Memoria liquida XV

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1Nonostante l’insofferenza causata dall’odore di plastica della macchina a noleggio, trangugiai tre cheeseburger e mi scolai mezzo litro di Nastro Azzurro.
Mi avevano tolto il gesso quella mattina e avevo una sola cosa da fare.
Nel cimitero allagato, mezzo morto e allo stremo, avevo implorato Dio di farmi sopravvivere per poter parlare ancora una volta con mia figlia. Adesso ero vivo e glielo dovevo. Se non a Dio, nel quale non credevo, almeno al destino.
“Te lo ricordi Brundlefly? Sì, esatto, è un ometto insignificante. Ha quei capelli crespi che … povero Cristo, secondo me non riesce nemmeno a pettinarsi! E la vuoi sapere una cosa? Gli accora l’alito. No, veramente, quella bocca emana un fetore insopportabile. Una fogna. Il suo messaggio in codice in segreteria mi diceva di incontrarci nel luogo dove Godzilla depone le uova una volta arrivato a New York. Ci ho messo un po’ a capire che si riferiva al goffo film del ’98 … è vero, chiedere a un tipo come Brundlefly di conoscere la serie originale giapponese sarebbe troppo …”
Nelle Comunità di Priori ti notano all’istante. Indipendentemente dai vestiti che indossi, dall’auto che guidi, dall’acconciatura che il tuo barbiere distratto ti ha costretto a esibire, la gente che vive in una Comunità di Priori è talmente abituata a confrontarsi sempre con le stesse quattro facce, che un forestiero spicca tra loro come una mosca posata sul mento di un attore da blockbuster durante un primo piano.
I Priori non differiscono molto dagli Hamish. Personalmente li ho sempre stimati. Ammiro tutte le comunità utopiche, anche se non avrei mai i coglioni di mollare gli agi del ventunesimo secolo e ridurmi a fare il bagno in una tinozza di zinco, strofinandomi con il sapone ricavato dall’ebollizione del grasso dei suini.
Molte di queste persone avevano un lavoro di alto profilo, erano dirigenti d’azienda, medici, avvocati, ingegneri, tipi ben inseriti nella società. Poi un giorno si erano stufati. Stufati degli orari, dello stress, del traffico, delle giacche e delle cravatte. Avevano buttato nel gabinetto il loro computer, il loro cellulare, il loro palmare, il Bluetooth e ogni sorta di stronzata inutile che la pubblicità, subliminale e accattivante, gli aveva suggerito di acquistare e che oltretutto andava ad accrescere la mondezza elettronica scaricata da bastimenti apolidi sulle spiagge dei Paesi del Terzo Mondo.
Ma, a prescindere dall’aspetto filantropico, la maggioranza di questi individui ne aveva semplicemente abbastanza della tecnologia.
O della dipendenza da essa.
“Manlio, mi stai ascoltando? Non so, sembri distratto. Pensi a Tagliaferri? Scusa, non ti innervosire, era tanto per chiedere. È la prima persona che mi è venuta in mente. Posso andare avanti? Come dici? Devo andare avanti? Ma se fino a un secondo fa stavi guardando fuori dalla finestra. Allora, Brundlefly l’ho trovato nel piazzale davanti al Palazzetto dello Sport che mangiava un panino con hot dog e crauti. La maionese gli colava da ogni parte. Le briciole impastate di saliva gli cadevano sui vestiti. Aveva due parentesi di salsa gialla agli angoli della bocca. E pensare che io mi ero anche data una sistemata e mi ero vestita tutta carina. Appena arrivata mi ha detto: ‘Questa volta sei venuta senza accompagnatore? ’ No, non penso ci stesse provando, immagino volesse sondare il terreno per capire come muoversi e quale atteggiamento adottare. E, come avrai intuito, non sono andata all’appuntamento col Santo Padre. Lo so che ti eri raccomandato, ma non avevo voglia di portarmelo dietro. So badare a me stessa. Ero armata, tranquillo. Ascolta, non vorrei che tu ti facessi un’idea sbagliata: Brundlefly prende molto sul serio tutta questa vicenda. Ci ha lavorato anni e sa veramente un mucchio di cose. Aspira a ricavarne un tornaconto, non c’è dubbio, spera di farne un grande scoop giornalistico, ma non posso certo biasimarlo. E noi, Manlio? Noi invece cosa vogliamo ottenere da questa storia?”
Gliel’avevo detto, a Astreana. “Chiamalo come vuoi: egoismo, voglia di mettersi in gioco, desiderio di rendersi in qualche modo ancora utili, ma io chi c’è dietro questa merda ormai voglio saperlo.”
“Il Grande Capo ci toglierà il caso, stanne certo.”
“Lo so, non ricordarmelo. Già si aspetta che gli relazioniamo qualcosa nei prossimi giorni. Io sto prendendo tempo inventando delle scuse, ma sto finendo gli argomenti. Gli ho raccontato che le Basi sono deteriorate, che stiamo facendo un lavoro certosino per rimettere assieme i pezzi… per nostra fortuna è talmente impegnato da non cagarci minimamente. Tu sei una suora e io non ho nemmeno una pistola, non siamo propriamente in cima ai suoi pensieri. Altrimenti non ci avrebbe inchiappettato senza lubrificante affidandoci la verifica di una montagna di dati che lui per primo considera inutili…”
“Manlio, modera i termini! Che linguaggio!”
“Sì, perdonami, mi è uscita così, d’impulso…”
“Comunque non è detto che lo debba venire a sapere.”
“Cioè?”
“Il Grande Capo… non è mica obbligatorio che andiamo a raccontargli tutto…”

2Il boss, il leader Màximo, il caporione della Comunità di Priori era un tizio con una lunga barba bianca da druido e un taglio di capelli che mi ricordava il Rod Stewart del periodo di Forever Young. Mi venne incontro con la mano tesa e lo sguardo fiammeggiante di chi conosce il lavoro fisico, la fatica e il sapore salato del sudore. Lo sguardo di chi per vivere è abituato a non dipendere da nessuno ed è quindi ormai oltre l’imbarazzo e la formalità.
“Benvenuto” disse ostentando un sorriso da pubblicità. “Mi chiamo Dolcezza, cosa posso fare per te?”
Rifiutare le sovrastrutture significava anche eliminare il formalismo della terza persona.
“Piacere, Manlio D’Altavilla…” La sua mano era callosa, la stretta vigorosa.
Dovevo sembrargli ben strano. Di solito i tipi che andavano a sbirciare nelle Comunità di Priori erano adolescenti ubriachi con le fidanzatine annoiate infilate nella tasca dei jeans e i Metallica a manetta nello stereo, o troupe televisive invadenti e fastidiose come la sabbia nei reni. Probabilmente si stava chiedendo: chi è questo stronzo?
Era una splendida giornata di sole, lì, ai margini della zona allagata. Il cielo era immenso. Le donne avevano la pelle abbronzata e l’aspetto tonico, le labbra tumide, i sensi vigili. Sedevano sulle soglie delle baracche in gruppi silenziosi, impegnate a cucire e a tenere sott’occhio i bambini. Alle spalle dell’abitato, ampi appezzamenti di terreno coltivato digradavano sino al mare.
Dopo che gli dissi che stavo cercando qualcosa per me molto importante – importante per usare un eufemismo – e che probabilmente questa cosa l’avrei trovata nel loro magazzino, anzi, con tutta probabilità l’avrei trovata nel loro magazzino, Dolcezza fece: “Posso offrirti da bere, così nel frattempo mi spieghi dettagliatamente di cosa accidenti stai parlando?”
“Brundlefly è dell’opinione che mezzo dipartimento sia coinvolto, anche se marginalmente, nelle sparizioni attribuite erroneamente a Amodio. Sostiene che l’insabbiamento è stato ordinato dai piani alti. Anche un agente di quartiere si sarebbe accorto che Alberto non poteva materialmente aver fatto sparire i corpi della Spada e della Mori. L’avvocato difensore di Amodio gli ha confessato in via ufficiosa che, cito testualmente: ‘In oltre vent’anni di carriera non mi sono mai sentito tanto osteggiato. Fascicoli che sparivano, comunicazioni del tribunale che non arrivavano, testimoni reticenti e visibilmente indottrinati dall’esterno a raccontare verità parziali, quando non vere e proprie menzogne. E del suicidio di Alberto in carcere ne vogliamo parlare? Tutta l’inchiesta fu un’immensa porcata’. Manlio, anche io ho pensato subito al Grande Capo, in fin dei conti al distretto non si acquista nemmeno la cancelleria senza la sua approvazione. Brundlefly è un cane sciolto e, resosi conto che andava a scontrarsi con qualcosa di pericoloso, ha ritratto la testa nel guscio. Mi sono studiata gli appunti, anche l’Ispettore ha parlato in più di un’occasione di ‘un possibile scandalo’. E sai quando mi si è letteralmente accesa una lampadina nel cervello? Quando Brundlefly mi ha parlato di un’informatrice, di una prostituta d’alto bordo che si era spupazzata tutti i personaggi della Roma bene con uno stipendio di oltre trecentomila euro annui. ‘Quelli sono massoni’ gli aveva confidato. ‘E si stanno facendo uno zoo…’ Uno zoo, Manlio, do you remember le parole dell’Ispettore? Metallo e carne, esatto. Dulcis in fundo, prova a indovinare che fine ha fatto questa escort di lusso? No, non si è ritirata a vita monastica come il pilota dell’Enola Gay… bravo, si è suicidata. Sai che novità! Una squillo che si ammazza non fa scalpore. E i poliziotti non vedono l’ora di archiviare il caso per non dover compilare montagne di scartoffie che tanto non leggerà mai nessuno. L’hanno trovata con lo stomaco pieno di barbiturici nella vasca da bagno di una suite di un hotel di via Veneto. Aveva usato un bagnoschiuma alla cannella…”
“Lascia che ti dica una cosa, Manlio,” disse Dolcezza, “non mi spaventa la dura vita nel contado, né faccio lo schizzinoso quando c’è da infilare un braccio nell’utero di una vacca per estrarre il vitello, ma non potrei vivere senza la Coca Cola e qualche liquore selezionato…”
Nella sua baracca ogni cosa si trovava dove avresti immaginato che fosse: la scrivania di fronte alla finestra, l’appendiabiti dietro la porta d’ingresso, la branda rivolta alla luce e addossata alla parete di legno.
“Purtroppo non ho ghiaccio, posso servirti un cocktail a temperatura ambiente…”
Mi andava bene. Mi è sempre piaciuto il sapore di aspartame che ti lascia in bocca la Coca calda, e quel senso di corrosione che avverti sui denti e sulle papille della lingua…
“Una Coca e rum per me… hai del rum, vero?”
“Chiaro! Sono un bravo pirata, l’ho vinta io la moneta d’oro affissa all’albero Gran Maestro…” rispose Dolcezza, tramutandosi in barman.
Indossava una blusa color sabbia cucita da un sarto inesperto. Guardandolo da dietro sembrava avesse le spalle asimmetriche, i lembi non combaciavano. I calzoni erano di tipo militare, gli anfibi pure.
Dopo che mi ebbe servito da bere, cercai di stringere i tempi e di venire al dunque.

3“Un rum per veri filibustieri, non c’è che dire… Dolcezza, apprezzo sempre la buona educazione e chi sa mettere a proprio agio gli ospiti, ma, ecco, tutto questo non ti sembra un po’ affrettato? Posso chiederti una cosa?”
“Dici? Spara…”
“Non sembravi stupito di vedermi.”
“Certo che ero stupito. Qui non viene mai nessuno, a parte qualche rompiscatole. Ho solo cercato di non darlo a vedere. Com’è?”
“Ottimo! Anche se una scorzetta di limone e due cubetti di ghiaccio ci starebbero alla grande…”
“Devo attrezzarmi… non rimpiango la mia scelta, sono felice di vivere qui, ma ogni tanto mi piacerebbe sapere quello che succede fuori, al di là del muro, se capisci cosa intendo… e tu mi sei sembrato un tipo informato.”
“I media ci bombardano. Sarei informato anche se non lo volessi.”
“Come vanno le cose in città?”
“Da quanto manchi?”
“Cinque anni tra due mesi…”
“Tasso di delinquenza medio basso trattandosi di una capitale europea, traffico soffocante, turisti spacca palle dappertutto, sampietrini, fontane, souvenir, cappuccini, sempre le stesse cose. Nell’ultimo periodo siamo sopravvissuti a un’alluvione e a improbabili sindaci di sinistra, ma questa città ha sopportato prove ben peggiori. Il Vaticano comunque veglia sulle nostre anime. Che dirti? Viviamo incollati ai computer e comunichiamo con i nostri più cari amici solo per e-mail, via chat o per sms. Ci siamo riappropriati del piacere di scrivere, ma abbiamo perso il gusto di una pinta chiacchierando di politica e di calcio. E dell’ultimo lavoro dei Type O Negative. Non è il caso di tornare, te l’assicuro. Dà più soddisfazione aiutare a partorire una mucca. Ti sporchi le mani, ma non ti sporchi dentro…”
L’Ispettore … la sua cancellazione …
Dolcezza sorrise, scolando il suo bicchiere. “In genere non bevo a quest’ora, poi resto stupido finché non vado a dormire. Ma oggi è un giorno speciale…”
Immaginai quanto potesse essere esaltante la vita in una Comunità di Priori se la mia sola presenza bastava a far alzare il gomito a colui che avrebbe dovuto essere per gli altri un esempio di moralità e rettitudine.
“Si fa chiamare Beginner Girl, lavora in un appartamento segreto accessibile solo a pochi eletti, è una ricercata e impenetrabile mistress. Una padrona vera, a sentire il nostro informatore, una mangiauomini alla continua ricerca di moneyslave pronti a esaudire i suoi più perversi e costosi capricci. Grazie alla mediazione di Brundlefly pare abbia accettato di fare quattro chiacchiere con noi… il Santo Padre la conosce di nome … sì, anche a me questa tipa già sta sulle scatole ancora prima di conoscerla. Manlio, temo possa trattarsi del nostro orizzonte degli eventi…”
La luce proveniente dai finestroni posti sotto il tetto di lamiera illuminava il pulviscolo in sospensione.
Dolcezza mi aveva lasciato a metà strada tra l’abitato e il magazzino. “Non mi avvicino al mio passato,” aveva detto, “sapere che sta lì, in attesa, mi conforta, ma non ho intenzione di farmi ipnotizzare dal canto delle sirene…”
Negli anni un cumulo di terra si era ammonticchiato davanti al portellone d’ingresso. Spinsi la lamiera quel tanto da aprire un pertugio che mi permettesse di intrufolarmi all’interno.
Mi sentivo stranamente calmo. Rilassato. Un chilometro oltre il bene e il male. Avevo accettato il mio fallimento come padre, come uomo e come marito. Cosa stavo cercando di fare? Come mi sarei sentito dopo aver parlato con Francesca? Quel pomeriggio avrebbe segnato la mia assoluta (e fortemente auspicata) autodistruzione psichica?
Dopotutto, avrei anche potuto chiedere asilo in quella Comunità di Priori e godere delle piccole gioie della vita: un fiore che sboccia, il grano che germoglia, gli alberi che crescono forti e robusti, le vacche che partoriscono col mio braccio ficcato nelle viscere, il sussurro lontano delle onde. Riparato in quell’oscuro buco in campagna, lontano dal mondo pieno di minacce e di follia, forse si sarebbe acquietato anche il recettore mentale che produceva le mie allucinazioni.
Perché stavo cercando quell’Alfa? Perché morivo dalla voglia di aprire quel bagagliaio? Durante le settimane trascorse in balia del Gran Maestro e di Gomez Addams, avevo mai ragionato lucidamente su ciò che mi aspettavo di scoprire e sull’effetto che quello che avessi trovato avrebbe avuto sul mio fragile stato interiore?
Una persona razionale non avrebbe cercato di dimenticare quella spazzatura?

4Io no, io in quel mare di mondezza ci sguazzavo, io in quei liquami mi ci facevo il bagno.
Quante ore avevo passato con il lettore mp3 in una mano, la foto di Francesca nell’altra, gli auricolari ficcati nelle orecchie, la musica tanto alta da stordirmi, a camminare rasente ai muri dell’appartamento di via Nazionale per scaricare la tensione?
Quando uscivo a notte fonda, nelle ombre dei vicoli a gomito e nelle finestre aperte degli edifici abbandonati del centro si profilavano paurose possibilità che, mio malgrado, rischiavano di concretizzarsi.
Mi guardai intorno.
Il magazzino era di dimensioni considerevoli. Più piccolo di un hangar, ma decisamente molto più grande di un’autofficina.
Le casse contenenti i ricordi della gente che viveva nella Comunità erano accatastate parallelamente all’ingresso, formando così una barriera tra me e l’Alfa, che non vedevo, ma che presumevo si trovasse là dietro. Mi sporsi oltre il bordo di legno e vidi la sagoma inconfondibile di un’auto coperta da un telone grigio con su scritti dei numeri, sicuramente la targa.
Cercando di scavalcare l’ultima cassa feci precipitare l’intera colonna.
Quei cubi di legno che si fracassavano, aprendosi e rovesciando il proprio contenuto sul cemento, mi sembrarono irresistibilmente buffi.
Invece non c’era niente di buffo. Si trattava del passato di altre persone, con tutte le gioie, i dolori, le delusioni e i rancori che ogni vita si porta faticosamente dietro. Va bene, si trattava di sconosciuti, ma non avevo comunque il diritto di considerarli ridicoli!
Anche se il controsenso negli ultimi tempi era divenuto la mia bandiera, non avevo sempre sostenuto di ammirare chi aveva il coraggio di mollare gli orpelli e sputare sui surgelati, sull’insalata in busta, sul rock, sulla televisione e su Internet?
E allora, rispetto. Ci voleva rispetto. Esigevano rispetto.
Anche se, indubbiamente, una giornata senza rock sarebbe stata una giornata più triste.
Mi inginocchiai tra le palline di polistirolo.
Mi tornarono in mente le parole di Dolcezza: “Nessuno degli altri è a conoscenza del contenuto delle casse. E non c’è alcun segno di riconoscimento. Solo il legittimo proprietario sa cosa c’è dentro”.
Raccolsi una bambola, un paio di libri, un tanga, un cellulare, un gatto mummificato, una manciata di fiori secchi ancora profumati e perfino una penna trasparente ricordo di Venezia con la gondola che faceva su e giù a seconda dell’inclinazione.
Cercai di rimettere a posto, anche se sapevo che probabilmente stavo mischiando tutto. Contava l’intenzione, non sarei di sicuro andato all’inferno per quello. Avevo altri peccati da cui mondarmi.
Un brivido simile a una scossa elettrica mi percorse gli organi interni quando affondai le mani nell’ultimo cumulo di polistirolo. Mi sentii pungere e pensai: una siringa infetta, cazzo, una siringa infetta! Adesso mi tocca sottopormi alla profilassi antivirale e vomiterò e smerderò liquido per un mese.
Invece si trattava dello spigolo di una foto.
Due foto.
Una canottiera da bambina strappata e macchiata di sangue vecchio che aveva stinto verso una tonalità marrone. Un paio di calze rosa, bucate. Scarpette Balducci.
Nelle istantanee si vedeva la proprietaria di quegli indumenti, una ragazzina tra gli otto e i dieci anni, beatamente seduta su un divano, i capelli legati in due codini, in braccio a una giovane donna. Lo squallore dell’ambiente dove erano state scattate le fotografie era palese. Il sorriso della bimba non occultava l’impressione di povertà.
E una lettera.

5Gentile signora,
mi rincresce molto di dover essere io, l’artefice materiale dell’elevazione spirituale di sua figlia, a metterla al corrente di una notizia che per lei, ancora legata agli affetti terreni, sarà estremamente dolorosa: Serena ha abbandonato il suo corpo, inutile fardello, ieri sera alle ore 19.37.
Posso assicurarle, gentile signora, che si è trattato di un momento di alto significato spirituale. È stato per me e per la sua bambina l’apice di un’esperienza voluttuosa, se mi concede il termine.
Non ho avuto alcun rapporto sessuale con Serena, che è quindi morta integra. Ci tengo a specificare questo particolare non perché voglia alleggerire la mia posizione nei confronti delle autorità inquirenti, ma perché la condizione di illibatezza consentirà a Serena di ottenere un posto privilegiato nell’universo-dove-il-tramonto-è-perenne. Sebbene mi sentissi attratto da sua figlia, un angelo di tale purezza non doveva in alcun modo rischiare di inquinarsi con i demoni peccatori che invece moriranno schiacciati e torturati nelle più infime profondità dell’abisso.
Naturalmente, gentile signora, dopo il decesso ho smembrato il corpo di Serena e l’ho stipato nel mio surgelatore in appositi sacchetti per la conservazione degli alimenti. Non sto qui a dilungarmi in tediosi particolari tecnici, ma le assicuro che ho compiuto il lavoro di dissezione a regola d’arte.
Secondo le mie stime impiegherò un paio di settimane a mangiarlo tutto.

(Dolcezza mi aveva riferito che molte persone si rifugiavano nelle Comunità di Priori per sottrarsi a un trauma, nella pia illusione di dimenticare. Mentre leggevo e fluivano in me un misto di sensazioni quali ansia, terrore, ripugnanza e attrazione, udii in lontananza una donna cantare a cappella una versione da brividi di Avalon dei Roxy Music).

Nonostante abbia ricevuto l’onore di ospitare nella mia modesta persona lo spirito del Grande Virus, oggi mi riesce difficile cercare di spiegarle cosa mi abbia spinto a scegliere proprio la sua bimba. Immagino si sia trattato di pura casualità.
Era una domenica, lo ricordo con precisione perché avevo trascorso la notte a concentrarmi per consentire al Grande Virus di incarnarsi in me e i rumori della strada e il chiacchiericcio delle puttanelle abbracciate ai loro fidanzati mi aveva reso difficile isolarmi dai miei soliti pensieri e, come sempre dopo un tale sforzo psichico, avevo bisogno di respirare un po’ d’aria pura.
Lei deve conoscerle, gentile signora, quelle domeniche romane, quei giorni nei quali si respira un’atmosfera di festa e la temperatura è mite, quando anche la persona più assennata può lasciarsi andare a un colpo di testa, quando i palazzi appaiono come chiese abbandonate e in giro riecheggiano le urla dei bambini. Si trattava proprio di una giornata del genere, con l’aria tersa che sembrava di stare a mille metri.
Vidi lei e suo marito. Eravate così giovani, sembravate del tutto inadeguati al ruolo di genitori. Non saprei dirle se questa considerazione mi fu suggerita dal Grande Virus o se germogliò dai miei pensieri, ma seppi, io seppi, gentile signora, io seppi in un baleno che per sua figlia sarebbe stato più giusto diventare un essere degno di grazia nell’universo-dove-il-tramonto-è-perenne, piuttosto che crescere tra le vostre braccia. Si notava immediatamente che eravate povera gente. I vostri cappottini stretti e le vostre scarpe da bancarella vi marchiavano come dei pezzenti, come dei morti di fame. Persino il suo trucco di cattivo gusto emanava un senso di indigenza.
Quindi mi ringrazi, gentile signora, mi ringrazi di aver salvato Serena dalla miseria e da un futuro di umiliazioni. Vivrà in me e si congiungerà col Grande Virus ogni volta che egli mi omaggerà di incarnarsi in queste miserabili vestigia.
Gioisca, si rallegri di ciò che ho fatto alla sua bambina, ne sia felice, perché io, io che rappresento un essere infinitamente superiore a noi, io che gli obbedisco, ho regalato a Serena l’eterno e l’ho onorata di gioielli e fiori profumati, appena prima di ucciderla e macellarla.
Stia bene, gentile signora.
Con immenso rispetto.
L’Umile Servo del Grande Virus.
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11 pensieri su “Memoria liquida XV

  1. Siamo diventati, veramente, spettatori di un’immane sciagura.
    Il decadimento della nostra civiltà. Tu ne sei un bravissimo cronista tramite un romanzo che prende dentro.,
    Buona domenica dalla partenope Capitale.

    Dudù

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  2. Un capitolo illuminante. Quasi profetico nelle decadenze di una società triste e perduta.
    la società all’orlo. Quella che non transige e si uccide per dare un senso a questa esistenza non esistente.

    Ciao

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  3. Veramente forte e ben scritto. Un silenzio che colpisce e coinvolge tutto e tutto segna. il mondo umano, pieno di livore per la propria nascita e restituisce uno sguardo duro davanti a un sorriso.
    Lo so che è una finzione romanzata, ma il mio pensiero va a Serena.
    Ciao Ninni

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