Garthander III

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1Scesero a pranzo tutte insieme e presero posto a una tavola accanto alla finestra. Era la migliore: dalla finestra si poteva vedere, oltre il prato, la distesa color giacinto del mare, in mezzo al verde degli alberi. Inoltre si dominava la stanza in tutta in sua lunghezza.
Margie Silverdale entrò e sedette con loro. Non aveva più il feltro nero, ma indossava ancora l’abito di tweed del colore dei suoi capelli. Nessuno avrebbe potuto sostenere che le donasse, ma faceva ormai così parte di lei, che sarebbe stato difficile immaginarsela vestita diversamente. Il fatto che lei avesse ballato una volta, in quella stanza, avvolta in un abito di tulle rosa, era una di quelle cose che la mente si rifiuta di credere; e tuttavia molte delle persone presenti ricordavano che Clarissa avrebbe potuto diventare la padrona di Styles Hedingham House, sposando Robert Dennon. Questi aveva dato un ballo per lei in quella casa e aveva fatto incastonare un famoso rubino nel suo anello di fidanzamento: ma era passato molto tempo da allora.
Clarissa attraversò la stanza salutando qua e là, poi si sedette e respinse energicamente la minestra: infine, dopo aver scorso il menù, ordinò che le portassero una cosa qualsiasi purché fredda.
In quel momento Robert Dennon fece il suo ingresso nella sala, dirigendosi a un tavolino addossato al muro. Isabel richiamò la sua attenzione agitando una mano; lui si girò verso di loro con un inchino e si se dette.
Margie Silverdale non gli aveva prestato la minima attenzione, intenta com’era a sgusciare la sua aragosta. Se lui si fosse avvicinato, gli avrebbe detto: “Salve, Robert”, e avrebbe proseguito tranquillamente la sua operazione. Quando si vive in un piccolo centro, si deve poter superare con disinvoltura anche l’imbarazzo di un incontro con la persona che si sarebbe dovuto sposare.
Juliet non capì se Robert l’avesse riconosciuta o meno. Sembrava freddo e annoiato, ma d’altra parte quello era il suo aspetto abituale, quando non parlava della collezione. Sempre magro, diritto e distinto, era bruno come tutti i Geary, ma dei Geary non aveva ereditato il fascino. Sembrava che avesse ingoiato un bastone, cosa che non contribuiva a renderlo seducente.
Isabel sollevò gli occhi dall’insalata, che aveva ricoperta di maionese, e fece udire la sua risata di gola.
– È buffo! Pensare quante donne darebbero un occhio della testa per possedere i brillanti e gli altri gioielli della collezione di Robert, e lui non può metterne nemmeno uno!
– Mamma, cara! – disse la signora Buchanan.
Hester parlò solo due volte. Mangiava senza appetito, lasciando quasi tutto nel piatto: la prima volta che aprì bocca fu per chiedere il sale, la seconda l’aceto.
Margie Silverdale invece non stava zitta un momento. Aveva una lista completa di nascite, fidanzamenti, matrimoni e morti, con l’aggiunta d’informazioni varie sulle liti locali, sui loro perché, su quello che era stato detto, e su che cosa ne pensavano gli amici.

2Verso la metà del pranzo, arrivò un gruppo di quattro persone che si diressero al tavolo libero alla loro destra. Erano due donne e due uomini: due di essi, un uomo e una donna, erano sconosciuti a Juliet. Intravvide dei capelli di fiamma e un filo di perle su un abito nero; poi larghe spalle, una pelle abbronzata e due occhi di un azzurro intenso, completati da un aspetto bonario. Seguiva Mary Stoner, fragile e delicata come sempre, coi capelli paglierino raccolti sulla sommità del capo, e dietro di lei l’alta, bruna figura di Albert. Mary era in bianco: si era fatta molto più carina negli ultimi tre anni: più curata, più elegante, più raffinata. Nessuno avrebbe immaginato che avesse tre anni più di Albert. Il bianco del vestito, il biondo dei capelli e la linea scarlatta delle labbra di lei formavano una macchia ondeggiante davanti agii occhi di Juliet. Quando la macchia fu scomparsa, lei vide Albert: non era affatto cambiato, e questo le sembrò intollerabile.
Mentre oltrepassava il tavolo, dove Robert sedeva da solo, Albert disse: – Salve, Robert! – Poi Isabel Freer richiamò la sua attenzione agitando una mano, e lui si diresse al loro tavolo.
La voce di Isabel si poté sentire in tutta la sala.
– Che bella sorpresa! Ma cosa state facendo qui? Nell’esercito non vi fanno più lavorare?
– Quando non siamo in guerra, abbiamo qualche licenza, di tanto in tanto. – Poi guardando in direzione di Juliet disse in tono di piacevole sorpresa: – Salve, Juliet!
Questa, per un istante, ebbe la sgradevole impressione di essere caduta in una trappola. Ma si dominò. Se pensavano che avrebbe lasciato trasparire quello che provava si sbagliavano di grosso, fissò Albert e rispose con voce indifferente: – Salve, Albert, come va? – e questo fu tutto.
Albert rispose: – Benissimo – e andò a sedersi accanto a Mary Stoner.
– Ebbene, non mi sarei mai più aspettata di trovarlo qui! – disse Isabel Freer. Si rivolse a Margie Silverdale: – Tu ne sapevi qualcosa, Clarissa?
La signorina Dale annuì. – È arrivato due giorni fa, in licenza.
Isabel gridò nella direzione dell’altro tavolo: – Dove siete alloggiato, Albert?
– A Rosbury: mi sono riservato un appartamento.
Isabel continuò: – Avete fatto bene: bisogna avere un posto dove tenere la propria roba. – Si rivolse di nuovo alle sue compagne: – Li hanno sistemati proprio bene quegli appartamenti a Rosbury: ce n’è da due, tre, quattro stanze più un cucinino. Si può scegliere come si vuole. La signorina Stoner ne ha preso uno di tre locali. – Alzò di nuovo la voce per domandare: – Quante stanze ha il vostro appartamento, Albert, due o tre?
Lui gridò di rimando:
– Due, ma sono addirittura principesche, con bagno e cucina.

3Più tardi si ballò nella sala che era stata una volta la biblioteca.
Juliet, che aveva avuto la ferma intenzione di sgattaiolare di sopra inosservata, si trovò costretta a dividere con la signora Buchanan il compito di sorreggere Isabel Freer. Hester era riuscita a squagliarsela. Il peso di Isabel non era uno scherzo: non che fosse proprio zoppa ma, come lei stessa diceva, aveva una certa tendenza a piegarsi sulle ginocchia. Bisognò farle fare la sua passeggiata igienica, camminando lentamente su e giù per la terrazza, dopodiché Isabel espresse il desiderio di rientrare per assistere al ballo.
Avevano appena raggiunto il sedile scelto dalla signora Freer. quando quest’ultima chiamò a gran voce un uomo che avanzava nella loro direzione.
– Barret, voi siete la persona che cercavo. Dove siete diretto?
L’interpellato era un uomo magro e un po’ curvo, con la carnagione olivastra e le guance infossate. Avrebbe avuto dei bei lineamenti, ma gli occhi e la bocca erano circondati da rughe troppo profonde per la sua età, che poteva andare dai trenta a quarant’anni.
– In che cosa posso esservi utile signora Freer?
– Sto spezzando il braccio della signorina Keslar: dovreste essere così gentile da aiutarmi a prendere posto sul divano. Un giorno o l’altro finirò col romperne uno. Là, cosi va meglio: Rose c’è abituata, ma la signorina no.
Il signor Barret eseguì il suo compito con abilità: non doveva essere la prima volta che si prestava. Mentre si stava rialzando, Isabel lo trattenne per una manica.
– Andate a ballare?
– Geary mi aveva chiesto di unirmi al suo gruppo, ma ho dovuto prima sbrigare del lavoro per il signor Dennon, e vedo che hanno già trovato un quarto.
– È un amico di Albert che è arrivato all’ultimo momento, un certo Griffiths. Lo so perché avevano il tavolo vicino al nostro. Non c’è bisogno che vi offendiate, dato che lo aspettavano solo per domani.
– Vi assicuro, signora Freer…
– Non c’è bisogno nemmeno di questo. E se volete una dama, c’è qui la signorina Keslar.
– Non mi sento di ballare – disse la giovane.
– Naturale che vi sentite – replicò Isabel – non vorrete rimanere seduta tutta la sera a parlare con una vecchia come me. Per fare da tappezzeria bastiamo Rose e io.
– Mamma cara…

4Isabel continuò senza badarle: – Non ditemi che non siete stata regolarmente presentata. Questo è il signor Barret, segretario di Robert Dennon. Sa tutto quello che c’è da sapere su brillanti, smeraldi, rubini, zaffiri e perle: non vi fa venire l’acquolina in bocca? Ecco fatto, e adesso andate a ballare.
– Se posso aver l’onore – disse George Barret.
Era il meno che potesse fare: se non voleva essere villana, Juliet doveva accettare. Cominciò a ballare combattuta tra l’ira e la voglia di ridere: alzò gli occhi verso il suo cavaliere e incontrò uno sguardo cortese e ansioso.
– Siete ospite della signora Freer, signorina Keslar?
– Sono venuta qui per farle il ritratto: sono miniaturista.
– Deve essere un lavoro molto interessante.
Il signor Barret era un buon ballerino, ma niente di più. Con lui non sarebbe mai stato possibile fluttuare leggermente per la stanza, come facevano in quel momento Mary e Albert. “E io ballo meglio di Mary, tre volte meglio” fu il maligno commento che Juliet fece a sé stessa. Ad alta voce s’informò della collezione, ed apprese che questa si era arricchita di pezzi molto interessanti.
Passarono una seconda volta accanto a Albert e Mary che stavano ridendo per qualcosa che lui aveva appena detto. I due si allontanarono, uniti e allegri.
Juliet si senti sopraffare dalla noia: cosa le importava che Robert avesse ritrovato gli anelli mancanti alla collana degli Albany, strappati quando nel sessantotto questa era stata rubata? George Barret le fornì tutti i particolari con la massima serietà, e quanto più parlava seriamente, tanto più il suo modo di ballare peggiorava.
Per fortuna anche il ballo più lungo deve finire. Però Barret, che aveva ormai rotto il ghiaccio, non mostrava alcun desiderio di allontanarsi. Quando Juliet fu arrivata all’estremo limite della sopportazione, si avvicinò Albert Geary.
– Salve, Barret! – disse. – Cosi siete arrivato. Vedo che Juliet ha avuto compassione di voi! Adesso Dovremo muovere un po’ i piedi: perché non andate a invitare Mary per il prossimo ballo? Francis Griffiths sembra essersi affiatato con Eve. – Si rivolse a Juliet. – Quella ragazza coi capelli rossi si chiama Eve McQueen. E una nuova inquilina di Rosbury: ha preso l’appartamento vicino a quello di Mary. Dice di essere vedova, ma non ho ancora scoperto se lo sia davvero o no. Dovreste tentar di soffiarla a Francis Griffiths, George.
George Barret attraversò rassegnato la stanza, dopo averlo seguito con gli occhi, mormorando: – Danzate e godete – Albert si volse.
– Mi concedi questo ballo, Juliet?

6Era ovvio che si era dato da fare solo per questo. Juliet avverti un piacevole calore mentre rispondeva:
– Temo che non sia possibile.
Lui inarcò le sopracciglia.
– Conciata male? Ho visto che Barret ti strapazzava un po’. Andiamo! Pensa che spettacolo sarà per tutti! Spandi un po’ di felicità al tuo passaggio! Non credo che i nostri passi vadano meno bene di prima.
Appena la musica cominciò, le cinse la vita: si avviarono dolcemente. Adesso erano lei e Albert che fluttuavano leggermente, uniti come una volta.
– Due menti e un solo pensiero. Sei sempre imbattibile.
Lei lo guardò gravemente. – Dici sempre così a tutte, vero?
– Con le dovute varianti: ma nel tuo caso accade, però, che la cosa risponda a verità.
– Questa è una delle varianti, immagino.
– Oh, no. Questo è il tema originale. Tutto il resto non è che un tentativo di rendermi simpatico.
Attraversarono la sala in tutta la sua lunghezza, prima che Albert parlasse di nuovo, questa volta per chiederle:
– Che cosa fai, qui? Lei arrossi senza ragione, suo malgrado. Poi rispose, con una voce che sperò suonasse semplicemente annoiata:

– Sto facendo una miniatura della signora Freer, e naturalmente credevo che stesse a Croyton. Volevo scendere dal treno a Hedingham Court, quando la signora Buchanan mi ha detto che sua madre aveva deciso improvvisamente di venire a Styles.
– Ci viene spesso. In effetti credo che possieda la maggior parte delle azioni del club. Si sta molto meglio qui che a Croyton, dove non si può contare sul servizio: sei stata fortunata, nel cambio.
– Non sarei venuta, se l’avessi saputo, e non volevo comunque fermarmi; ma in treno non ho avuto modo di spiegare la cosa, perché c’erano altre persone. E dopo avrei visto la signora Freer ho sentito che non avrei rinunciato a farle il ritratto per tutto l’oro del mondo.
– Dato che avrebbe significato una pubblicità di primo ordine: o forse sono troppo grossolano?
Gli occhi di Juliet sorrisero.
– Lo sei proprio. È una fortuna trovare un modello simile. – Poi, dopo una brevissima pausa: – Non sapevo che tu fossi qui.
– Puoi considerarmi come un’altra attrattiva del luogo: sei fortunata, no? Bene, dal momento che ci troviamo qui riuniti, penso che potremo avere una piccola discussione d’affari.
– Non abbiamo alcun affare comune da discutere.
– Tu forse no, ma io sì. Sarà meglio fissare un appuntamento. Che cosa ne diresti di trovarci domani a Hedingham Court per il tè? C’è un posticino che fa proprio per noi. Se prendi l’autobus delle due e un quarto e scendi alla prima fermata dopo Garthander, ti verrò incontro. A meno che tu non mi consenta di passare a prenderti qui.
Juliet arrossi di nuovo. – No, questo no.

7Lui inarcò le sopracciglia.
– Niente scandali? Benissimo, tesoro, ogni tuo desiderio, con quel che segue. Allora siamo d’accordo: alla prima fermata oltre Garthander!
– Non ne vedo la ragione; Non abbiamo niente da dirci.
– Mia cara, se non abbiamo fatto altro che parlare fino adesso. Personalmente potrei continuare all’infinito senza ripetermi. Non pretenderò che tu mi faccia concorrenza. Salomone non ha forse detto che una donna silenziosa è come una mela d’oro in una cornice d’argento?
– Non è vero! – protestò Juliet indignata. – L’hai inventato tu!
– Può darsi: ma è profondamente vero. Io parlerò, e tu starai ad ascoltarmi mangiando pasticcini.
– No!
– Bene, io credo che faresti meglio a venire. Ho sul serio qualcosa da dirti. Mi troverò alla prima fermata.
La musica cessò, lasciando Juliet insoddisfatta. Avrebbero dovuto ballare soltanto, non parlare. Non c’era divorzio tra i loro passi.
– Adesso vado di sopra, non ho più voglia di ballare.
Albert continuò a tenere la mano sul suo braccio.
– Oh, no, devi fare prima un ballo con Francis Griffiths. Non può monopolizzare Eve per tutta la sera: voglio ballare con lei anch’io. Mi sono sempre piaciute le rosse, specialmente quelle con gli occhi verdi. È piuttosto attraente, no? Quello che non sono ancora riuscito ad appurare è lo stato di McQueen: defunto, inesistente, divorziato? Portale via Francis e dammi la possibilità di accertarmene. Piuttosto, come ti fai chiamare, adesso? Mi sembra che Isabel abbia detto “Signorina Keslar”.
– Infatti.
– Semplicemente idiota! – Albert abbassò lo sguardo sulla mano sinistra di Juliet e la vide nuda. – Hai tolto anche l’anello?
– Tre anni fa.
Albert la guidò attraverso la stanza, tenendola per un braccio. Mentre Juliet finiva di parlare, si fermarono accanto a Francis Griffiths e alla signora Eve. Con una mano sul braccio di Juliet e l’altra su quello di Francis, Albert disse:
– Francis, voglio presentarti Juliet Keslar: balla divinamente. Mi concedete questo ballo, Eve?

Il maggiore Griffiths era una persona cordiale e un ottimo ballerino.
– State attenta: voglio insegnarvi un nuovo passo che si può eseguire con questa musica, è abbastanza divertente: viene dal Cile. L’ho ballato con una bella indigena e il suo amico si è talmente infuriato per questo fatto, che mi ha accoltellato.
Juliet osservò: – Dovete trovare Styles un po’ monotono, senza nuovi passi da imparare, né indigeni armati di coltelli.
– Ma con una pista decisamente migliore di quella cilena.
– Conoscete Albert da molto tempo?
Le sembrava strano infatti, di non aver mai sentito parlare del maggiore Griffiths. Risultò che lui e Albert avevano combattuto insieme nel deserto: Beda Fomm, Marsa Brega, El Alamein.
– Un tipo in gamba. E riusciva sempre a trovare il lato ridicolo delle cose. Un vero disastro, il suo matrimonio con quella ragazza.
– Forse le ragazze sono sempre un disastro – osservò Juliet.
– Oh, bene, a Albert piacciono: quella non era la prima e non sarà certo l’ultima.
Arrossendo leggermente, Juliet gli chiese se aveva intenzione di trattenersi a Rosbury. Sembrava che così fosse.
– L’altro giorno ho incontrato il vecchio Albert a Londra e mi sono autoinvitato quaggiù. Mi sembra che sia stata una buona idea quella di dividere la casa in appartamenti. È stato fortunato ad avere il capitale per farlo.

8Il cuore di Juliet compì una specie di salto mortale. Albert non aveva capitali, questo era il guaio.
– Credevo che avesse venduto Rosbury – disse.
Francis Griffiths scosse il capo. – Oh, no, ha fatto di meglio. Ha venduto i brillanti di famiglia, o qualcosa del genere, e ha impiegato il ricavato per mettere a posto la casa. Ha fatto un bel lavoro. Non siete andata a vedere?
– Sono arrivata solo oggi nel pomeriggio. – Cambiò di nuovo discorso: – A proposito di brillanti, avete visto la collezione del signor Dennon?
Lui rise. – Sembra impossibile che al giorno d’oggi qualcuno abbia ancora abbastanza denaro per una cosa del genere. Chi è quell’uomo e in che cosa consiste la sua collezione?
Juliet riuscì a mantenere il discorso sulla collezione sino alla fine del ballo.
Dopo si ritirò indugiando un istante per augurare la buona notte alla signora Freer. Questa, dapprima, cercò di trattenerla, ma poi finì col dire:
– Va bene, va bene, andate pure e fate un bel sonno. Domani e un altro giorno, non è vero? E domani potrete cominciare il mio ritratto. Alle dieci e mezzo, va bene?
La stanza di Juliet dava sul nuovo edificio, dov’era tenuta la collezione di Robert Dennon. Nove metri di corridoio a vetri l’univano alla casa e in quel corridoio la luce rimaneva accesa tutta la notte.
Quando Juliet fu pronta per andare a letto, spostò le tendine e guardò fuori. Non era ancor buio e non aveva voglia di dormire. Osservò l’edificio attiguo circondato dalle forme scure degli alberi. Non si vedevano finestre. La luce elettrica e un perfetto impianto di aria condizionata sostituivano le finestre. Perfino all’allegra Juliet di tre anni prima, questa circostanza aveva fatto un’impressione orribile. E Robert Dennon allora non vi abitava. Adesso invece viveva lì, o almeno vi dormiva in compagnia del lugubre segretario che le aveva pestato i piedi poco prima. Che allegria!
Prese in mano un libro che aveva comprato per il viaggio e incominciò a leggere rapidamente, ad alta voce. Si può pensare anche leggendo, ma non leggendo ad alta voce. Questa era una delle cose che aveva imparato tre anni prima. Da parecchio tempo aveva smesso di farlo, ma quella sera dovette ricominciare da capo. Rimase in piedi davanti alla finestra, ascoltando la propria voce.
Infine depose il libro con un profondo sospiro. Il vento proveniente dal mare si era rinfrescato e lei rabbrividì nella leggera camicia da notte. Aveva i piedi gelati e si sentiva mortalmente stanca. Il corridoio tra le due case era illuminato da un capo all’altro. Juliet andò a letto e si tirò la coperta fin sotto il mento.
Non seppe quanto tempo fosse trascorso quando si svegliò, né cosa l’avesse svegliata. Un momento prima era immersa in un profondo sonno senza sogni e adesso era invece appoggiata su un gomito, perfettamente sveglia nell’oscurità. Per un minuto rimase cosi in ascolto, poi si alzò e andò alla finestra. C’era un vento freddo e tutto era al buio, ma non avrebbe dovuto essere cosi buio! Perché no? Non c’era luna, Il cielo era scuro, come pure la collina e gli alberi. La nuova casa era buia anch’essa perché non aveva finestre da cui potesse trapelare la luce. Ma il corridoio tra le due case? Il corridoio tra le due case avrebbe dovuto essere illuminato! Isabel lo aveva detto: “C’è solo quell’ingresso, chiuso da una porta d’acciaio, come quella d’una cassaforte. Nel passaggio la luce rimane accesa tutta la notte, quindi per i ladri c’è poco da fare”. Ma naturalmente lei era stata messa al corrente di tutto ciò tre anni prima. Le precauzioni prese da Robert Dennon contro eventuali furti erano di dominio pubblico, e più lo erano, meglio era.
Proprio in quel momento, sotto di lei, si udì un rumore impercettibile, come se una porta fosse stata richiusa con ogni precauzione e la serratura avesse prodotto un suono metallico. Juliet non dubitò che si trattasse della porta che dal corridoio dava nella nuova costruzione. Qualcuno l’aveva accostata, ma la maniglia gli era sfuggita di mano e lo scatto aveva prodotto un leggero rumore, proprio lì, sotto la sua finestra. Improvvisamente la luce si riaccese nel corridoio, ma era vuoto da un capo all’altro.
E questa volta Juliet non fu sicura del tutto. Le sembrò che la porta d’acciaio si fosse mossa mentre la luce si riaccendeva. Le sembrò che anche quella porta si stesse chiudendo. Ma non avrebbe potuto giurarlo.
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17 pensieri su “Garthander III

    • Mio signore, la preparazione soprattutto nell’ambientazione mise alla prova la nostra conoscenza delle realtà “inglesi”.
      Tutto è creato, strade, via, paesi e contee, giusto per non fare torto a nessuno.
      Spero proprio che possa piacervi.
      Abbiate le nostre cordialità

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  1. Nin mi era mai successo di leggere e tornare indietro e rileggere.
    Pensa che ho ricominciato dal n. 1 e di nuovo qua.
    Lo consiglio a tutti in tutta la sua continuità.
    E’ bello, intrigante, interessante e anche caldo che ti avvolge tutta.
    Milord che regalo!!!

    Buon sabato

    Giorgia

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    • Sapete? Successe anche a noi di tornare indietro e rileggere. Lo facciamo spessissimo anche perché,in tal modo, riusciamo a respirare il clima del racconto, romanzo, ecc.
      Siamo convinti che apprezzaste … con estrema generosità.
      Grazie e buona serata.

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      • Grazie per avermi risposto cosi elegantemente. D’altra parte …
        Io mi riferisco, proprio, all’eleganza e alla bellezza della parola. L’ho appena riletto per la terza volta.
        E’ scorrevolissimo e passionale in alcuni momenti.
        Buon pomeriggio

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    • Mia signora, ritenete che ci superammo? Vi ringraziammo di cuore per la generosissima e sconsiderata nota.
      Per il prossimo, inserimmo qualcosina in più, ma starà a voi determinarne l’entità.
      Grazie e cordialità

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