Memoria liquida VI

0+01

.

0

.

.
1“Non ho potuto rifiutare, Manlio. Pressioni dall’alto. Da molto in alto in Vaticano. E tu sai che quando la Santa Sede chiama, noi mortali rispondiamo correndo e obbedendo.”
Giusto per tenere le mani occupate, il Grande Capo fece finta di sistemare dei fogli sulla scrivania. Nella stanza 312 c’era il solito caldo asfissiante.
“Ho capito che nostro sarà il Regno dei Cieli, Capo, ma una suora! Mi sta rifilando una suora come collega! Ma dove siamo, al catechismo?”
“Fai poco lo spiritoso, Manlio, non è mica una novizia delle Orsoline! Fa parte di uno speciale corpo combattente istituito da una manciata di anni. Sono operativi da quando le tempeste della Jihad scuotono l’occidente” fece il Grande Capo scuotendo la testa da airone.
Aprì un cassetto, prese uno spray e si dedicò alle sue piante. “Il cardinale Marcinkus ci ha insegnato che la Chiesa non si governa con le Ave Maria, o i Gloria al Padre” disse mentre nebulizzava il ficus.
“Eppure pensavo di averli superati i miei pentimenti da convento gesuita. Piuttosto, Capo, in quale veste agirò?” chiesi.
“Consulente. Sei un nostro consulente esterno.”
“Però non capisco una cosa, che senso ha inserire una suora, per quanto addestrata e preparata, in un’operazione di rilevanza secondaria?”
Il Grande Capo rispose senza smettere di lucidare le foglie con un panno giallo: “Si tratta di un esperimento. Vedremo se i due corpi possono coesistere, magari in seguito effettueremo delle azioni in compresenza. Stai tranquillo, Manlio. Ti affianco una suora, mica Zhu”.
“Avrà cura della mia anima.”
“E sai quanto ne hai bisogno…”
Suonò l’interfono. Eccola.
La precedette un aroma di muschio bianco e caffè. Più che una devota, sembrava una cadetta dell’Accademia. Indossava una gonna al ginocchio e delle calze scure che fasciavano un paio di gambe lunghe un chilometro. Calzava scarpe decolleté di vernice. Una massa scompigliata di capelli ricci le ricadeva sulla camicetta bianca collegiale. Mi colpì la sua bocca ben disegnata, ma veramente enorme, con gli angoli tirati all’insù come quelli di un joker. La sua espressione, così come il suo modo di camminare e di gesticolare, palesava una convinta certezza nei propri mezzi.
Io me ne stavo ricurvo e sprofondato nella poltroncina di fronte alla scrivania del Grande Capo (da un paio di giorni ero anche ossessionato da una forfora nervosa che mi metteva a disagio) mentre dalla figura snella della mia nuova collega fuoriuscivano vampate di ego e sicurezza. Era bella nel complesso, ma di una bellezza che può stancare.
Situazione da schifo, pensai. Eccitante come sputare i semi dell’anguria.
Una suora…
“Astreana, ti presento Manlio D’Altavilla. Manlio, Astreana…”
“Astreana?”
“Nome in codice” rispose lei stritolandomi tutte le ossa della mano destra.
“È una condicio sine qua non imposta dalla Santa Sede” mi spiegò il Grande Capo, sfilandosi i guanti da odontotecnico che indossava quando si prendeva cura delle sue piante. “Accomodatevi…”

2Con la visione periferica cercai di cogliere più dettagli possibile. Astreana sedeva composta, le gambe allineate che si sfioravano appena, la valigetta in terra alla sua sinistra, le mani dalle unghie curatissime appoggiate sulle ginocchia. Immobile come una statua greca. E altrettanto proporzionata.
“Signori,” iniziò il Grande Capo, “la sezione crimini informatici per una volta ha compiuto un’operazione efficace: hanno fermato un hacker che trasportava dati utili alla configurazione di un nuovo server.”
Ogni tanto sollevava gli occhi dalla cartellina che teneva in mano e lasciava andare lo sguardo alternativamente da me a Astreana e da Astreana a me. Mi fissai a guardare il suo pomo d’Adamo che andava su e giù mentre parlava. Mi faceva pensare a un tacchino. Un tacchino alto quasi due metri. Al Grande Capo si sarebbe potuta appioppare la somiglianza con un milione di uccelli.
“I dettagli dell’operazione sono nell’incartamento” proseguì. “Come saprete gli hacker professionisti spostano materialmente i file da un posto all’altro in modo da far perdere le proprie Basi. Esistono luoghi di ritrovo, bar, angoli di strada, stanze d’albergo, nei quali avviene il passaggio delle informazioni. Questa volta li hanno beccati in flagrante. Eventualità più unica che rara.”
“E cosa avrebbe smistato il server?” chiese Astreana.
Il novanta percento delle volte si trattava di pornografia illegale, anche se gli hacker di un certo spessore raramente si lasciavano coinvolgere in storie tanto torbide. La loro era una missione, un modo per esibire prova della loro esistenza, non avrebbero mai fornito ausilio a dei biechi commercianti di bambini.
“Niente di fondamentale per la nostra esistenza. Roba ormai passata di moda,” disse il Grande Capo. “Roba per feticisti. Basi Profonde…”
Ecco finalmente spiegato il senso della mia presenza nella ex Biblioteca Nazionale! Era chiaro che nessuno della centrale aveva la minima voglia di perdere tempo a catalogare la marea di dati (quasi certamente inutili) necessari alla programmazione di un server adibito all’acquisto e alla distribuzione di Basi Profonde.
Quale meravigliosa occasione per tornare in sella!
Nemmeno a un contabile si prospetta un lavoro tanto noioso.
“Qual è l’ipotesi di reato?” chiese Astreana innocente.
Attenzione, attenzione, si era aperta una crepa nell’estetica da santino della mia nuova amica! Una domanda del genere presupponeva una completa ignoranza dell’argomento. Dove aveva vissuto negli ultimi dieci anni, in un convento di clausura?
A questo proposito il Grande Capo assunse un aspetto accigliato, come un maestro al cospetto di uno scolaro che gli ponga per la centesima volta lo stesso quesito.
Sbuffò come un gufo francese. “Manlio, vogliamo fare un riepilogo alla nostra collega?”
“La detenzione di una Base Profonda è illegale” dissi rivolto a Astreana. “Posso darti del tu?”
“Certo…”
“Ok, dicevo, non ricordi il vespaio di polemiche che scoppiò quando i benpensanti si accorsero che la gente scaricava dalla Rete gli spezzoni delle memorie di quei poveracci che si erano fatti informatizzare le connessioni sinaptiche?”
“Qualcosa ho sentito, ma in quel periodo ero molto concentrata nello studio, non avevo tempo per dedicarmi ad altro. Comunque so cos’è una Base Profonda, chiedevo soltanto qual è il nostro ruolo in questa missione” rispose Astreana, leggermente seccata dal mio tono divulgativo.
“Controllo dati?” anticipai.
“Esatto, Manlio. Se trovate qualcosa di strano, lo farete presente al vostro referente della sezione crimini informatici…”
“Che ci darà la stessa considerazione di due stagisti” sospirai tra me.
“È un inizio, Manlio. In botanica quando presumi che una pianta stia soffrendo la curi di più, ma non puoi lasciarla alle intemperie. Allora la porti al caldo, in un luogo sicuro, riparato. Un germoglio verde, per quanto piccolo e insignificante, rappresenta nuova vita. Significa che la pianta sta guarendo.”

3Afferrato.
E mi toccò pure ringraziare.
Un’ora dopo io e Astreana ci trovavamo in un locale fighetto dalle parti del Celio. Sorseggiavamo tè cinese alternato a birra thai. Se dovevamo lavorare insieme, tanto valeva imparare a conoscersi.
“Quanti anni hai, Astreana?”
“Ventotto” rispose lei sorbendo la bevanda scura e densa. “E tu?”
“Quarantotto.”
“Te ne davo di più…”
“Non sei la prima che fa questa considerazione…”
Me lo dicevano anche le escort diciottenni che a volte pagavo per dormire con me nel lettone per non soffrire troppo l’abbandono. Ad Astreana non lo confessai, naturalmente.
“Mi sembra che tu e il nostro capo siate parecchio in confidenza” valutò.
“Ho attraversato momenti difficili e mi è stato vicino. Per quanto possa sbilanciarsi una persona nella sua posizione” risposi portandomi la tazza di tè alle labbra.
Il liquido caldo mi scese nell’esofago donandomi una piacevole sensazione: ogni follicolo pilifero della mia epidermide si indurì. “Da quando la moglie l’ha mollato mi ha preso sotto la sua ala protettiva. Per lui sono una specie di valvola di sfogo. E’ rimasto l’unica persona che frequento che mi chiama per nome di battesimo.”
“È un tipo strano…”
“E chi non lo è? Voglio dire, guardati, tu sei una suora, ma sei vestita come una studentessa…”
“Gli appartenenti al nostro corpo non sono obbligati a portare l’abito talare. La regola vale sia per gli uomini che per le donne.”
“La Chiesa procede a passi da gigante.”
“Sarebbe?”
“Be’, un gruppo scelto di agenti segreti… quando ero bambino le suore al massimo accudivano i malati o insegnavano alle elementari. E nessuna aveva i tuoi splendidi capelli.”

5Glissò sul complimento, per la verità un po’ puerile.
“Non è certamente la prima volta che il Vaticano pone in atto misure difensive per debellare gli attacchi esterni. La cristianità non è un relitto, è un’essenza viva e pulsante.”
“Mai pensato il contrario, figurati. Ce lo ricordano praticamente tutti i telegiornali.”
Un cameriere con la faccia graffiata ci servì due pinte di birra.
“In un mondo nel quale i focolai di rivolta contro l’occidente si fanno sempre più frequenti e organizzati, la Santa Sede non poteva continuare a trincerarsi dietro posizioni teoriche stantie e preconcette” disse Astreana dopo che il ragazzo si fu allontanato.
“Hai mai pensato che chi aizza quelli che tu chiami ‘focolai’, in verità lo fa perché si sente vittima di un sopruso?”
“Non ho detto il contrario. Ma un sistema è tanto più stabile quanto più la sua organizzazione interna svolge integrazione tra i suoi membri. Un corpo militare basa la sua esistenza proprio sulla condivisione ideologica. E quindi eccomi qui…” sorrise.
“A me invece pare banalmente che il Vaticano tema di perdere quell’esclusività della conoscenza ultraterrena, quel controllo spirituale che ha sfruttato per secoli e che, a conti fatti, l’ha mantenuto coeso. Le grida di dolore non arrivano più solo dal Terzo Mondo, ormai. Io ho sempre avuto una certa ammirazione per la capacità di cambiar pelle della Santa Sede, intendiamoci. Sono duemila anni che la Chiesa si rinnova per restare a galla e non soccombere: eresie, derive spirituali, scissioni protestanti, i preti ne sono quasi sempre usciti illesi e lindi come un pupo dopo il bagnetto” dissi.
“Riduttivo. Se ragioniamo a grandi linee e tanto per fare due chiacchiere, posso anche condividere la tua opinione, entrando in profondità le cose non stanno così e tu lo sai.”
Accidenti, la suoretta aveva carattere! Bocca di rosa era dotata di un maledetto cervellino funzionante. E mi guardava negli occhi mentre parlava, oggigiorno nessuno ti guarda più negli occhi.
“Cambiamo argomento, ti va? Andrei più sul quotidiano, più sulla banalità da autobus.”
“Vuoi parlare del tempo? Mi viene il mal di testa.”
“Quasi. Tu non sei romana, lo riconosco dall’accento, anche se cerchi di mascherarlo.”
“No, non sono romana. Ma ormai ho capito che per voi romani tutto l’universo dovrebbe girare intorno a questa città. Sono originaria della provincia di Taranto. Non mi chiedere il nome del paese perché tanto non lo conosci. E non cerco di mascherare il mio accento, sono orgogliosa delle mie origini.”
“Massimo rispetto per la privacy e per le tue origini.”
“Ti anticipo io prima che inizi a farmi le solite domande.” disse Astreana finendo la birra e facendo cenno al cameriere di portarne altre due.
“Sono laureata in medicina e in antropologia culturale. Non sono vergine, non ho avuto un’adolescenza triste e infelice, anzi, sono stata amata e coccolata da tutti. Ho dei genitori meravigliosi e un fratello che mi ha reso zia da nemmeno un anno. Ho preso i voti perché volevo dare un senso alla mia vita. Non ho visto direttamente Dio – intendo che non ho avuto visioni di uomini con la barba o di triangoli con un occhio dentro – ma lo sento tutti i giorni in quello che faccio e in ciò che dico. Anche ora.”
“Colpito e affondato” feci. “Il fatto è che più gli antropologi parlano delle vicende di casa loro, meno mi fido delle loro descrizioni di Samoa.”
“L’ha detto Bernard De Voto.”
“Complimenti!”
“Grazie. E di te, invece, che mi racconti?”
“Hai l’onore di parlare con uno stereotipo del maledetto vivente: ex poliziotto con alle spalle un matrimonio fallito, che si arrangia in perfetta solitudine in una vecchia casa del quartiere Monti e che ha perso la fiducia nel suo lavoro ormai da tanto di quel tempo che nemmeno si ricorda, se mai ha avuto un senso cercare di salvare questa società. Fa molto noir, lo so. Inoltre il mio carattere, da qualche tempo, ha assunto un andamento carsico.”
“Disilluso?”
“Non dalle persone in toto. Più dalle coincidenze.”

4Il cameriere sfregiato portò le birre ghiacciate. Mi sorrise. Cazzo voleva?
“Perché hai fatto quella faccia quando hai saputo di cosa ci saremmo occupati?” chiese Astreana.
“Perché non avremo nessun ruolo operativo. Ci mettono a fare i bibliotecari.”
“Ma non hai detto che la vendita delle Basi Profonde è un reato?”
“Sì, ma a nessuno gliene importa niente. Si tratta di un problema del tutto secondario. Il web oggi è una piovra che penetra nelle menti degli adolescenti e le corrode, è la piattaforma di lancio per attacchi a sistemi di gestione di interi Stati, è il covo di terroristi e malintenzionati di ogni sorta. Chi vuoi che si interessi di qualche pervertito che si diverte a interrogare le vestigia mentali di un povero cristo morto anni fa?”
“Hai mai avuto a che fare con casi analoghi?”
“Sì. E ricordo solo l’inutilità di tutta l’operazione. Alla fine denunciammo una manciata di professionisti e teste d’uovo che acquistavano Basi Profonde su siti criptati: non so nemmeno come siano andati a finire i processi, ammesso che si sia mai arrivati a un qualche grado di giudizio.”
Più tardi, per smaltire l’alcol, passeggiammo per villa Celimontana.
Conoscevo bene il posto, era la nostra abituale meta domenicale quando io e la Pam portavamo Francesca a giocare all’aperto. Tra quei sentieri echeggiavano ancora le sue risate.
Appesantito e destabilizzato dalla birra, non riuscii a compensare con una maschera di finta allegria e complicità lo sconforto che mi ribolliva nel petto. Perché tutto era crollato? Quali errori pregressi la provvidenza mi stava facendo scontare? Per quanto tempo ancora avrei continuato a idealizzare l’amore per la mia famiglia?
Astreana si accorse che qualcosa in me non andava. Educatamente non fece domande. Camminammo spalla a spalla, muti, incredibilmente vicini. Fino alla fine di quella giornata sballata, fino a quando il cielo non divenne un corvo, mentre il vento chimico spirava tra le cime altissime dei pini.
.

14 pensieri su “Memoria liquida VI

Volete partecipare alla discussione? Scrivete ed esprimete il Vostro parere, grazie.