Memoria liquida VII

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1Le notti in via Nazionale erano funestate da stormi di gabbiani che planavano tra i vecchi edifici emettendo il loro caratteristico verso malinconico. Le ali bianche si confondevano con il latte che colava dalla luna. Al di sopra del Palazzo delle Esposizioni avvenivano autentiche battaglie tra uccelli. Le cornacchie generalmente perivano, abbattute dai becchi aguzzi e dall’aggressività dei gabbiani, precipitando sui sampietrini come neri sacchi dell’immondizia.
L’insegna del Bar Mocambo piangeva nell’oscurità.
Non dovevo lasciarmi andare ad allucinazioni di sottomissione. Avevo un lavoro da svolgere.
La giornata era trascorsa a caricare sui nostri hard disk i dati sequestrati all’hacker arrestato. Gli agenti della polizia avevano cercato di essere più gentili possibile con me e Astreana, mettendoci anche una stanza a disposizione, ma era palese che vedevano la nostra presenza nei loro uffici come un’intrusione. Verso le diciassette avevo riaccompagnato Astreana al dormitorio cattolico e le avevo consigliato di passare la serata a studiare. “Domani ti interrogo” le avevo detto per scherzo mentre scendeva dalla mia Toyota. “Fai una ricerca cronologica su Internet. Vedrai che ti schiarirai le idee.”
Aprii il frigo e presi un succo di frutta, che allungai con una punta di Cabernet Franc, tanto per aiutare le mie funzioni neurali a riattivarsi. Ero in ipoglicemia.
Accesi il portatile, quindi inserii l’hard disk nella porta USB e aspettai che l’applicazione partisse. Sullo schermo apparve la schermata di gestione.
Tre anni prima un geek indiano nemmeno maggiorenne aveva creato quel programma di interazione utente-Profonda nella sua stanzetta da liceale e, dopo un periodo di tempo che in termini informatici corrispondeva al passaggio tra la Pangea e la deriva dei continenti, il suo prodotto era ancora il più usato nel pianeta.
Quattro icone sulla sinistra mi fornivano la quantità di Basi rinvenute nel materiale sequestrato.
In linea di massima ogni Base si riferiva a un individuo, ma data la quantità di volte che quei file erano stati copiati, alterati, criptati e decriptati, poteva anche accadere che allo stesso codice corrispondessero due memorie distinte. Era una possibilità alla quale, ringraziando il cielo, avevo assistito una sola volta. Le entità di due persone si sovrapponevano e per i due segmenti mnemonici era come vivere un’improvvisa condizione schizofrenica. Di fatto, impazzivano. La subcoscienza esplodeva e le urla di dolore, incomprensione, paura, erano agghiaccianti.
Le Basi identificate con il codice #541426 e #541427 mi sembrarono a una prima occhiata irrimediabilmente danneggiate o del tutto prive di interesse.
La prima conteneva pochi brandelli sfilacciati di ricordi angosciosi. Impossibile ricostruirne la provenienza. I frammenti di quello sconosciuto avrebbero vagato per l’eternità nella Rete. Per quanto, c’era da scommetterlo, se quelle stringhe di dati fossero finite nelle mani di un programmatore di siti sensoriali, il bastardo non ci avrebbe pensato due volte a dare in pasto ai tossici in astinenza tutta quella disperazione.
Nella seconda Base le connessioni sinaptiche informatizzate avevano mantenuto una certa stabilità strutturale e riuscii perfino a interagirci. Mi accorsi ben presto che di quella mente ossessionata dai numeri era sopravvissuta solo la parte più profonda e remota, la componente senza esperienza ambientale. In pratica, mi trovai a interagire con un essere regredito all’età prescolare: poco stimolante davvero.
La Base Profonda numero #541428 apparteneva a un professore universitario riconfigurato perché malato di tumore allo stadio terminale. Passai oltre, anche se, stando ai risultati della scansione, i ricordi sembravano emotivamente coerenti (cioè divisi, come avviene in un encefalo funzionante, per aree).
In fin dei conti l’operazione della sezione crimini informatici non era stata questo successo strabiliante: solo quattro tristi porzioni di Profonda, per giunta di pessima qualità. O si trattava di un server secondario, oppure il bottino trovato all’hacker era solo una parte di un flusso illecito ben più ampio.
Il mio intontimento annoiato e sonnolento tuttavia svanì appena lanciai la Base catalogata con il codice #541429. In quel momento, anche se ne ero ovviamente ignaro, stavo penetrando in un meccanismo sepolto e artificiosamente dimenticato, in un incubo che mi avrebbe catapultato nel ventre molle della città.

2Mi accorsi immediatamente che lo stato di conservazione aveva dello stupefacente. Il mio laptop si ibernò per qualche secondo. La quantità di informazioni che stava caricando non aveva uguali, almeno a quanto rammentassi, nella breve storia delle Basi Profonde.
Lo schermo si riempì di icone rotanti sull’asse. I file non erano suddivisi per argomento e ogni porzione era indicata solo con un numero progressivo. A me l’onore di scoprire cosa contenessero.
Quando cliccai sulla prima icona accadde l’inaspettato.
Un grido disumano proruppe dagli speaker integrati.
Balzai sulla sedia.
Esplodeva dai piccoli altoparlanti un lamento atroce, una rievocazione primordiale di esseri quadrupedi e lucertole, una voce proveniente da distanze siderali e sconosciute. Era l’urlo raccapricciante di una creatura obbligata al silenzio eterno, dispersa in quel nulla assoluto e senza colore che è possibile associare solo alla morte.
Poi iniziarono i rantoli, un respiro frantumato in mille schegge affilate da interferenze elettroniche, da byte pirata.
Ebbi per la prima volta la consapevolezza dell’orrore che i sogni di eternità avevano partorito. Il sonno della ragione.
Appena il sistema si fu stabilizzato, afferrai con mano ghiacciata il mouse e cercai tra gli strumenti di gestione l’opzione per passare al comando vocale.
L’ambiente era saturo degli ansimi dell’uomo riconfigurato.
“Mi sente?” dissi rivolto al microfono posto sulla cornice dello schermo.
Dalla mia voce traspariva il turbamento – lo sgomento! – che provavo?
Il rantolo si attenuò, vigile. Si fece sorvegliato, come di chi senta provenire un rumore da un punto imprecisato mentre si trova in una stanza buia. Ovviamente la Base non stava respirando realmente: non avendo più un organismo, non aveva più nemmeno i polmoni, o la necessità di ossigenare il sangue per sopravvivere. Ciò che stavo ascoltando era l’idea di respiro impressa nel suo cervello, una scia residua della sua esistenza terrena. Il suoi neuroni, ridotti a linee numeriche, interagivano con il software sul quale erano virtualizzati, simulando una condizione fisica inesistente. Credeva di essere vivo quando era solo un fantasma.
“Mi sente?” ripetei. “Per aiutarla devo sapere se lei è abbastanza integro…”
“Integro?”
“Perché ha urlato?”

3Attimi di silenzio.
“Ho provato dolore. All’improvviso. Qualcosa mi ha spinto fuori dal guscio…”
“E poi?”
“…Un guscio caldo. Come se il tempo si fosse fermato…”
“Sa chi è? Ha percezione di sé?”
“È la morte questa?”
Sbalorditivo! Non stavo interagendo con una Base Profonda parziale, come era consuetudine. #541429 ragionava, operava raffronti, effettuava descrizioni e dimostrava sufficienti capacità cognitive.
Secondo la mia esperienza una Profonda in buono stato poteva avere coscienza di segmenti del suo vissuto antecedente. Nella migliore delle ipotesi l’informatizzazione delle connessioni sinaptiche consentiva alla persona riconfigurata di descrivere immagini del suo passato, come facciamo noi abitualmente con i ricordi, ma che una Base riuscisse a comprendere il proprio stato psicofisico e avesse percezione di trovarsi in un limbo, era fino a quel momento un’ipotesi esclusa dalla letteratura di settore.
Cosa dovevo rispondere? Come avrebbe reagito alla verità? Come spiegargli la sua nuova e insopportabile condizione?
Presi tempo.
“Sa chi è lei?”
“Sì… no… io penso di sì… non sono sicuro… sono morto?”
“Il termine ‘morto’ non si addice alla sua condizione.”
“E qual è la mia condizione?”
“Le dice qualcosa il termine ‘riconfigurazione’?”
Silenzio.

4“Dove mi trovo? E lei dov’è, da dove sta parlando?”
“Il luogo più indicativo che mi viene in mente è dentro la sua testa…”
“Quale testa? Per favore, mi aiuti!”
“Ha detto di ricordare la sua identità. Ricorda anche il suo nome?”
Rispose dopo quello che mi sembrò un secolo.
“No.”
Lo stavo sovraccaricando? Anche se la questione era ancora dibattuta a livello etico, quell’uomo era “tornato in vita” da appena un minuto dopo anni di… di cosa?
“Io… ero un Ispettore… ho delle visioni, qui… il mio lavoro…”
“Era un poliziotto?”
“Sì…”
Non mi sfuggì una certa fierezza nel tono. Aggiunse subito dopo: “Dove mi trovo?”
“Non è una domanda alla quale posso offrire una risposta adeguata, la prego di credermi…”
“Allora lei dov’è?”
“Io mi trovo nel tempo presente, in un piano di realtà nel quale è l’anno 2048, sono a Roma, Italia, Europa. Comprende i riferimenti spazio-temporali?”
“Sì, io capisco… ma lei mi sta parlando dal futuro…”
Era ovvio!

5La maggior parte delle riconfigurazioni era stata effettuata tra il 2017 e i primi mesi del 2018. L’attacco alla banca dati era avvenuto nel settembre di quell’anno.
“Quanto tempo approssimativamente direbbe di essere rimasto nel guscio?”
“Poco…”
Invece erano trascorsi anni. Quali riflessioni solleticava quella risposta? Che la morte è uno stato di infinita quiescenza atemporale? Che, in definitiva, Dio non era altro che un’astrazione, un concetto, una rappresentazione interiore?
“Riuscirebbe a quantificare?”
“Può portarmi via di qui?”
“No.”
Il respiro si attenuò, tanto che dovetti avvicinare l’orecchio alle casse per udirlo. Molto flebile, ma c’era.
“Ispettore, mi sente?”
Niente.
“Ispettore? Ispettore?”
Era tornato nel guscio.
Prima di addormentarmi mi ero scolato il resto della bottiglia di Cabernet. Più ubriaco che brillo, ero precipitato in un sogno agitato e sudaticcio. Mi svegliarono, come quasi tutte le mattine, le bestemmie dell’edicolante all’angolo tra via del Boschetto e vicolo dei Serpenti.
Uggiolando, mi trascinai fino in bagno e mi feci una doccia bollente. Mi sentivo a pezzi, letteralmente in frantumi: una gamba qua, un braccio là, la testa fuori dalla finestra.
Un paio di tazze di Twinings al bergamotto mi sistemarono lo stomaco.

6Fluttuando in una sonnolenza alcolica più simile a un delirio che alla coglionaggine di una sbronza, avevo focalizzato la situazione.
Se avessi stilato e consegnato un rapporto completo agli agenti della sezione crimini informatici tutto sarebbe finito in un archivio. Il che avrebbe significato scaricare l’eccezionale scoperta di quella notte nella tazza del cesso.
In teoria, ma solo in teoria, la presenza di Astreana mi avrebbe dovuto aiutare a catalogare e a inquadrare la provenienza dei dati sequestrati. Pura astrazione. Tempo perso.
Non c’era nessuna fretta, dopotutto. Non dovevo per forza correre dal Grande Capo come un secchione dalla maestra. Mi sarei preso qualche giorno per studiare la Base Profonda codice #541429.
Tanto, in un modo o nell’altro, una volta nelle mani della polizia quel materiale sarebbe stato sepolto in qualche magazzino polveroso. Perché non provare a saperne di più? Su cosa? Non lo sapevo nemmeno io, non cercavo niente di specifico. Ero semplicemente affascinato dalla possibilità di interagire con un’entità riconfigurata.
Come aveva detto il Grande Capo? Roba di poco conto. Roba da feticisti.
Nell’ampio catalogo delle mie rovine potevo inserire anche quella perversione.
Astreana mi stava aspettando in strada. Indossava una camicetta azzurra lucida e una cravatta nera. L’eccitazione che mi provoca una ragazza con la cravatta è seconda solo all’eccitazione che mi suscita una ragazza che vomita.
Il cielo era oscurato da un esercito di cirri perlacei.
“Scusa il ritardo.”
Lei salì a bordo portandosi dietro un’incudine di profumo agli agrumi. Si era fatta le unghie. Un’ombra di lucidalabbra sulla bocca da joker.
“Buongiorno, Manlio” disse. “Già fatto colazione?”
“Al solo pensiero di mangiare mi viene la nausea. Ieri sera mi sono dato alla pazza gioia…”
“Seratina romantica?”
“Diabetica.”
“Da alcolizzato?”
“Sì.”
“Da depressione all’ultimo stadio…”
“Eh lo so…”
“Chiamami la prossima volta…”

7Feci finta di niente anche se mi sentii avvampare come carta di giornale.
Una suora…
“Io ho una fame che mangerei un cinghiale con gli zoccoli. Prima di tornare a chiuderci in ufficio voglio mettere qualcosa nello stomaco…”
Mentre ci facevamo derubare in un bar per turisti con vista su Porta Cavalleggeri, Astreana mi relazionò riguardo alle sue ricerche notturne. Si trattava di notizie che in linea di massima già conoscevo, infarcite di leggende metropolitane e soggette alle distorsioni tipiche del passaparola su Internet.
Nell’anno del Signore 2017 dopo Cristo, due scienziati geniali e dediti alle droghe lisergiche, Brian Huang e Albert Sinatra, assieme al loro gruppo di ricerca formato da talentuosi maghi dell’informatica, sconvolsero il mondo e la sonnacchiosa comunità scientifica con un annuncio rivoluzionario: sostenevano di essere in grado di digitalizzare le connessioni sinaptiche di un uomo.
Il principio era ipoteticamente semplice: iniettando nel circolo arterio-venoso del soggetto proteine artificiali in grado di oltrepassare la barriera emato-encefalica (i cosiddetti carrier), Huang e Sinatra effettuavano una scansione cerebrale accuratissima degli insiemi cognitivi.
Più che l’immensità della scoperta scientifica, ciò che atterrì il pianeta fu la facilità con cui, ammesso che il processo di riconfigurazione funzionasse davvero, si poteva trasferire un essere umano su un computer.
“Ok, questa è la versione divulgativa. Sei un medico, qualcosa di più approfondito?”
Non avevo mai visto nessuna fare colazione con tanto appetito: due cornetti plastificati, una fetta di torta industriale alla ricotta, una spremuta di pompelmo e un cappuccino.
“Prendi qualcosa anche tu… un bicchiere di rosso?”
“Spiritosa, un caffè.”
Eravamo entrati subito in intimità. A volte capita. Di conseguenza, altrettanto disinvoltamente ci saremmo persi.
A Astreana si prospettava una brillante carriera, la mia era finita prima di cominciare, anche se c’era stato un periodo durante il quale anche io mi ero trovato in rampa di lancio. Farle da chioccia, indottrinarla, rispondere alle sue domande – se ci fossero state – non avrebbe potuto che rinfrancarmi il cuore. Non avevo aiutato Francesca, ma potevo ancora fare qualcosa di buono.
“Potrei annoiarti con particolari inutili, non so se hai voglia di starmi a sentire.”
“Prolunghiamo il più possibile questo segmento di vita, oggi ci attende la lettura dei verbali dell’interrogatorio. Dobbiamo caricare sugli hard disk altro materiale, più danneggiato, e vedere se è possibile ricavarne qualcosa.”
“Ok, l’hai voluto tu. Non sono un neurologo, ma qui siamo al primo anno di medicina. Allora, ogni neurone è composto da un corpo cellulare detto soma, da varie antenne chiamate prolungamenti protoplasmatici, o dendriti, e da un assone che invia i segnali elettrici. La cellula nervosa riceve e trasmette i suoi messaggi attraverso un codice a intervalli variabili. Mi segui?”
“Per ora sì”
“Quando l’impulso nervoso raggiunge l’estremità dell’assone si trasforma da elettrico a chimico: il segnale attiva delle vescicole, minuscole strutture simili a bolle nelle quali sono rinchiusi i neurotrasmettitori, i quali vengono liberati nella giunzione sinaptica. Anche neuroni che si trovano a notevole distanza tra di loro possono entrare in connessione attraverso le arborizzazioni, creando una fitta rete che attivata può produrre un pensiero, stimolare un ricordo, associare figure e parole. Su questa capacità di legame immediato tra cellule anche geograficamente lontanissime sono basati gli studi di Huang e Sinatra: una volta virtualizzati i neuroni e insegnato al software a sniffare e replicare gli impulsi prodotti dalle cellule nervose, bastava legare tra loro le sequenze di dati per aggregare le catene sinaptiche.”
“Detto in due parole.”
“Detto in due parole” rispose Astreana allargando le braccia.
“E cos’è che non funzionava?”
“Per funzionare funzionava. Parliamoci chiaro, concettualmente e a livello realizzativo gli studi di Huang e Sinatra sono illuminanti, precorrono i tempi, sono una freccia conficcata nel futuro.”

8La ragazza si stava infervorando. Rifocillata, adesso sprizzava erudizione.
“E allora? Perché tutte le Basi Profonde che abbiamo rinvenuto dopo l’attacco del settembre 2016 sono frammentate? Molto di rado sono interessanti… intere mai…”
“I motivi sono tre.”
“Sentiamo…”
“Uno: le persone riconfigurate non dovevano essere per forza degli Einstein o degli Shakespeare… magari si trattava di una casalinga che aveva scoperto di avere una grave malattia e, con i soldi accumulati in una vita di sacrifici, aveva deciso di affidare la sua mente a una macchina, sperando di risvegliarsi nel futuro con un nuovo corpo. L’iter non è molto dissimile dagli esperimenti condotti in ambito criogenico. Ma stiamo considerando solo l’aspetto commerciale. Huang e Sinatra avevano necessità di enormi fondi per portare avanti le loro ricerche e, viste le feroci critiche etiche che ricevevano da ogni angolo del pianeta, decisero di autofinanziarsi riconfigurando le persone per denaro. D’altronde, a un malato terminale i soldi interessano fino a un certo punto. I due scienziati proponevano un surrogato di vita eterna. Non sarà l’immortalità vera e propria, ma è pur sempre qualcosa…”
“Due?”
“La dispersione dei dati nella Rete ha reso instabili le Basi e una quantità incredibile di informazioni sono andate perdute, tanto che è praticamente impossibile rintracciare una Profonda completa che abbia le funzioni cognitive intatte. In ultimo, ed è l’elemento più importante, le connessioni neuronali sono facilmente modificabili. Una catena può legarsi per un microsecondo, giusto il tempo necessario all’emergere di un’idea e poi rompersi per formare altre maglie. Invece la logica di classificazione di un software è proprio la stabilità e, se vogliamo, la ripetitività. Ieri sera ho letto una dichiarazione di Sinatra riconducibile a qualche settimana prima dell’attacco degli hacker: ‘Siamo sicuri di risolvere il problema al massimo entro una decina d’anni’. Chissà se erano sulla buona strada.”
“E poi è tutto finito…”
“In un lampo… un epilogo molto triste. Un progetto rivoluzionario disintegrato nell’arco di poche ore per colpa dei soliti, ottusi estremisti. Di quegli esperimenti oggi non restano che sequenze di byte venduti al mercato nero a uso e consumo di qualche tecnoidolatra di Internet. Anche la polizia ormai snobba i casi di ricettazione di Basi Profonde.”
“Che vuoi farci, il mondo del crimine si ricicla…”
Mi alzai, osservando il traffico dalla vetrata. Un numero impossibile da quantificare di impulsi elettrici facevano muovere quella densa e rumorosa umanità. Avevamo veramente bisogno di scavalcare le barriere della morte?
“Che ne è stato del gruppo di ricerca?”
“A quanto ho potuto scoprire, Huang si è rifugiato in sud America, ha comprato un lotto di terreno in una zona a bassissima densità abitativa e sta lavorando, assieme ad alcuni aficionados, ad altri progetti sui quali vige il più stretto riserbo. Sinatra sembra sia a Tangeri a sperimentare scientificamente su se stesso l’effetto delle droghe psicotrope. Gli informatici sono stati tutti assorbiti dalle multinazionali dell’IT.”
“Solo una domanda. Cosa intendevi prima con è impossibile rintracciare una Profonda con le capacità cognitive funzionanti?”
“Complete ce ne sono, a dire il vero, si narra che negli Stati Uniti e nel nord Europa si stiano studiando delle identità perfettamente conservate. Ma non hanno coscienza di sé” spiegò Astreana.
“E se ti confessassi che io sono in possesso di una Base che si rende conto che gli sto parlando dal futuro e invoca aiuto?”
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23 pensieri su “Memoria liquida VII

  1. Quand’é che, uno schema percettivo, diventa coscienza?
    Quand’é che, una ricerca diversa, diventa una ricerca per la verità?
    Quand’é che, una “simulazione” di umanità, diventa una particella “amara” di un’anima?
    Nota quello che nessun’altro nota e saprai quello che nessun’altro sa.

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  2. Di fantascienza, è di fantascienza. Però, se mi permetti, le teorie espresse sono credibili anche perché, teoricamente, è possibile.
    Mio Dio, è terrificante vivere-non vivere in quella condizione.
    Che angoscia e tu bravo che sei iuscito a descrivere con una tale bravura che mi hai angosciata.
    Buona domenica mio milord

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    • Manuela Rovati

      Ehm, si, diciamo che è bello tosto, grazie.
      Beh, io ritengo che, in un modo o nell’altro, non siamo ridotti ad un “file”. Finquando qualcuno non spegnerà l’interruttore o staccherà la spina. Tu, io, noi, qua dentro e fuori, siamo un file.,
      La vita intima che mi riguarda ( tanto, ma tanto) come detto altre volte, è racchiusa proprio in queste pagine.
      Qua ho pubblicato i miei pensieri, le speranze, le tristezze e le sconfitte.
      Tutto racchiuso in un file.
      Fin quando “qualcuno” non staccherà la spina o spegnerà la luce. (Come è avvenuto per Splinder).
      Ciao La Manu, mia carissima amica, non saprei pensarti diversamente da come sei.

      🙂

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    • viola

      Buongiorno Mia signora,
      si ho visto e devo dire che, oltre al fatto di essere schierata, sei molto brava, efficace, diretta e sai utilizzare lo strumento fotgrafico al meglio.
      Queste qualtà sono notevoli.
      Curale.
      Forse non renderanno denaro, ma renderanno piacevole la vita a chi ti circonda.
      Anche, dunque, se non la pensiamo politicamente parlando allo stesso modo, ti ammiro per il lavoro svolto.
      Brava.
      Il tuo è un Blog da leggere e che invito, gli amici, a leggere.
      Buona giornata

      🙂

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    • Diadumeno

      Don Dudù,
      Ti ringrazio per essere sempre in prima linea.
      Ci accomuna, a te “Principe del Foro” in quel di Napoli, la partenope Capitale, a me povero scribacchino polentonazzo dell’alta italia (ma sempre della nostra bella Italia si parla) l’amore per la letteratura, l’arte e tutto quello che permette, ad una Civiltà, di vivere.
      In molti (ma parliamo di persone che non riesco a biasimare: sono i bastonati dalla vita, senza alcuna chance, poveretti. Quasi come dei cuccioli abbandonati all’atto della nascita) mi hanno detto: con la poesia, il raccontino, non si mangia.
      Già, è vero.

      Ma si vive e si rende la propria vita più gradevole, dandole una visione diversa.
      Almeno durante la lettura.
      Un senso in quanto, grazie alla mia limitatezza, il senso della vita non riesco proprio a trovarlo.
      E forse non esiste proprio quel senso.

      Se leggo una poesia, un romanzo, oppure un libro di filosofia o di scienze politiche-antropologiche (per le quali dedicherei, veramente, la vita) non penso più alla condizione umana in quanto tale, ma ai significati molteplici che tale condizione comporta.

      Il colori dell’Autunno, senza l’autunno.
      ma che scemo.
      Ciao e buona giornata

      Dalla seconda capitale del Regno pontificio

      ‘o miluorde!

      😉

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    • Isabella Ozieri

      Amica mia.
      La realtà nera,della disperazione più acuta, non si può raccontare, ma intuire,
      Se hai intuito tutto questo, allora, sono riuscito nello scopo. Ti inviterei, comunque, a proseguire nella lettura (come sempre faccio notare: salvo personale premorienza) quanto di interessante ho da raccontare.
      Se poi non dovesse essere così interessante, beh, avrò fatto esercizi linguistici e imbrattato delle pagine.
      Comunque avrò impiegato, una parte della mia esistenza, in qualcosa di innocuo per gli altri, per me, ma pulito, inoffensivo e non invasivo.

      Ciao Isy

      ;-).

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    • Alessandra Bianchi

      Grazie, amica mia.
      Cerco di inseriire argomentazioni attuali, in una storia che si svolge dentro un probabile futuro fantascientifico.
      Fantasia e scienza da supporto, che non ha i dischi volanti, né improbabili alieni dalla forma di rettile che, immancabilmente (secondo la letteratura mirikana), vengono per distruggere il pianeta.
      Il futuro, almeno quello che sto tentando di descrivere, non è soltanto che la mera prosecuzione del passato.
      Stessa cosa.
      Pari pari.
      Come se parlassimo di ieri e di domani.

      Grazie e buona giornata

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  3. Complimenti per la fantasia! Ma il concetto ( meno male spiegato…rumble mumble…) E’ MEGLIO DEL MIO FILM PREFERITO ossia ” Vanilla Sky”.
    Ora che sono chiare le date e gli eventi ( mi ero un po’ sparsata nella prima parte) ti rivolgo i miei complimenti e continuo a leggere.
    Stile originale e impeccabile come sempre. ( mi fa strano il “tu”).

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