontanò con un calcio il cappello da cowboy che lo intralciava.
Rivolto a Fidelia disse in spagnolo: “Apri la porta, esci e dimmi se ci sono persone nel corridoio”.
Lei eseguì. “Nessuno.”
Raimond uscì, prima di chiudere la porta agguantò Shelley e mise la pistola in tasca. Condusse le donne verso la porta che dava sulle scale, l’aprì e costrinse Shelley a salire. Fidelia lo seguiva. L’insegnante si sentiva le gambe, a ogni passo, sempre più molli. Al sedicesimo piano premette il pulsante di discesa dell’ascensore, gli occhi puntati sulla porta che dava sulle scale, la mano con la pistola in pugno. Shelley si aggiustò i capelli, fece un respiro profondo e, a testa alta, fissò la porta metallica. Fidelia, ancora stordita, spostava il suo sguardo dall’insegnante alla vedova.
“Come hai fatto a sapere che l’avevamo presa?” chiese Shelley freddamente, mantenendo sempre l’autocontrollo.
Raimond fece un sorriso affettato. “Signora, questa è una cosa che lei non saprà mai.”
Shelley annuì come per confermare un sospetto. “Questa volta non ti poteva guidare nessun orologio.”
“Un uccellino” disse Raimond, mentre cominciava a calmarsi. Aveva voglia di scoppiare a ridere. Se solo lei avesse saputo.
Trascorsero dieci secondi in silenzio. “Gli somigli” disse Shelley.
Dentro di Raimond scattò qualcosa, e incassò il colpo. “Chiudi quel fottuto becco.”
Shelley annuì a se stessa. “So che ci darai la caccia. Forse tra un anno, forse tra cinque anni, ma tu ci darai la caccia. Per pareggiare i conti.”
Raimond rifletté per un attimo su quanto aveva detto e capì che non era vero.
Se non aveva sparato loro questa sera, non lo avrebbe fatto mai più. Non a sangue freddo. Ma lo tenne per sé. Uno dei due pulsanti dell’ascensore dietro di loro si accese e suonò. Dopo due secondi la porta dell’ascensore si aprì.
Mentre attraversavano la hall, vicino all’uscita, Raimond prese Fidelia per il gomito e ordinò a Shelley di fermarsi. Cercò il registratore nella tasca e senza dire una parola lo mostrò a Shelley. La donna chiuse per un attimo gli occhi e fece un respiro profondo. Fidelia che ormai si sentiva al sicuro, lo guardava ammirata.

4L’insegnante pronunciò la frase di commiato che si era preparato: “Spero che tu muoia dopo sei mesi di agonia, con qualche abominevole tumore che ti distrugge, mentre pisci e cachi a letto, completamente paralizzata, in balìa di inservienti sgarbati che ti trattano come un sacco di patate. E quando quel tuo figliolo verrà a sapere che stai crepando farà una grande festa”. Le mostrò la carta della sua camera.
La vedova alzò un sopracciglio e gli strappò di mano la carta. “La somiglianza è solo esteriore. È un complimento, credimi.”
Poi Shelley si voltò e si diresse lentamente verso la fila di ascensori.
Nella strada di ritorno a Miami in taxi, capo contro capo, ascoltarono il nastro. Si capiva il novanta per cento dei cinque minuti di frastuono. Alla fine, Fidelia, parlando a voce bassa per evitare che l’autista sentisse, aveva spiegato come uno sconosciuto le avesse mostrato un distintivo. Aveva sorriso molto e le aveva letto da un foglio di carta: “Bencomo, necesita usted urgente por media hora”. La sua pronuncia non era buona. Aveva avvicinato Fidelia sul marciapiede pochi minuti dopo le 17:00, in una berlina molto lussuosa. Il suo capo in genere se ne andava alle 16:00 e non diceva mai dove andava, quindi il messaggio sembrava credibile. Non le aveva mai chiesto di fare straordinari, ma si trattava solo di mezz’ora, forse un po’ di più. Era stata convocata da un rappresentante della legge. Che cosa avrebbe potuto fare? Mettere a rischio il suo posto di lavoro? Essere citata per disobbedienza? Quando si era resa conto che erano diretti verso Miami Beach, lei aveva capito che ci sarebbe voluto molto più tempo. Cosa diavolo ci faceva Bencomo in quell’albergo, aveva pensato mentre entravano all’Eden Roc. In camera, si era guardata intorno prima di chiedere di lui.
La donna attraente che aveva aperto la porta aveva cercato di spiegarle qualcosa in inglese. Lei non aveva capito una parola e aveva sospettato che c’era qualcosa di strano, quindi si era diretta verso la porta. Quel figlio di puttana le aveva sbarrato la strada e l’aveva afferrata. Lei aveva cercato di divincolarsi e aveva gridato aiuto. La mano dell’uomo aveva lasciato le sue labbra solo una frazione di secondo prima che una striscia di nastro adesivo, preparata dalla donna, le sigillasse. Era stata gettata sul letto, dove le avevano legato mani e piedi.
Dopo un poco, mentre si domandava che cosa stesse succedendo, aveva capito che quegli sconosciuti avrebbero potuto essere la vedova e il fratellastro che cercavano di uccidere Ninni. L’età sembrava corrispondere. Le persone dell’FBI avevano distintivi simili a quello dell’uomo che l’aveva avvicinata e, oltretutto, gli altri due beneficiari sarebbero dovuti arrivare quella mattina. Queste persone erano pazze? Perché lei? Per fare pressione su Ninni, naturalmente. Non appena questa storia sarebbe finita sarebbe andata dalla polizia. L’autista della berlina era un testimone, nel caso in cui non fosse stato un complice. E poi le era balzato in mente: non sarebbe stata in grado di accusare nessuno dalla tomba. Non poteva spiegare a Ninni quanta paura avesse avuto, come mai prima in vita sua, neanche sulla zattera.
I suoi carcerieri non avevano parlato molto tra di loro, ma, quando lo avevano fatto, le parole erano sfrecciate nel disprezzo reciproco e i loro sguardi avevano riflesso lo scherno. A un certo punto aveva squillato il telefono ed entrambi erano trasaliti. La signora aveva risposto, aveva pronunciato un paio di parole e aveva riagganciato. Aveva detto qualcosa all’uomo e lui era parso sollevato. Il cameriere che aveva portato la cena non era stato fatto entrare in camera. Dopo averla minacciata a gesti, le avevano tolto il nastro adesivo, circa venti, venticinque minuti prima che Ninni facesse irruzione. Aveva fatto uno sforzo per mandare giù qualche boccone del cibo che le avevano offerto. Quando era andata in bagno, avevano lasciato la porta aperta in modo che Shelley aveva potuto tenerla sotto controllo. Lei era riuscita a convincerli a gesti che sarebbe rimasta tranquilla e allora le avevano legato solo i piedi. “Nada, le pasarà” le aveva detto la donna mentre si preparava a uscire. Fidelia avrebbe voluto crederle, sebbene sapesse che non avrebbe dovuto.

11A casa di Fidelia, dopo che Mama esausta aveva accolto con gratitudine il consiglio di andare a riposarsi per un paio d’ore sul divano, la coppia conversò mentre teneva compagnia a Papa che sonnecchiava. Raimond chiarì che non sapeva che lei era stata rapita. Lui aveva solo intenzione di prendere quella sgualdrina di sorpresa e di minacciarla un po’ per registrare la sua reazione. Il salvataggio era stato un colpo di fortuna. Fidelia aveva voluto sapere come aveva fatto a scoprire dove si trovavano. L’insegnante le raccontò della coda e della telefonata di Shelley. Con il capo inclinato, lei aveva studiato il volto di Raimond come se fosse stato un altro, mentre negli occhi le brillava una nuova luce.
Perché non potevano andare dalla polizia? Aveva chiesto. Lei era stata rapita! Lei non doveva ereditare un soldo. Il nastro registrato era una prova. Per quello che ne sapeva, un nastro non era una prova ammessa in tribunale nel caso in cui fosse stato registrato da un privato, ma forse non era così. Ninni avrebbe dovuto consultare i suoi avvocati famosi per sapere se lei poteva accusarli di rapimento.
L’insegnante sospirò e le rivelò la parte della storia che lei non conosceva: l’omicidio di Guillermo Raimond. Fidelia si coprì la bocca costernata. La vedova e suo figlio avrebbero trovato un modo per far sapere alla polizia che lui aveva aggredito suo zio, aveva continuato Raimond; forse avrebbero insinuato che era stato lui a sparare a Gui qualche giorno dopo. I dati del supermercato potevano dimostrare che lui si trovava a Miami la notte dell’omicidio, ma un bibliotecario e un impiegato d’albergo avrebbero affermato che la sera del 7 gennaio era a Sarasota. Gui Raimond aveva dichiarato il furto di cinquantatremila dollari in gioielli e lui sarebbe stato anche accusato di rapina. Come Shelley e Donald Raimond, anche lui sarebbe finito in prigione.
In poche parole, tutti erano colpevoli di qualcosa. Quello che gli aveva fatto suo zio all’Avana non era dimostrabile. Lui aveva detto all’Ufficio Immigrazione che aveva lasciato Cuba di sua spontanea volontà, su di una zattera che in alto mare era affondata. Adesso un membro della famiglia che l’aveva soccorso dichiarava di essere stato rapito da un agente dell’FBI che stava cercando di ricattare il suo amante? E l’aveva salvata il cavaliere bianco dall’armatura luccicante? L’intera storia era troppo assurda per essere credibile.
Ecco perché avevano agito in modo tanto ardito, argomentò Raimond. Era un ultimo tentativo disperato, eccetto l’omicidio, che era l’unico crimine con cui non potevano farla franca, nel timore che la deposizione annessa al suo testamento avrebbe potuto spingere le autorità federali ad aprire un’inchiesta. Sapevano che non si sarebbero potuti rivolgere alla polizia. Quella sgualdrina aveva ammesso che il fine del rapimento di Fidelia era quello di costringerlo a distruggere la deposizione. Bene, avevano fallito. Era finita.
Almeno lui lo sperava.
Fisicamente e psicologicamente esauriti, sedettero in silenzio accanto a Papa, cogliendo il brontolio che proveniva dalla profondità del suo petto ogni volta che inspirava. Era la prima persona che Raimond vedeva morire dopo sua madre, e provava pena per l’uomo. Concordò con Fidelia: il genere umano avrebbe gradualmente raggiunto un consenso unanime per risparmiare agli uomini questo tormento.
“Vai a letto, Fidelia. È tardi. Resterò qui io per il resto della notte.”

5Quando fu sicuro di essere l’unica persona sveglia nella casa d’affitto, cercò il numero di telefono dell’Eden Roc, lo digitò e, a voce bassa, chiese della camera 1611.
“Pronto?”
“Cristina?” sussurrò.
“Sì?”
“Tesoro, mi dispiace. Non ce la faccio a liberarmi. Tu puoi andare se vuoi.”
“Cosa?”
“È successo qualcosa.”
“Perché bisbigli?”
“In questo momento non posso alzare la voce.”
“Che ora è?”
“Mancano cinque minuti all’una.”
“Merda. Mi sono addormentata.”
“Se vuoi tu puoi andare via. Consegna la chiave alla reception. O se ti va puoi dormire lì.”
“Credo che mi fermerò. È bello.”
“Divertiti. Grazie, bambola.”
“Sarà per un’altra volta?”
“Certo. Allora, ciao.”
“Ciao, ciao.”

Il mattino seguente, dopo aver accompagnato Fidelia all’ufficio di Bencomo, Raimond andò nel suo appartamento, si lavò e si cambiò d’abito, poi si recò in auto fino al magazzino di North Miami Beach. Scheindlin era occupato con dei clienti e l’insegnante dovette aspettare per un’ora intera in piedi nel corridoio d’accesso centrale prima che i visitatori se ne fossero andati e il vecchio lo avesse fatto accomodare. Poiché nella stanza c’erano altri due impiegati ed era necessaria la riservatezza, Raimond scosse la testa.
Scheindlin uscì dal cubicolo e lo raggiunse.
“Novità?”
Raimond gli fece un riassunto di dieci minuti.
Al termine della storia, Scheindlin ridacchiò e guardò il soffitto come per chiedere un’intercessione divina. Si grattò il capo.
“… e io mi chiedo, devo dirlo a Sadow?”
Scheindlin scosse il capo. “Ti sei messo d’accordo con lui di non fare causa a queste persone. Quindi che senso ha dirgli che hai una doppia personalità, Ninni Raimond di giorno e di notte Rambo? Che non sei riuscito a mantenere la tua parola e hai concertato un piano per infilarti nella camera d’albergo della donna e farla morire di paura?”
“Signore, avevano rapito la mia fidanzata.”
“Ah sì? E tu sapevi che l’avevano rapita?”
“Se io non fossi…”
Scheindlin alzò una mano.
Quando l’insegnante si zittì, lo fissò per tutto il tempo che i suoi occhi gli consentivano. Raimond capì che il suo capo era irritato, sebbene in modo molto controllato.
“Ascolta” disse Scheindlin. “Il fatto che tu abbia sventato questo stupido rapimento non giustifica il tuo comportamento infantile. Se tu avessi soccorso la tua fidanzata dopo aver saputo che era stata rapita, io non ti starei a rimproverare. Sei riuscito a trarre vantaggio da ciò che sarebbe potuto divenire un disastro legale. Supponi ti avessero pescato. Supponi fosse partito un colpo. Sadow si sarebbe tirato indietro. A chi ti saresti rivolto per un appoggio legale e finanziario? Non a me, di questo puoi stare certo.”
L’insegnante meditò, mentre si guardava la punta delle scarpe. Scheindlin si girò a destra e camminò lungo il corridoio, con le mani dietro la schiena, gli occhi rivolti al suolo. Raimond, sorpreso, lo seguiva.
“Io ti sto appoggiando perché credo che te lo meriti” continuò Scheindlin. “Ma non strafare, Ninni.”
Il vecchio continuò a camminare. Aveva l’aspetto di un piccolo toro alla carica. In fondo al magazzino, si fermò e guardò l’insegnante in faccia.
“Va bene. Troverò qualcuno che tenga sotto controllo quei due stupidi stronzi. Che mi riferisca dove vanno, cosa fanno, chi vedono. Tu ti levi dai loro piedi. Capisci quello che ti sto dicendo, Ninni Raimond?”
“Sì, signore.”
“La prossima volta che ti senti Rambo, sei da solo, hai capito?”
“Va bene.”
“E quando quei due se ne vanno da Miami, ti liberi di quelle pistole.”
“Sì.”
“Va bene.”

6Scheindlin si voltò e cominciò a ripercorrere i suoi passi. L’insegnante lo seguì.
“Hai detto l’Eden Roc?”
“Sì, signore.”
“Ho dimenticato il numero della camera.”
“1509.”
“Va bene.”
Quello stesso pomeriggio, poco prima delle 16:00, proprio mentre Raimond si stava preparando per andare a prendere Fidelia all’ufficio di Bencomo, il telefono squillò. Era Scheindlin.
“I nostri amici se ne sono andati alle 13:15, volo Delta per New Orleans.”
“Bene … ah, bene. Grazie, signore.”
“Vuoi lavorare ancora per me?”
“Se lei prova a licenziarmi, Rambo le darà la caccia” Raimond ebbe l’impressione di sentire Scheindlin che soffocava una risatina.
“Vieni domani alle 8:00” disse Scheindlin.
Una settimana più tardi, Donald Raimond, stanchissimo, lanciò la sua posta sulla scrivania accanto al PC portatile e alla stampante nel soggiorno del suo appartamento di Baton Rouge con una stanza da letto che aveva in affitto dal 1993. Le buste si aprirono a ventaglio. Una con il simbolo dell’NRA attirò la sua attenzione.
L’agente dell’FBI andò nella stanza da letto, accese l’interruttore della luce, si levò la giacca e si allentò il nodo della cravatta prima di levare la pistola dalla fondina sulla sua spalla e posarla sul comodino. Si svuotò le tasche, si spogliò e si diresse in bagno per fare una doccia. Mentre si radeva, gli venne in mente che stava esaurendo le scorte del suo lubrificante preferito. Avrebbe dovuto rubarne un po’ prima del prossimo fine settimana.
Non comprava mai articoli di quel genere.
L’agente si sciacquò il viso, si asciugò e fece due passi indietro. Si girò sul lato destro e ruotò il collo per guardarsi allo specchio dell’armadietto dei medicinali, ammirò i suoi glutei per due o tre secondi, poi annuì soddisfatto. Cento piegamenti sulle gambe ogni mattina fanno miracoli, concluse.
Indossando solo pantofole di pelliccia, Donald andò in cucina, dove si versò un bicchiere di succo d’arancia. In piedi davanti all’acquaio, mentre beveva lentamente, pensò al fine settimana appena passato: lui e Burt nella natura, a fare trekking, a pescare, a guardare gli uccelli, sentendosi gli unici due spiriti liberi al mondo. Non dovendo temere telecamere nascoste o microfoni, liberi di comportarsi come la coppia innamorata che erano. Era riuscito a dimenticare il fiasco di Miami, il suo fratellastro e la sua esigente madre. Di notte, nella tenda, avevano rimandato quello che entrambi desideravano più ardentemente, tubando, accarezzandosi, massaggiandosi, baciandosi, fino a quando la loro voglia non era diventata insopportabile. Si era preparato, ma Burt lo aveva riempito tanto e in modo così profondo che aveva pensato si sarebbe lacerato. Per fortuna c’erano i lubrificanti, pensò.
Donald ebbe un brivido d’eccitazione, finì il suo succo e tornò nel soggiorno. Scostò la sedia della scrivania, si sedette e prese dal cassetto un tagliacarte. Dopo aver acceso la lampada, cominciò a passare in rassegna la sua corrispondenza. Le prime tre buste erano delle pubblicità e lui le cestinò senza nemmeno aprirle. La quarta era la lettera con il simbolo dell’NRA. In quanto socio attivo, Donald riceveva quattro aggiornamenti l’anno, in genere un paio di pagine contenenti le novità sulla sede locale. Per abitudine mise la lettera controluce e la osservò.
Non appena l’aprì con il tagliacarte, esplose.

7L’esplosione lo scaraventò all’indietro e la sua testa sbatté per terra. Riprese conoscenza alcuni secondi più tardi. La sedia era al suo fianco. La lampada non si vedeva più da nessuna parte, ma la luce nelle altre stanze era sufficiente per quantificare il danno. Il PC e la stampante erano per terra, la scrivania leggermente inclinata. Un dolore straziante gli attraversò il corpo quando tentò di tirarsi su sulle mani e sulle ginocchia, e lo costrinse a contorcersi.
Con la testa che gli pendeva, si guardò. Sangue sprizzava dal suo petto.
Qualcosa gli pendeva proprio sotto lo sterno.
Cadde sul pavimento in preda al panico, si voltò lentamente e capì di essere sul punto di morire. Nessuno che sanguinava tanto abbondantemente sarebbe sopravvissuto più di un paio di minuti. E il fetore, per l’amor di Dio, cosa emanava quell’odore così rivoltante? Fece una smorfia ed espirò con le narici. Il fetore gli ricordava quello della carne putrefatta. Improvvisamente capì. I patologi c’erano assuefatti. Lo aveva sentito negli obitori.
Veniva da lui? Dallo stesso corpo che gli aveva procurato tanto piacere?
Non avrebbe più avuto quegli orgasmi fantastici per cui aveva vissuto, la sensazione di essere uno dei pochi eletti, i soldi che stava per ereditare, tutto? Le lacrime cominciarono a scorrere. La sofferenza si alleviò considerevolmente. Pensò che avrebbe dovuto chiamare il 911 e cercò di muoversi.
Non poteva. Non rispondeva neanche un muscolo ma, mentre contemplava il soffitto bianco, il suo cervello funzionava con una lucidità impressionante.
Sua madre? No, non l’avrebbe fatto. O sì? No, no, non l’avrebbe fatto.
Greg? Forse. Greg lo aveva minacciato. Ma Greg non sapeva un accidente di bombe e non aveva soldi per assumere un esperto. L’Unabomber? La Squadra Michigan? La Lega Nazionale? Un membro della Confraternita Segreta o un sopravvissuto dell’Affare Davidian? Militava nell’estrema destra e con i fondamentalisti dal 1985. Forse quel fottuto ebreo di Miami?
Donald tossì e qualcosa colò giù dalle sue ferite. Intestini? Non voleva saperlo. La sua bocca fu invasa da qualcosa e lui la sputò. Succo d’arancia? Il succo d’arancia non era salato e non aveva quel sapore metallico. Quando avrebbe avuto termine questa agonia?
Ebbe termine dopo mezzo minuto.
Papa se ne andò serenamente il mattino seguente, mercoledì 15 marzo.
Quaranta ore prima le sue condizioni erano peggiorate rapidamente ed era stato trasportato al Jackson Memorial in condizioni critiche. Rassegnati all’imminente esito, i suoi parenti non avevano subito un trauma quando fu comunicato loro che era spirato. Mama sembrava persa nel suo dolore; Fidelia e suo fratello parevano sollevati. Tutti e tre si erano abbandonati al loro cordoglio, in silenzio sotto una spessa coltre di tristezza. Provenendo da un paese dove i funerali erano offerti gratuitamente, sentirono la loro tristezza ingigantirsi con l’impatto economico che la morte di Papa avrebbe avuto. L’insegnante sborsò duemila dollari e il resto fu coperto da un prestito di 3.400 dollari offerto dalla Società Finanziamento Funerali.
Mentre ritornavano a casa dopo aver firmato tutte le carte necessarie, Fidelia nel sedile accanto al conducente si girò e chiese a Ninni: “Che cosa succede quando muore un lupo solitario? Quando non c’è nessuno che paga il conto?”.
Raimond si strinse nelle spalle. “Non lo so. Forse viene cremato in qualche struttura municipale. Niente bara, niente fiori, niente corteo funebre.”
“Forse mandano le ceneri da qualche parte dove possono essere usate come fertilizzante” disse Fidelia con sarcasmo “o per fare sapone o qualcos’altro, per recuperare il costo del combustibile o del legno o di quello che usano per bruciare il cadavere.” Fece una pausa di pochi secondi.
“Questo paese è malato.”
“Il mondo è malato” osservò Ninni, mentre aspettava il verde del semaforo. “Alcune malattie sono comuni a tutte le società, altre per svilupparsi necessitano di un ambiente particolare.”
“Giusto” condivise Fidelia.
Papa fu sepolto il mattino seguente a Woodland. Bencomo aveva detto a Fidelia di non andare al lavoro per il resto della settimana e Raimond aveva accompagnato a casa i componenti della famiglia prima di andare al magazzino.
Come sostituto di Uri, era giunto a comprendere come il segretario del capo possa arrivare a divenire il Numero Due della ditta; nei fatti, se non nelle apparenze. Per la maggior parte del tempo, Plotzher andava in giro eseguendo le direttive di Scheindlin, quindi se l’azionista minoritario e il Numero Uno non si riunivano privatamente, Uri doveva essere stato a conoscenza degli affari della Imlatinex più di quanto non lo fosse il secondo in carica. Eccetto i documenti e le conversazioni in ebraico, Raimond aveva accesso a tutti i dati della società. L’insegnante era certo che se avesse prestato attenzione, entro pochi anni avrebbe saputo tutto quello che c’era da sapere riguardo questo specifico commercio e molte cose relative al commercio in genere.

8Dopo le 18:00, lui e Scheindlin rimasero da soli in ufficio. Raimond stava finendo di preparare il denaro contante per il deposito in banca dell’indomani ed era sul punto di mettere le banconote nella cassaforte quando il vecchio parlò.
“Com’è stato il funerale?”
Gli angoli della bocca di Raimond si abbassarono, ed egli alzò entrambe le sopracciglia. “Come tutti i funerali, credo. Persone addolorate e silenziose che danno l’ultimo saluto a una persona cara.”
Scheindlin annuì. “Qualcuno che conosci ha raggiunto la sua destinazione finale oggi.”
“Davvero? Chi?” chiese Raimond distrattamente.
“Mr Donald Raimond.”
L’insegnante rimase a guardare Scheindlin a bocca aperta per qualche secondo.
“Donald Raimond?” riuscì a chiedere.
“Il tuo fratellastro.”
Ninni si drizzò sulla sedia, con lo sguardo alla scrivania, si passò entrambe le mani sui capelli e poi intrecciò le dita dietro la testa. Quando alzò lo sguardo su Scheindlin, aveva un largo sorriso: “Com’è morto?”.
“Qualcuno ha inviato un pacco bomba al suo appartamento di Baton Rouge.
Il sorriso si cristallizzò non appena affiorarono le implicazioni; le connessioni furono dedotte rapidamente. Si ricordò le parole di Scheindlin:
“Noi andremo fino in fondo”. Appoggiò entrambe le mani in grembo. Si rimangiò la domanda che aveva sulle labbra. “Chi glielo ha detto?” chiese invece l’insegnante.
“Sadow ha chiamato stamattina, quando tu eri al funerale. Lo ha chiamato l’avvocato di New Orleans che per te si occupa del testamento.”
Raimond notò che Scheindlin stava studiando le sue reazioni, e si sforzò di non mostrarsi preoccupato. “Pare che siano ripresi gli attacchi dei terroristi” disse.
“Ci sono indizi che…”
“La stampa suppone che possa essere collegato a qualche caso su cui aveva lavorato alcuni anni fa. Era stato uno degli agenti che si sono occupati dell’Affare Davidian.”
“Davidian?”
Scheindlin gli raccontò brevemente la catastrofe del 1993 di Waco, in Texas. Quando ebbe terminato, Raimond aveva riacquistato il pieno controllo di sé. “Il Signore ha vie misteriose, per realizzare i suoi miracoli” disse citando a memoria.
“Sei religioso?”
“No. L’ho letto su un libro di inni all’ostello dell’Esercito della Salvezza. Ma se è stato Dio a punire questo peccatore, vorrà dire che mi convertirò subito.”

9Scheindlin si appoggiò alla spalliera della sua poltrona girevole. “È un mestiere rischioso. Gli agenti si fanno tanti nemici, nemici pericolosi, direi. Va bene, Ninni, metti il denaro nella cassaforte e va’ dalla tua donna.
Ha bisogno di te. Io mi fermo ancora un po’.”
Dopo un minuto l’insegnante era pronto per andarsene. Si avvicinò alla scrivania di Scheindlin e aspettò che questi distogliesse lo sguardo da un preventivo.
“Sì?” disse il vecchio.
“Signore, voglio che lei sappia che la mia aspirazione, al momento, è quella di divenirle utile quanto lo era Uri.”
“Grazie.”
“Buona notte.”
L’insegnante se ne andò riflettendo su quanto potevano essere ingannevoli le apparenze.
Fidelia prevedeva dei problemi a breve termine. Aveva fatto accenno alla reazione imprevedibile che Mama avrebbe avuto davanti alla vedovanza, il grosso taglio alle entrate della famiglia e l’incalzante curiosità di Dani su suo padre. Bencomo sembrava rassegnato a un’attività che andava scemando e lei aveva il timore di perdere il posto di lavoro. Aveva spiegato che il suo capo si limitava a stare seduto nel suo ufficio a leggere il giornale, a guardare fuori dalla finestra, ad andare in bagno ogni due ore.
A febbraio nemmeno un nuovo cliente aveva messo piede nell’ufficio, e tra lunedì e martedì avevano ricevuto solo nove telefonate; lei aveva avuto il sospetto che si trattasse di creditori. Il loro tono impaziente l’aveva aggredita al telefono. Bencomo, si affliggeva Fidelia, avrebbe potuto ritirarsi da un momento all’altro o morire improvvisamente.
Adesso erano seduti sul divano di seconda mano del piccolo soggiorno, dopo panini al formaggio e camomilla. Mama era a letto in camera sua, due sonniferi scorrevano nel suo sistema circolatorio. Suo figlio Mario, che generalmente dormiva sul divano dove loro in quel momento sedevano, era sdraiato accanto a Mama per tenerle compagnia. Dani dormiva profondamente nel suo letto nella camera di Fidelia. L’insegnante non aveva accennato a Donald Raimond.
“Io posso darvi una mano” disse Raimond. “Darvi qualcosa ogni mese fino a quando le cose non si sistemeranno.”
Fidelia cambiò tono e lo guardò visibilmente seccata. “Senti, Ninni, Mama non è più una bambina. Se quello che abbiamo appena passato accade di nuovo tra poco tempo, io ti chiederò aiuto. Se Dani o mio fratello dovessero ammalarsi gravemente, anche allora invocherò il tuo aiuto. Non ho nessun altro a cui rivolgermi. Mio zio vive con la pensione e con i buoni viveri del governo. Ma per aiuti nella vita quotidiana, no grazie. Il sesso penalizza quasi sempre l’uomo con obblighi finanziari, cosa che per me è disgustosa tanto quanto il fatto che la donna è penalizzata con il silenzio e l’obbedienza. Comportiamoci diversamente. Comportiamoci da amici che si vogliono bene, non come marito e moglie. Sosteniamoci a vicenda. Ti sto parlando delle mie preoccupazioni finanziarie per condividere con te quello che non posso condividere con nessun altro. È magnifico che abbiamo cominciato a uscire insieme quando io ancora non sapevo che avresti ereditato un solo centesimo. Quello che io voglio da te è comprensione, non denaro. Non degli altri soldi, per essere precisi. Mi segui?”
Ninni fece schioccare la lingua, scosse tristemente la testa e si guardò intorno. Fidelia gli prese la mano.
“Credo che sia difficile incontrarsi in circostanze più drammatiche” disse Raimond come parlando a se stesso, guardando il pavimento. “Quando due persone vivono il genere di esperienza che abbiamo vissuto noi sulla zattera, succede qualcosa. Si stabilisce un legame speciale, strano, difficile da spiegare. Tu non puoi dimenticare. Anche se non vedrai mai più quelle persone, la scena e i suoi partecipanti restano impressi nella tua memoria. Ma noi ci siamo rivisti dopo pochi mesi e abbiamo condiviso alcuni momenti indimenticabili. Il tuo rapimento e la morte di tuo padre sono stati gli unici spiacevoli. Tutti gli altri sono stati meravigliosi.”
Fidelia rimase zitta mentre Ninni faceva una pausa.
“Ma posizioni estremistiche hanno effetti deleteri. Portano all’arroganza e all’intolleranza. Tu sei una persona orgogliosa; questa è una qualità. Se dovessi scegliere tra una persona orgogliosa e una modesta, io sceglierei quella orgogliosa. Tu sei anche una femminista accanita e io non ho nulla in contrario. Ogni donna un po’ istruita dovrebbe battersi per un rapporto equilibrato tra i due sessi.
“Ma non andare agli estremi, non diventare arrogante, perché i peggiori dittatori, i peggiori magnati, i peggiori scienziati, politici, artisti e figli di puttana sono incredibilmente arroganti e intolleranti. La caratteristica che hanno in comune è quella di non riuscire a sopportare le critiche. Il tuo femminismo non ti dovrebbe portare a sottovalutare gli uomini, a sminuire l’amore che un uomo prova per te, o a vedere sottomissione ogni volta che lui ti dà una mano o ti fa un regalo o ti apre una porta.”
Pausa. Silenzio. Entrambi fissarono il pavimento.

10“Io non ti darò del denaro se tu non me lo chiederai. Io non ti chiederò di sposarmi se tu credi che ci farebbe perdere la nostra spontaneità. Vuoi soldi, me li chiedi. Mi vuoi sposare, chiedimelo. E se un giorno io giungerò alla conclusione che tu sei diventata un’estremista, tu andrai per la tua strada e io per la mia. Allora, dopo che ti ho detto come la penso, hai intenzione di piantarmi?”
“No, non ti pianto.”
Pochi minuti dopo, mentre guidava verso casa, Ninni Raimond si domandò se fosse stato sufficientemente chiaro.
Venerdì, 17 marzo, dopo aver depositato in banca il contante e gli assegni della IMIATINEX, Raimond si fermò alla filiale della Banca Capital sulla Main Highway e prelevò del denaro, dei documenti e delle audiocassette dalla sua cassetta di sicurezza. Aveva lasciato solo duemila dollari e il nastro dell’Eden Roc.
Quello stesso giorno, poco prima delle 19:00, entrò da Kmart sulla Coral Way e spese quasi settecento dollari in camicie, pantaloni e biancheria intima di svariate misure. Comprò anche due paia di scarpe da settantacinque dollari il paio. Verso le 20:30, lasciò il tutto nelle mani del grato comandante dell’Esercito della Salvezza che gestiva l’ostello maschile.
Da lì l’insegnante si diresse in macchina fino a una casa a Northwest Miami, dove viveva la Señora Mercedes.
La madre guatemalteca di due bambini aveva la sfortuna di essere sposata con un pigro cubano buono a nulla che sembrava essere allergico al lavoro. Lei era stata una dei primi corrieri che trasportavano dollari a Cuba dopo che il governo, pochi mesi prima, aveva autorizzato i suoi cittadini a detenere, spendere (solo nei negozi dello stato) o a scambiare le ambite banconote verdi messe in circolazione dal nemico. Le leggi del ministero del Tesoro americano proibivano le rimesse a favore dell’isola, e alcuni centro e sudamericani che vivevano a Miami facevano grandi affari.
Con il vantaggio di passaporti del Terzo Mondo che li rendevano immuni dall’essere processati, i corrieri volavano il venerdì all’Avana da Cancún o Nassau, il sabato consegnavano il denaro, i capi d’abbigliamento e i medicinali, e ritornavano a Miami la domenica, in modo da poter tornare al lavoro il lunedì. La tariffa stabilita era di quindici dollari ogni cento in contanti oppure ogni mezzo chilo di medicinali, capi d’abbigliamento o scarpe. I grandi corrieri facevano viaggi all’aeroporto internazionale dell’Avana due volte al mese, con diverse centinaia di chili di bagaglio e con qualcosa tra cinquemila e diecimila dollari in contante. Quindi non era raro un profitto di quattromila dollari a viaggio. Poiché riusciva a raccogliere cinquecento dollari a viaggio, la Señora Mercedes era ancora un corriere piccolo, ma suo marito le procurava clienti a una velocità che avrebbe potuto fare di lui un milionario, nel caso in cui l’embargo fosse durato ancora per dieci anni.
Raimond le aveva detto che lo aveva raccomandato Mario, il fratello di Fidelia, e che voleva inviare del denaro a due amici. Mercedes a testa alta e fiduciosa era seduta al tavolo della sua sala da pranzo, e aveva scritto con attenzione i nomi, gli indirizzi e i numeri di telefono dei destinatari all’Avana. Nel soggiorno suo marito fumava, tracannava birra e guardava la TV.
Mercedes aveva spiegato che avrebbe chiesto ai beneficiari di firmare una ricevuta che avrebbe mostrato all’insegnante non appena fosse ritornata.
Nel caso in cui non fosse riuscita a rintracciare qualcuno, gli sarebbero stati restituiti i soldi, ma lei avrebbe comunque trattenuto la commissione del quindici per cento.
L’insegnante le consegnò settecento dollari: cinquecento per Natasha, cento per Sobeida e cento per coprire la percentuale della Señora Mercedes. Lei trascrisse il numero di serie delle banconote, e spiegò che avrebbe consegnato quelle stesse agli amici del Señor Ninni. Lui si era alzato, le aveva stretto la mano e se n’era andato.
Quella sera, prima di fare la doccia, nell’acquaio della cucina Ninni bruciò le fotocopie delle bolle d’accompagnamento e i nastri contenenti informazioni compromettenti su Tony Soto e Ruben Scheindlin. Distrusse anche il nastro che aveva inciso a Sarasota. Dopo aver pulito il lavandino e aver fatto scorrere l’acqua per un minuto, si era asciugato le mani e aveva acceso un ultimo fiammifero.
“Buon compleanno a te piccolo Ninni”, canticchiò cantilenando.
Aveva appena compiuto quarantacinque anni.
E soffiò sul fiammifero senza esprimere alcun desiderio.
.

.
CUBA,
GRAZIE PER AVER LETTO QUESTA STORIA
.

28 pensieri su “Cuba … decimocuarto y último

    • Seamur

      Preg.mo Direttore, ma le sembra che possa concludere (dopo una faticaccia che gliela raccomando) un romanzo di circa 400-450 pagine editoriali, con una uscitella da romanzetto?
      La ringrazio per avermi commentato.
      Buona giornata

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  1. Lo sapevo. Era oggi!
    Sono stata via e adesso, appena entrata, mio sono precipitata.
    Che capitolo.
    Bello proprio. Si vede la tua mano e permettimi, la tua presenza.
    Sempre solo mi raccomando, eh?
    Ciao milord.
    Bacetto

    La Manu
    🙂

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  2. Dovrò leggere gli altri capitoli, per forza di cose. Spero di riuscire a trovare il tempo, carissimo Lord Ninni.
    Nell’intanto posso però dire che lo stile è pulito, secco, non fa una grinza. Non ho idea se in quanto hai qui scritto ci sia anche del tuo “vissuto”, o se invece è tutto frutto della tua fantasia. Certo è che fa specie che ci sia un Ninni all’interno di questo scritto.

    Un forte abbraccio con ammirazione e stima

    beppe

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    • Iannozzi Giuseppe

      Caro amico,
      per il semplice fatto che vuoi metterti “in pari“, già ti ringrazio … e va bene così. Un bravo, bravissimo professionista alle prese-nel quotidiano-con letteratura, letteratura cioccolata, letteratura specchietto e muretto, che ruba del preziosissimo tempo per leggermi è un evento.
      Devo dire che, nel tuo lavoro, sai districarti benissimo.

      Ma torniamo all’oggetto del discorso.
      Sì, c’é del vissuto. Del vissuto pesante e leggero.
      Per carità, come avrai ben intuito, c’è molto romanzo, ma anche …
      Cuba è una realtà terribile e bellissima. Un incubo che passa attraverso un sogno, oppure, un bel sogno che si trasforma in incubo? Un po’ per esperienza posso dirti che, in quella immensa miniera piena di lingotti d’oro, qualcuno è fasullo e molto velenoso.
      Come il bene/male di tutto l’Occidente civilizzato e antagonista.
      Sì, dentro c’é Ninni.

      Grazie.
      Un abbraccio con stima.
      Ciao

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  3. Ultimo capitolo
    Ogni scelta, ogni attesa … è come se avesse inseguito con lo sguardo l’orizzonte della vita; la stessa vita di prima, con la sola variabile della fiamma di un ultimo fiammifero che si spegne.
    Tutto resta uguale, pur non restando mai più lo stesso.

    Penso che lo leggerò ancora. Sono certa che scoprirò cose nuove.

    Mi è piaciuto molto. Lavoro splendido Milord. E ci sei Tu.
    I Miei Rispetti
    Ni’Ghail

    Slàn

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    • Nì Ghail

      Già e così si arriva alla fine della storia.

      In una memoria liquida circondata da una nebbia circolare che, oltre le righe, trasporta il pensiero oltre il deliquio.
      Brilla il sole sulle colline
      e il guardiano osserva,
      oltre i merletti del mare,
      la nave del ritorno
      che non torna.

      Grazie Nìg.
      Si, forse è vero, l’unica variabile è la fiamma.
      Cambia il fiammifero, ma la fiamma è quella.
      Invariabilmente.
      Grazie per esserci

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  4. Quasi come vivere un sogno e farne parte. Sono qua che leggo una storia, che ho seguito fin dall’inizio e sembra di sognare che io possa conoscere uno scrittore come te.
    Un bacio, Ninni.
    E … auguri

    🙂

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    • Giovanna A.

      Grazie, sei gentie.
      Una storia dai toni accaldati caraibici e dall’accento espanol.
      Diciamo che c’é tutto: le aspettative e la deriva della vita in attesa di morire.
      C’é, anche, la novità, la sorpresa l’ottima notizia e il suo verso.
      Visto come una storia può essere tanto aderente alla realtà?
      Grazie e ciao

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  5. Che peccat che è finito.
    Un romanzo bello, avvincente e sulle noti reali di un vissuto che colpisce.
    Peccato.
    Potevi allungarlo un po’, ma capisco che la realtà, sia pure modificata, ha un suo senso soltanto alla fine.
    Mi è piaciuto.
    Molto e molto.

    Lascio (ti lascio) un applauso per il compimento del tuo quarantacinquesimo anno. in qualsiasi tempo possa essere avvenuto.

    Un caro saluto dalla partenope Capitale

    Dudù

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    • Diadumeno

      Tutte le cose belle non durano.
      Fatto caso? E più belle sono, più durano meno.
      Ma noi ce ne facciamo una ragione, che dici?
      Tanto più che neanche io sono immortale e dunque —
      Ciao grazie
      Un saluto a Napoli
      🙂

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  6. Grazie a te per averla scritta!
    Un grande finale a effetto, ma anche ricco di profonde riflessioni, di squarci aperti su psicologie diverse, che si annodano per formare il tutto.
    Non ci sarà vendetta?
    Ma essa calerà dal cielo, come il protagonista augura.
    Top.

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    • Alessandra Bianchi

      Ma no, grazie a te che hai avuto tanta, tantissima pazienza a leggere.
      Onestamente non saprei confermarti se il finale, come dici tu, è ad effetto. Mi sono limitato a trascrivere i fatti come avvennero (se mai avvennero …).
      Diverse le anime in ogni singolo personaggio.
      Quei figuri soffrono di personalità multiple. Un po’ come ognuno di noi. Ma chi può dirsi esente da bipolarismo e/o aberrazioni mentali varie?

      La vendetta.
      Che bel tema.
      Va servita fredda, altre volte tiepida mentre, per la maggior parte dei casi, la gente la serve caldissima, quasi rovente.incurante del fatto che, una volta esercitata (la vendetta) tutto si ferma, esaurendosi, in attesa della prossima.
      Allora mi chiedo: perché vendicarsi di un qualcosa che, tanto, lo si sa-con o senza-rimarrà tale e quale sia prima, sia dopo questa famigerata?

      Allora lasciamo fare al destino (ma esiste?) ultimo arbitro fatale che, insieme al tempo e alla vita individuale, cadenza l’esistenza.
      La vita si vendica, già amaramente, con noi e senza appello, uccidendoci.
      Dovremmo, forse, vendicarci della vita poco prima di morire?
      Grazie per esserci.

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