Il generale

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1Robert Edward Lee (Stratford Hall Plantation, 19 gennaio 1807 – Lexington, 12 ottobre 1870) è stato un militare statunitense. Principale condottiero militare degli Stati Confederati d’America durante la guerra civile, guidò con grande abilità per oltre tre anni la prestigiosa Armata della Virginia Settentrionale, la formazione più efficente e combattiva delle forze confederate; negli ultimi mesi della guerra divenne anche ufficialmente il comandante in capo dell’esercito sudista. Guadagnò una fama quasi leggendaria anche nel campo nemico, grazie alle vittorie conseguite contro forze militari spesso nettamente superiori, alle sue grandi capacità strategiche e alla sua affascinante personalità. Dopo la guerra s’impegnò per la riconciliazione e trascorse i suoi ultimi anni come presidente di un College che avrebbe poi portato il suo nome. Lee rimane la figura più venerata e apprezzata (non solo nel Sud) della storia della Confederazione fino ai nostri giorni.
Robert Edward Lee nacque a Stratford Hall Plantation, nella Contea Westmoreland Virginia, quarto figlio di un eroe della guerra d’indipendenza americana, Henry Lee (“Lighthorse Harry”), e di Anne Hill (nata Carter) Lee. Entrò nell’accademia militare degli Stati Uniti d’America a West Point nel 1825. Quando nel 1829 si diplomò (secondo della sua classe su 46) egli non solo raggiunse il vertice accademico ma non dovette neppure registrare nessun punto di demerito a suo carico. Fu assegnato come sottotenente (second lieutenant) nel Corpo del Genio.
Lee servì per diciassette mesi a Fort Pulaski (Cockspur Island, Georgia). Nel 1831 fu trasferito a Fort Monroe, Virginia, come assistente ingegnere. Mentre era lì di guarnigione, sposò a Arlington House, residenza dei genitori della moglie, proprio di fronte a Washington, D.C., Mary Anna Randolph Custis (1808–1873), la bis-bisnipote di Martha Washington. Ebbero sette figli, tre ragazzi e quattro ragazze: George Washington Custis, William H. Fitzhugh, Robert Edward, Mary, Annie, Agnes e Mildred.

Un famoso ritratto del Generale Lee
Lee servì come assistente nell’ufficio dell’ingegnere-capo a Washington dal 1834 al 1837, ma trascorse l’estate del 1835 aiutando a tracciare le linee di confine statale fra Ohio e Michigan. Nel 1837 ricevette il primo comando importante. Come tenente (first lieutenant) del Genio supervisionò i lavori ingegneristici per il porto di St. Louis e per i tratti superiori dei fiumi Mississippi e Missouri. I suoi lavori gli fruttarono una promozione a capitano. Nel 1841 fu trasferito a Fort Hamilton nel porto di New York, dove ricevette l’incarico di costruire fortificazioni.
Lee si distinse nella guerra messicana (1846–1848). Fu uno degli aiutanti di Winfield Scott nella marcia fra Veracruz a Città del Messico. Fu parte attiva in numerose vittorie statunitensi a causa delle sue personali ricognizioni in qualità di ufficiale di Stato Maggiore. Identificò le vie d’attacco che i Messicani non avevano pensato di presidiare in quanto pensavano che il terreno non consentisse alcun transito.
Fu promosso maggiore dopo la battaglia di Cerro Gordo nell’aprile 1847. Combatté anche a Contreras, a Churubusco e a Chapultepec e fu ferito in quest’ultima occasione. Alla fine della guerra era stato promosso tenente colonnello.
Dopo la guerra messicana trascorse tre anni a Fort Carroll, nel porto di Baltimora, dopo i quali diventò sovrintendente di West Point nel 1852. Durante i suoi tre anni a West Point Lee migliorò gli impianti e i corsi e passò un gran tempo con i cadetti. Il figlio più grande di Lee, George Washington Custis Lee, raggiunse West Point nel corso del suo mandato. Custis Lee ricevette il brevetto nel 1854, primo della sua classe.
Nel 1855 Lee diventò tenente colonnello del 2º Cavalleria degli Stati Uniti (sotto il comando del colonnello Albert Sidney Johnston) e fu inviato sulla fronte del Texas. Lì egli aiutò a proteggere i coloni dagli attacchi degli Apache e dei Comanche.
Quelli non furono anni davvero felici per Lee dal momento che non amava stare lontano dalla sua famiglia per lunghi periodi di tempo, specialmente perché sua moglie era sempre più malata. Lee tornava a casa per vederla non appena ciò gli fosse stato possibile.
Gli accadde di essere a Washington nel momento dell’incursione nel 1859 di John Brown contro Harpers Ferry, in Virginia (ora Virginia Occidentale) e fu inviato sul posto per arrestare Brown e ristabilire l’ordine. Egli assolse il suo compito con rapidità e poi tornò al suo reggimento in Texas. Allorché il Texas proclamò la sua secessione dall’Unione nel 1861, Lee fu chiamato a Washington, DC in attesa di nuovi ordini.
Ancora un ritratto di Lee
In quanto membro dell’”aristocrazia” della Virginia, Lee visse in stretto contatto con la schiavitù per tutta la sua vita, ma di fatto non possedette personalmente mai più di una mezza dozzina all’incirca di schiavi. Non si è a lungo saputo con certezza che egli aveva posseduto schiavi finché nel 1846 non fu scoperta la sua manifestazione di volontà, registrata nella Contea Rockbridge (Virginia), nella quale egli faceva riferimento a una donna schiava di nome Nancy e ai suoi figli, nella quale Lee provvedeva al loro affrancamento in caso di sua morte.
Tuttavia, quando il suocero di Lee, George Washington Parke Custis, morì nell’ottobre del 1857, Lee ricevette un considerevole patrimonio per il tramite di sua moglie ed ebbe il temporaneo controllo di una notevole quantità di schiavi —sessantatré in tutto fra uomini, donne e fanciulli – in quanto esecutore delle volontà di Custis. Secondo le disposizioni testamentarie, gli schiavi furono liberati “Secondo le modalità che ai miei esecutori sembreranno più rapide e adeguate”, con un massimo di cinque anni dalla data di morte di Custis, Lee provvide a sistemare la faccenda con i necessari passaggi legali relativi alla manomissione.
La volontà di Custis fu omologata legalmente il 7 dicembre 1857. Sebbene Robert Lee Randolph, Right Reverend William Meade, e George Washington Peter fossero nominati esecutori con Robert E. Lee, i primi tre mancarono di effettuare i necessari passi legali, lasciando Lee come solo responsabile del patrimonio, con l’esclusivo controllo di tutti i vecchi schiavi di Custis. Malgrado le volontà circa questi schiavi da emancipare dicessero “secondo le modalità che ai miei esecutori sembreranno più rapide e adeguate”, Lee si trovò nella necessità di pagare i debiti di suo suocero e di riparare le proprietà che aveva ereditato. Decise così di risparmiare per tutti i cinque anni nei quali ebbe sotto il proprio controllo gli schiavi, impiegandoli nelle piantagioni dei suoi vicini e nella Virginia orientale (dove c’era forte richiesta di lavoro).

Il 18 aprile 1861, alla vigilia della guerra di secessione americana il presidente Abraham Lincoln, per il tramite del Segretario di Stato alla Guerra Simon Cameron, offrì a Lee il comando delle forze armate dell’Unione grazie a un intermediario, un politico repubblicano del Maryland, Francis P. Blair, a casa del figlio Montgomery, direttore del servizio postale di Lincoln a Washington. I sentimenti di Lee erano contrari alla secessione, come denunciò in una lettera del 1861 in cui parlava di essa definendola “nient’altro che rivoluzione” e tradimento degli sforzi dei Padri Fondatori. Tuttavia la sua lealtà nei confronti della sua natia Virginia gli fece raggiungere le file della Confederazione. Allo scoppio della guerra fu nominato alla testa di tutte le forze della Virginia e poi uno dei primi cinque generali comandanti (full general) delle forze confederate. Lee, comunque, rifiutò di indossare le mostrine di Generale della Confederazione affermando che, in considerazione del suo rango di colonnello dell’esercito degli Stati Uniti, egli avrebbe indossato solo le tre stelle di colonnello confederato fin quando la guerra civile non fosse stata vinta e Lee, in tempo di pace, avesse potuto essere promosso generale nell’esercito della Confederazione.

Dopo aver comandato le forze confederate nella Virginia occidentale ed essere poi stato incaricato delle difese costiere lungo i litorali della Carolina, divenne consigliere militare di Jefferson Davis, presidente della Confederazione, che egli aveva conosciuto ai tempi di West Point.
A seguito della ferita ricevuta dal generale Joseph E. Johnston nella battaglia di Seven Pines, il 1º giugno 1862, Lee assunse il comando dell’Armata della Virginia Settentrionale, la sua prima opportunità di comandare un esercito sul campo. Subito lanciò una serie di attacchi nelle battaglie dei Sette Giorni, contro le forze unioniste del generale George B. McClellan che minacciavano Richmond, la capitale confederata. Gli attacchi di Lee comportarono pesanti perdite della Confederazione dovute a maldestre prestazioni tattiche dei suoi subordinati ma le sue aggressive iniziative innervosirono McClellan. Dopo il ritiro di McClellan, Lee sconfisse un altro esercito unionista nella seconda battaglia di Bull Run (chiamata dalla Confederazione “Seconda Manassas”). Invase poi il Maryland, sperando di rifornirsi e possibilmente influenzare le elezioni del Nord in cui si discuteva di mettere fine alla guerra. McClellan venne in possesso di un ordine smarrito che rivelava i piani di Lee e manovrò per portarsi con forze superiori ad Antietam prima che l’Armata di Lee potesse essere radunata. Nella più cruenta giornata della guerra, Lee respinse gli assalti unionisti ma si ritirò in Virginia con la sua Armata decimata.

3La resa di Lee
Contrariato per il fallimento di McClellan di distruggere l’esercito di Lee, Lincoln nominò Ambrose Burnside comandante dell’Armata del Potomac. Burnside ordinò un attacco al di là del fiume Rappahannock in quella che fu definita la battaglia di Fredericksburg. I ritardi nel gettare i ponti sul fiume regalarono all’Armata di Lee tempo in abbondanza per organizzare una solida difesa e l’attacco del 12 dicembre 1862 fu un disastro per l’Unione. Lincoln allora nominò Joseph Hooker comandante dell’Armata del Potomac. L’avanzata di Hooker per attaccare Lee nel maggio 1863, presso Chancellorsville, in Virginia, lo portò a una sconfitta ad opera di Lee, grazie all’audace piano di “Stonewall” Jackson di dividere l’esercito e di attaccare il fianco di Hooker. Fu una vittoria clamorosa ai danni di una forza molto maggiore ma essa comportò un grave costo, dal momento che il miglior subordinato di Lee, Thomas Jonathan Jackson, fu gravemente ferito e morì poco dopo per una polmonite intervenuta dopo l’amputazione del braccio.
Nell’estate del 1863 Lee intraprese una nuova invasione del Nord nella speranza che una vittoria del Sud avrebbe obbligato il Nord a riconoscere l’indipendenza della Confederazione. Il suo tentativo di sconfiggere le forze unioniste al comando di George G. Meade a Gettysburg, in Pennsylvania, tuttavia fallì. I suoi subordinati non attaccarono con il piglio aggressivo che Lee si aspettava. La cavalleria di J.E.B. Stuart era lontano dal luogo degli scontri e la decisione di Lee di lanciare un massiccio attacco contro il centro delle linee dell’Unione — la disastrosa Carica di Pickett — si concluse con pesanti perdite. Lee fu costretto a ritirarsi ancora ma, come dopo Antietam, non fu inseguito con determinazione. In seguito alla sua sconfitta a Gettysburg, Lee inviò una lettera di dimissioni al Presidente confederato Jefferson Davis l’ 8 agosto 1863 ma Davis respinse la richiesta di Lee.
Nel 1864 il nuovo generale comandante in capo dell’Unione, Ulysses S. Grant, cercò di distruggere l’Armata di Lee e di catturare Richmond. Lee e i suoi uomini bloccarono l’avanzata ma Grant ricevette rinforzi massicci e cominciò a spingersi ogni volta un po’ di più verso Sud-Est. Tali battaglie, nella Campagna Terrestre, compresero Wilderness, Spotsylvania Court House e Cold Harbor. Grant infine ingannò Lee spostando segretamente la sua Armata al di là del fiume James. Dopo aver bloccato un tentativo dell’Unione di catturare Petersburg (Virginia), un collegamento ferroviario vitale per rifornire Richmond, gli uomini di Lee costruirono un sistema elaborato di trincee e furono assediati a Petersburg. Lee tentò di rompere la situazione di stallo inviando Jubal A. Early a compiere un’incursione attraverso la valle dello Shenandoah su Washington D.C. ma Early fu sconfitto dalle superiori forze avversarie di Philip H. Sheridan. L’assedio di Petersburg continuò da giugno 1864 fino ad aprile 1865.

2Robert Lee a fianco a Jefferson Davis
Il 31 gennaio 1865 Lee fu promosso generale comandante in capo di tutte le forze confederate. Ai primi del 1865 egli premette affinché si adottasse un piano per consentire agli schiavi di raggiungere i ranghi dell’Armata confederata in cambio della concessione della libertà. Lo schema non dette mai frutti per il breve lasso di tempo rimasto alla Confederazione prima che essa cessasse di esistere.
Dal momento che l’Armata confederata era esausta dopo mesi di battaglie, un tentativo dell’Unione di catturare Petersburg fu realizzato il 2 aprile 1865. Lee abbandonò la difesa di Richmond e tentò di congiungersi con l’esercito del generale Joseph Johnston nella Carolina del Nord. Le sue forze si arresero all’Armata dell’Unione ed egli si consegnò al generale Grant il 9 aprile 1865, ad Appomattox Court House (Virginia). Lee rifiutò le richieste di alcuni suoi subordinati (e indirettamente di Jefferson Davis) di respingere la resa e di consentire a che piccole unità si dileguassero nelle montagne, avviando una lunga guerra di bande.
Nel dopoguerra Lee s’impegnò – senza riuscirvi – perché fosse concessa ufficialmente un’amnistia per gli avvenimenti bellici. Dopo aver completato in proposito un modulo di richiesta, questo fu portato all’attenzione del Segretario di Stato William H. Seward che, immaginando che la questione fosse stata assegnata a qualcun altro e che il modulo sulla sua scrivania fosse una copia personale, lo archiviò fin quando esso non fu ritrovato decenni più tardi nel cassetto della sua scrivania. Lee prese la mancanza di risposta come un segno dell’intenzione del governo di riservarsi il diritto di perseguirlo in futuro.
L’esempio di Lee di richiedere l’amnistia incoraggiò numerosi altri membri dell’esercito della Confederazione ad accettare il pieno reintegro nel diritto di cittadinanza degli USA. Nel 1975 il presidente Gerald Ford proclamò un perdono postumo e il Congresso degli Stati Uniti d’America restituì a costoro retroattivamente la cittadinanza, come conseguenza del rinvenimento da parte di un impiegato degli Archivi Nazionali nel 1970 del loro impegno giurato di fedeltà.
Lee e sua moglie avevano vissuto nella casa della famiglia della moglie prima della guerra, la Custis-Lee Mansion. Essa fu confiscata dalle forze unioniste ed è oggi parte del cimitero di Arlington (Arlington National Cemetery). Dopo la sua morte, i tribunali riconobbero che la proprietà era stata illegalmente confiscata e che doveva essere restituita al figlio di Lee. Il Governo si offrì di comprare la terra intorno e venne raggiunto un accordo in merito.

Lee fu preside del Washington College (oggi Washington and Lee University) a Lexington (Virginia), dal 2 ottobre 1865. In cinque anni egli trasformò il Washington College da piccola generica scuola in uno dei principali college statunitensi che offrono corsi di economia e commercio, giornalismo e lingua spagnola. Espresse anche un completo e incisivo esempio del suo concetto di onore; «Abbiamo una sola regola, che cioè ogni studente è un gentiluomo» — principio che dura ancor oggi nel Washington and Lee College e che poche altre scuole continuano a mantenere.
La sera del 28 settembre 1870, Lee si ammalò, impossibilitato a parlare in modo coerente. Quando i suoi dottori furono chiamati, il meglio che essi furono in grado di fare fu di metterlo a letto e sperare nel meglio. È pressoché certo che Lee abbia avuto un ictus che danneggiò i lobi frontali del cervello e che gli resero impossibile parlare. Fu nutrito forzatamente per recuperare le forze ma contrasse la polmonite, una conseguenza quasi comune per chi perdeva forze.

Nota: Fu il generale Lee ad incentivare la libertà degli “schiavi” arruolandoli fra le forze confederate a prestare servizio tra i bianchi. Interi reggimenti erano composti da uomini di colore che, senza pensarci su, donarono la loro vita per la causa degli Stati Confederati d’America.

Monumento funebre di Robert E. Lee nella Lee Chapel a Lexington
Lee morì per gli effetti della polmonite, due settimane dopo l’ictus, la mattina del 12 ottobre 1870, a Lexington, in Virginia, e fu sepolto nella Lee Chapel dell’Università Washington and Lee, in cui il suo corpo riposa tuttora.

4Onori generale

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30 pensieri su “Il generale

  1. Onori!
    Non si dimenticano i grandi uomini, con grandi passioni, che furono un faro per tutta l’umanità!
    Nel giorno dell’anniversario!

    For Dixie’s land, we take our stand,
    and live or die for Dixie

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  2. Conosco la tua passione per la CSA.
    Però devo ringraziarti per l’approfondimento. La libertà, giustizia e dignità sono valori che non esistono più nel ricordo dell’uomo!
    Ciao amico mio e buona giornata

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    • Spillo

      Sì, una passione che ha le sue radici molto profonde,. Radici nutrtite fin dalla più enera età. Da piccolo, infatti, giocavamo con i soldatini e avevamo nordisti, sudisti e indiani. Ricordiamo, ancora, la scatola che li contenevano: Erano raffigurati i nordisti sorridenti che le suonavano di santa ragione ai sudisti con le facce scure.
      In lontananza si vedevano due indiani che derubavano i morti sul campo.
      Pensai che nessuno, anche se cattivi, li stava difendendo e, fin da piccolo, iniziai a farmi raccontare storie di indiani e della guerra civile americana.
      Le scelte vennero da sole.
      Gli indiani d’america erano stati massacrati e derubati con scienza, coscienza e sterminio pianificato.
      I sudisti, ovvero gli stati della Confedeazione stavano lottando per i più elementari diritti di un popolo, cntro lo strapotere nordista e lobbista.
      Il resto è storia.
      Grazie per esserci

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    • Giorgia Mattei

      Grazie milady.
      A tal proposito vi facemmo, umilmente, notare che per la Confederazione tutto quello che riguardava la dignità, il sentimento, l’educazione e il rispetto, veniva racchiuso e raffigurato in una rosa.
      -La rosa dell’Alabama;
      -la rosa del Kentucky;
      -La rosa del Texas
      -La rosa dell’Onore, ecc. ecc.
      Grazie per esserci

      Cordialità

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    • Eleonora Bisi

      Purtroppo, mia signorina, afferraste il problema.
      la corsa e rincorsa ai fasti “sognati” ci fa perdere di vista la bellezza del luogo in cui si vive.
      Uccidiamo per uno sgarbo, … mentre stiamo offendendo la fame, il bisognoso, il povero, il debole.
      Grazie per esserci

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  3. Ma tu guarda, nessuno che ci informa.
    Si, è vero, lo conosco, ma l’ho imparato a scuola di sfuggita o in qualche film nordisti contro sudisti senza mai approfondire.
    ma perché certe cose non si approfondiscono? Si trova, sempre, una politica di parte giusto per andare alla corte degli yankees?
    Mi sono documentata (sto leggendo e indagando da più di un’ora)
    I nordisti, con i loro massacri, ne hanno fatta di strada sopra le teste dei sudisti che combattavano per un ideale.
    Il sud gentiluomo ha offerto il braccio, facendo un passo indietro, all’arroganza yankee, pur di salvare dal macello migliaia di donne e bambini sudisti.
    certe cose dovrebbero dirlo e non fare, come si fa, i sudditi di un’america abuffina, arraffona, arrogante e tracotante.
    Bel post, mio signore. Bello davvero.

    Onori al generale Lee.

    Susi

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    • Circe, lady Susi




      (Sospendo, per un attimo, il Voi, così viene più facile)

      Sono anni che mi batto per sfatare un mito duro a morire, quello della guerra civile americana, come conflitto, avvenne per la liberazione degli schiavi neri del Sud.
      Per esempio, non c’è film né fumetto che non riproponga, ancora oggi, il mito in questione.
      Anche nelle fiction più tenere verso i sudisti (come il celebre Via col vento o il crudo Il texano dagli occhi di ghiaccio con Clint Eastwood), lo spettatore risolve l’impressione che, sì, i nordisti non erano sempre degli stinchi di santo ma avevano ragione.
      Invece, secondo anni e anni di rilievi, passione, studio e ricerca, fu contrario: avevano ragione i sudisti.

      Infatti, è sbagliato anche solo parlare di guerra civile, perché si trattò in realtà di una guerra d’indipendenza, così come lo era stata quella che, le colonie d’America, avevano condotto contro l’Inghilterra nel secolo precedente. In quest’ultima (che non fu affatto una rivoluzione, al contrario), gli americani reagirono contro un potere che era diventato centralistico e oppressivo, reclamando diritti conculcati (dunque, un ritorno allo status quo ante, diversamente dai giacobini francesi).
      Lo stesso fecero gli Stati del Sud quando il governo federale cominciò a comportarsi come a suo tempo aveva fatto Londra!

      Il predecessore di Abraham Lincoln alla presidenza dell’Unione, James Buchanan, aveva consentito che ben sette Stati del Sud uscissero dall’Unione senza far storie.
      Infatti, era previsto fin dalla Dichiarazione d’Indipendenza che uno Stato potesse ritirarsi dal patto federale quando lo avesse ritenuto opportuno.
      La schiavitù non c’entrava affatto.
      Il problema era (tanto per cambiare, nella storia americana statunitense) squisitamente economico.

      Il Nord era protezionista e il Sud liberoscambista.
      Cioè, il Nord, industriale e manifatturiero, difendeva i propri prodotti con alti dazi; il Sud, che questa roba la doveva importare, esportava però nel mondo il suo cotone e il suo tabacco. Il suo distacco dall’Unione avrebbe dirottato il commercio verso i suoi porti, praticamente privi di dazi.
      Paradossalmente, agli abolizionisti conveniva che il Sud se ne andasse per i fatti propri, tant’è che William Lloyd Garrison , fondatore della Società antischiavista americana, ne sosteneva la secessione. L’esempio era dato dal Brasile, Stato federale in cui uno degli Stati, il Cearà, aveva abolito la schiavitù. Col risultato che i neri presero a rifugiarvisi; ciò ne fece crollare il prezzo e, in pochi anni, portò all’abolizione nell’intero Paese. La secessione americana avrebbe provocato la fuga degli schiavi negli Stati abolizionisti e ciò avrebbe costretto il Sud, rovinato, a seguire l’esempio brasiliano. Non solo. La stragrande maggioranza dei sudisti non era proprietaria di schiavi e, anzi, diverse personalità di primo piano (come i generali Lee e “Stonewall” Jackson) erano contrari alla schiavitù.
      I primi sette Stati che si erano ritirati dall’Unione lo avevano fatto in realtà perché a loro non conveniva più restarci. Ciò era pacificamente ammesso fin dai tempi di “padri della patria” come Thomas Jefferson e John Quincy Adams; perfino da un osservatore acuto come Alexis de Tocqueville.
      Così, giudicando che ormai il governo centrale era divenuto oppressivo, sette Stati rivendicarono il loro diritto di sbattere la porta: South Carolina, Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama, Georgia e Florida. Ma poi fu eletto Abraham Lincoln, il quale nel 1861 mandò una nave ad approvvigionare Fort Sumter, che controllava il porto di Charleston, in South Carolina.
      Era una provocazione, perché quello Stato si era già reso indipendente e non intendeva permettere al governo federale di mantenere – e rafforzare – una guarnigione sul proprio territorio!
      I locali spararono contro il forte e non ci fu nemmeno un ferito, ma la loro reazione servì a Lincoln per dichiarare i secessionisti ribelli e scatenare la guerra. A quel punto, altri quattro Stati dichiararono la loro indipendenza: Tennessee, Virginia, North Carolina e Arkansas.
      Infatti, al momento di firmare la Costituzione, la Virginia – ma anche New York e Rhode Island – aveva ottenuto di inserire una clausola di ratifica che le consentiva di lasciare l’Unione se il governo centrale non fosse stato ai patti: non avevano combattuto contro l’oppressione fiscale inglese per ritrovarsi sottomessi a un potere analogo.
      Da qui la guerra.
      Che non fu degli Stati del Sud contro quelli del Nord, ma degli undici resisi indipendenti contro il governo federale sanguisuga, oppressore, assassino e bugiardo.

      (Riprendiamo il Voi

      Perdonateci la prolissità, mia signora, ma ci toccaste nel vivo dei nostri convincimenti più profondi e ancestrali. Magari sbagliati, ma sono i nostri!

      Grazie per l’attenzione e cordialità

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  4. Il generale Lee lo sapevo e adesso che ho letto mi piace proprio.
    ma chi era il Presidente? E la capitale qual’era?
    Scusa la mia ignoranza ma mi hai fatto interessare agli stati confederati.
    Un bacio milord.
    Ciao

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    • Giovanna A.

      Mia signora, ci riscaldaste il cuore con la vostra attenzione.
      Orbene:
      Il Presidente degli Stati Confederati d’America era il moderato democratico On.le Jefferson Davis
      La Capitale fu Montgomery, in Alabama, all’atto della dichiarazione di secessione “pacifica” dagli stati dell’Unione che si erano macchiati di inadempienza e scorrettezza.
      Dopo la provocazione e l’aggressione statunitense, la capitale venne spostata a Richmond, in Virginia e tale rimase fino alla misera capitolazione, (grazie alla brutalita delle forze unioniste).
      Il governo della CSA, in rotta, riparò a Danville (dopo la presa e il massacro di Richmond ad opera dei generali Farragut e Porter, due gentiluomini, comandanti delle divisioni unioniste che entrarono a Richmond e che non si fecero mancare nulla: dagli stupri e violenze su donne e bambini, alle impiccagioni di quasi tutti gli esponenti sudisti).

      Grazie

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    • Elena Simonin

      Mia signora vi accontentammo immediatamente.
      Di Inni nazionali, praticamente furono due (ufficiale uno solo, però)
      1° Dixie Land (Ufficialmente l’Inno nazionale) come qui sotto

      2° The Bonnie Blue Flag (Che era, molto spesso cantata, molto sentita, ma non ufficiale)

      3° In ultimo, ma non per ultimo, è da notare che il Presidente Jefferson Davis, quando giurò fedeltà alla CSA venne suonato, come inno, il “God save the South, come qui giù

      Cordialità

      🙂

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