U-Boot

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“I sottomarini nemici devono essere chiamati “U-Boot”.
Il termine “sottomarino” deve essere riservato solo ai vascelli subacquei alleati.
Gli U-Boot sono quei codardi furfanti che affondano le nostre navi,
mentre i sottomarini sono quegli apparecchi nobili e coraggiosi che affondano le loro.”
(Winston Churchill)

1Berlino – 30 aprile 1945 ore 18.30
Cominciava a imbrunire. Non che si vedesse il sole dal bunker, ma guardando il grosso orologio a pendolo e l’ora che segnava, le 18,30, Walter pensò che cominciava a imbrunire.
Walter.
Se lo ripeté nella mente un paio di volte: avrebbe dovuto abituarsi a quel nome per un lungo periodo.
Con un po’ di malinconia pensò per quanto tempo sarebbe dovuto restare in incognito. Sorrise.
Anche la pagliacciata del testamento era stata ultimata, del resto l’operazione era stata congegnata nei minimi particolari e tra questi anche la storia del testamento.
Se pensava a quanto tempo era stato speso per pianificare tutto nei minimi particolari e all’eventualità che anche una minima cosa potesse andare male e compromettere tutta l’operazione gli veniva l’emicrania, del resto Walter era sempre stato un uomo d’azione.
Sorrise di nuovo, parlare di sé stesso in terza persona e con un nome differente, lo divertiva parecchio.
La sua attenzione fu attratta da una persona magra, sulla soglia della porta, che lo stava osservando. La divisa da Colonnello gli cadeva proprio male, forse per gli anni o forse per il periodo, ma il dottore non era certo in forma.
Anch’egli era lì per il testamento, come testimone. Walter si diresse verso l’ufficiale che, senza alcun cenno, lo precedette nella stanzetta attigua in cui c’erano solo una sedia e un tavolo con del materiale medico appoggiato sopra.
Walter si sedette, fece un respiro profondo, chiuse gli occhi più per proteggerli che per altro e restò in attesa che si procedesse.
“Dottore allora comincia ufficialmente l‘operazione Fenice?” chiese ironico Walter.
“Certamente Generale Walter Stahlecker” rispose beffardo il colonnello “tutto come concordato, adesso faccia silenzio che altrimenti non riesco a fare bene la bendatura”.
Walter Stahlecker, c’era una sottile crudeltà nell’aver assunto l’identità del generale di Brigata delle SS, ironia della sorte un cospiratore ai danni del Führer.
Un sordo boato squarciò il silenzio del momento, un colpo di artiglieria russa doveva aver colpito proprio il giardino della cancelleria sotto il quale il bunker era scavato. Walter non aprì nemmeno gli occhi: era tutto il giorno che l’artiglieria russa li martellava con alterna fortuna.
Certo il bunker era stato progettato per resistere a un bombardamento massiccio e i 4 metri di spessore delle pareti davano una certa tranquillità, così come il modernissimo sistema di ventilazione per evitare i gas utilizzati dall’Armata Rossa, i russi evidentemente pensavano di fiaccare lo spirito tedesco radendo tutto al suolo.

2Il dottore cominciò a bendargli il volto con molta perizia e delicatezza.
Nella stanza non c’era nessun altro, avevano aspettato che Goebbels si allontanasse per andare dalla consorte e decidere cosa fare dei loro bambini, intanto gli altri stavano ricevendo la notizia del testamento, infine Eva riposava nella sua stanza.
Walter cominciò a pensare alla fase successiva, tutto era pronto da mesi, tutto studiato nei minimi particolari, eppure per un istante ebbe paura: uscire dal bunker non sarebbe stato facile, se un colpo lo avesse ferito lui sarebbe stato perduto.
Sperò che le informazioni che avevano avuto e cioè che i russi non sarebbero arrivati alla cancelleria prima di un paio di giorni fossero attendibili, del resto a lui servivano ancora solo poche ore e il bombardamento sembrava ancora frutto del caso e non di una specifica strategia.
Dopo circa una ventina di minuti Walter sentì che il lavoro era terminato, aprì gli occhi, il dottore gli passò uno specchio e lui indugiò un po’ sui particolari del suo volto, ormai nascosto da una fasciatura completa che copriva tutto: capelli, naso, viso e parte del collo erano celati da una candida garza bianca, come se fosse stato ferito al volto o fosse ustionato. Solo gli occhi e la bocca erano visibili oltre ad un’apertura per le narici, per permettergli di respirare.
“Che le sembra generale?”
“Molto ben fatto”
Il dottore abbozzò un sorriso, era un uomo schivo, decisamente non adatto alla conversazione, il suo lavoro lo conosceva bene e soprattutto, dopo quasi sei anni di guerra, i bendaggi erano diventati una facile routine.
Walter si alzò dalla sedia e si diresse a grandi passi verso la sua stanza, era fondamentale che nessuno lo vedesse ora, a metà della trasformazione, perché chi avesse visto avrebbe capito e il suo piano alla lunga non avrebbe retto, malgrado la fedeltà degli occupanti il Führerbunker.
Arrivato nella sua stanza si chiuse a chiave e si spogliò velocemente.
Sulla sua sedia era già pronta la divisa da generale di brigata delle SS con tanto di decorazioni, a essere sinceri era proprio la divisa di Stahlecker, che era stato giustiziato in segreto poche settimane prima per l’attentato del 20 luglio.
Anche i documenti sul tavolo erano quelli originali di Walter Stahlecker, lui era Walter Stahlecker.
La scelta era caduta sul poveretto proprio quando fu scoperto il suo concorso nell’attentato quasi un anno prima perché era l’uomo giusto: un generale di brigata era un grado tutto sommato elevato, senza essere in quel gotha che avrebbe reso difficile muoversi in maniera anonima nel Reich agonizzante.
Walter indossò velocemente la divisa che gli andava a pennello dopo i ritocchi fatti fare appositamente per lui, si fisso la pistola nella fondina, dopo aver controllato che fosse carica e aprì la valigetta per controllare ancora una volta che ci fosse tutto.
1Due buste con impresso GE.STA.DO., documento segreto di Stato, occupavano la maggior parte dello spazio, una era per il suo vecchio amico l’ammiraglio Dönitz, l’altra per il comandante Dorf; una busta con dentro la “lista” e i suoi effetti personali. Dentro ci mise i suoi “nuovi” documenti, un caricatore addizionale per la pistola, poi chiuse la valigetta e la rimise sul tavolo.
Nel frattempo continuava a udire i sordi scoppi dell’artiglieria russa che stavano flagellando quel che restava di una Berlino già semidistrutta dai bombardamenti alleati.
Ricordava quante volte, nelle settimane passate, fosse uscito di notte nel giardino della Cancelleria per vedere le battaglie tra i bombardieri alleati e l’antiaerea tedesca tra i continui richiami delle guardie del Führerbunker che lo volevano al sicuro all’interno.
I suoi vecchi documenti li mise in una busta, la chiuse e se la mise nel taschino dell’uniforme.
Prese una scatoletta metallica sul tavolo, quella con una nota marca stampigliata sopra e con dentro le pastiglie e la aprì, un vago odore di menta gli raggiunse le narici; contò rapidamente le pastiglie, circa una decina, e richiuse la scatola pensando che un tempo aveva contenuto vere caramelle alla menta.
Mise la scatoletta in tasca dell’uniforme, imbracciò la valigetta e con la mano libera bloccò il cappello d’ordinanza sotto il braccio.
Si guardò un ultimo momento allo specchio: tutto sembrava perfetto, nessuno l’avrebbe riconosciuto così conciato, si passò una mano sul bavero della giacca e uscì dalla sua stanza.
Ad attenderlo fuori della porta trovò il dottore, anche lui pronto per partire con una valigetta più tonda della sua, che Walter pensò essere piena dei ferri del mestiere e un ufficiale della Gestapo con la sua uniforme nera impeccabile.
Nel vedere Walter scattò sugli attenti e alzò il braccio destro nel saluto, questi ricambiò seccamente,
“Sono pronto” disse rivolto ai due astanti.
“Generale mi segua per favore” replicò l’ufficiale e si diresse verso le scale che salivano dal bunker al giardino della Cancelleria, Walter si soffermò a guardare l’orologio, erano le 19.02 in lieve anticipo sul piano.
S’incamminò dietro la sua scorta, seguito dal dottore, pensando che l’ufficiale che li precedeva era stato scelto perché tra quelli che gli assomigliavano fisicamente aveva anche il suo stesso dentista e si chiese se l’avesse riconosciuto.
A metà della scalinata fu investito da una fresca folata d’aria: avevano aperto la porta che dava sul giardino. Walter si voltò un istante a guardare, per l’ultima volta, il bunker in cui aveva trascorso le ultime settimane con amici, colleghi e sottoposti: lui odiava quel posto. Lo considerava l’opprimente incarnazione della sconfitta nazista e fu quasi con sollievo che s’infilò nel fresco crepuscolo berlinese illuminato dagli incendi e squassato dagli scoppi dell’artiglieria dell’Armata Rossa.

3Kristiansand – Norvegia – 30 aprile 1945 ore 22.00
Il comandante Manfred Dorf salì a bordo del suo sommergibile tipo XXI, ultima generazione di sommergibili della Kriegsmarine. Aveva passato la serata al circolo ufficiali, che era situato nel forte di Kristiansand, proprio a fianco del porto. Il circolo ufficiali distava meno di un chilometro dal suo mezzo,
Aveva cenato con i suoi e con altri ufficiali di stanza in città, poi si era soffermato a bere un paio di birre per riordinare le idee.
Pensava che la birra norvegese non fosse niente male e proprio lì, a Kristiansand c’era una distilleria che produceva una birra amara molto buona.
Con una carriera fulminea, grazie alla guerra, a soli ventitré anni si ritrovava comandante di un sommergibile di ultima generazione.
Aveva cominciato a familiarizzare con questo modello dai primi di marzo e ora, forse per le sue capacità, era stato selezionato per una missione segreta e importantissima della quale ovviamente non aveva alcuna informazione. Era stato chiamato al telefono tre giorni prima dall’ammiraglio Dönitz in persona che gli aveva ordinato di cominciare ad approntare il sommergibile con il materiale che sarebbe arrivato da lì a poco, inoltre di attendere ulteriori istruzioni che sarebbero arrivate tramite un suo emissario.
In effetti, negli ultimi due giorni i suoi uomini non avevano fatto altro che caricare casse provenienti da un paio di camion pieni.
Il suo sottomarino, un Elektroboat, era stato deciso che fosse ormeggiato nella caverna naturale sotto la collina che sbarrava il porto verso sud a ovest del forte, era l’arma più avanzata di cui disponevano e anche se la guerra era perduta non era pensabile vederlo affondato da un bombardamento alleato.
Certo Kristiansand era la piazzaforte più sicura del Reich, grazie alle sue difese: le batterie situate a Møvik, in grado di colpire qualunque naviglio provasse a forzare lo Skagerak, i bunker e le postazioni antiaeree ne facevano un porto sicuro e per questo motivo mediamente vi erano ormeggiati tra i venti e i trenta sommergibili.
Nelle sue meditazioni Manfred rimuginò a che tipo di missione gli avrebbero assegnato e gli venne da ridere di gusto: molto probabilmente gli avrebbero fatto fare il trasportatore e la balia come il suo amico il comandante dell’U-Boot 234 Johann-Heinrich Fehler, che neanche due settimane prima era partito per il Giappone, con materiali strategici per la guerra e due ufficiali giapponesi, proprio da quello stesso porto. Lo stesso Fehler gli aveva confidato che tra le casse che trasportava c’erano i pezzi di un aereo e dei tubi metallici classificati segretissimi.
Il motivo che gli faceva pensare a una missione di trasporto piuttosto che offensiva lo aveva dedotto, oltre che dalla gran quantità di materiale che avevano caricato, dal fatto che gli avevano fatto imbarcare solo sei siluri e naturalmente il fatto che la guerra fosse persa pesava su qualsiasi ordine ricevuto.
L’agghiacciante consapevolezza di aver perso la guerra l’aveva ormai pervaso dall’inizio del 1943, quando guardando le statistiche notò che l’Asse riusciva ad affondare un tonnellaggio di navi Alleate assai inferiore a quello prodotto dagli stessi.
Il predominio del mare era fatto dai numeri e, sfortunatamente, i numeri erano contro la Kriegsmarine. Il motivo per cui i militari avevano continuato a combattere era evidente: la Germania era in guerra e loro, gli ufficiali, avevano giurato di difenderla.
Aveva finito la seconda birra e si era diretto verso l’ingresso dalla grotta per rientrare sul suo mezzo, perché secondo gli ordini avrebbero dovuto salpare questa notte. La passeggiata non era troppo lunga ed era assai piacevole: si costeggiava il porto della cittadina che oltre a qualche U-Boot ospitava anche pescherecci e piccoli piroscafi, mentre verso l’entroterra si vedevano solo le case di legno, tipiche norvegesi, dai colori sgargianti, soprattutto rosso e giallo, con il tetto molto scosceso e le finestre piccole. Completava il panorama la penisola che chiudeva il porto con la collina il tutto ricoperto da una fitta foresta di conifere che giungevano fino al mare nel fiordo.
Paesaggio completamente diverso lo aveva accolto a marzo, quando aveva raggiunto Kristiansand per la prima volta a bordo del suo U-3033 in addestramento: tutto era coperto da una spessa coltre di neve e quel primo marzo, se lo ricordava ancora, stava nevicando copiosamente. Anche il fiordo era in parte ghiacciato, anche se lo strato era molto sottile, e per tenerlo sgombro due rimorchiatori giravano periodicamente dentro il fiordo, fino al porto, per rompere il ghiaccio e permettere una navigazione più agevole.
Prima di entrare sottoterra aveva guardato il cielo e si era fermato a riconoscere le stelle, aveva identificato la cintura di Orione: era una notte molto tersa.

4La luna era quasi piena, ciò avrebbe facilitato la partenza aumentando però il rischio di essere identificati dalla resistenza norvegese e quindi di essere intercettati in mare aperto.
Aveva sospirato, come ogni volta che aveva l’occasione di vedere le stelle e in particolare Orione: come tutti i marinai le stelle erano vita, fin dai tempi antichi erano la differenza tra una navigazione sicura e un naufragio garantito, sebbene la tecnologia li avesse dotati di mezzi sempre più sofisticati, in emergenza, ma molte volte anche solo per scaramanzia, loro si orientavano con le stelle.
Una preghiera gli era salita spontanea dal cuore, che quella non fosse l’ultima volta che vedeva le stelle e si era infilato nella grotta.
La sentinella che ne controllava l’accesso era scattata sugli attenti e Manfred aveva risposto, al saluto che lui considerava un segno di rispetto per le persone e non solo un qualcosa di dovuto al grado.
Aveva percorso velocemente la scala metallica che conduceva dall’ingresso alla banchina artificiale che era stata costruita per utilizzare la grotta come base per i sommergibili.
Il suo Elektroboat era il solo ormeggiato, benché la grotta ne potesse contenere due alla volta, e colpiva subito per la sua imponenza. Con i suoi quasi ottanta metri di lunghezza e otto di larghezza la classe XXI era sicuramente una delle armi più formidabili del Reich, peccato fosse giunta troppo tardi.
La caratteristica principale, che la rendeva superiore a tutti i modelli precedenti, come aveva avuto modo di sperimentare Manfred stesso, era la capacità elettrica, circa tre volte superiore agli altri modelli, che dava la possibilità di navigare in immersione per periodi maggiori e percorrere una distanza maggiore con una silenziosità stupefacente. Il comandante Dorf aveva testato l’Elektroboat fino in fondo e aveva già un record personale: 300 metri di profondità, ma soprattutto era riuscito ad avvicinarsi a un incrociatore britannico con scorta a meno di 500 metri, peccato che essendo in esercitazione il suo armamento non fosse sufficiente per affrontare il mezzo e la sua scorta.
Il Grande ammiraglio Dönitz gli aveva ordinato di assumere il comando del mezzo giusto tre giorni fa, lasciando il sommergibile su cui si stava esercitando, l’U-3033, al comando di qualcun altro. Il nuovo mezzo era già nella base, Manfred sospettava che fosse giunto da Amburgo appena uscito dalla fabbrica, nottetempo, senza farsi notare nemmeno dalle forze armate tedesche.
9Dorf si era fermato ad ammirare la sua barca: nera, lucida non ancora intaccata dai segni del mare; spiccava la torretta, o vela come veniva definita dai marinai, ma sulla parte laterale, dove doveva esserci l’indicazione del numero di U-Boot, erano state applicate tre bandiere della Kriegsmarine, con la croce uncinata, che nascondevano a tutti il numero.
Questo aveva ovviamente già generato una leggenda e il suo sommergibile era già stato soprannominato U-HAH (U-Heil Adolf Hitler).
Una sentinella delle SS era permanentemente a controllare che nessuno si avvicinasse a sbirciare: evidentemente tutte queste misure di sicurezza (non eccessive poiché neanche il comandante aveva avuto l’informazione) servivano per mantenere l’anonimato. Secondo Manfred i partigiani Norvegesi si erano ormai infiltrati ovunque, anche se queste misure non servivano a molto, sicuramente avrebbero reso più difficile il loro compito.
La sentinella SS scattò sugli attenti e Manfred fece un rapido saluto mentre s’infilava nella stretta scaletta che portava alla sala di comando, dove lo attendeva il direttore di macchina Hans Weiss.
“Buonasera comandante”
“Buonasera Hans, come andiamo? Siamo pronti per partire?”
“Si comandante! Abbiamo finito di imbarcare il carburante, i lubrificanti, sei siluri e tutte le casse arrivate con i camion come da ordini. Il cambusiere mi ha appena informato di aver riempito le stive con diciassette settimane di razioni per sommergibili e i freezer con roba fresca” rispose il direttore di macchina, un uomo alto e magro che portava degli occhialini tondi. Era sempre sporco di grasso o la tuta o le mani o il viso, segno che il ragazzo le mani le metteva proprio nelle macchine che curava.
Manfred annuì con fare pensoso, se il quartier generale aveva ordinato di riempire i serbatoi e la cambusa era evidente che la loro missione li avrebbe portati lontano. Si sfilò il cappello bianco che lo contraddistingueva come comandante e si portò una mano tra i capelli, la temperatura dentro il sottomarino era più calda e umida rispetto all’aria fresca.
Dal boccaporto di prora si presentò in camera di manovra il telegrafista con in mano un foglio, lo porse a Manfred che lo lesse avidamente sperando si trattasse di qualche notizia sulla loro missione.
“Hans, vado a riposarmi un paio di ore, il dispaccio riferisce che dovremmo partire intorno alla una di oggi, se dovesse arrivare l’inviato di Dönitz nel frattempo, fammi chiamare subito”
“Sissignore” fu la risposta del direttore e Manfred sparì attraverso il boccaporto di prua che portava alla stanza radio, alla sua cabina e a quella degli ufficiali.

5Miami – Florida USA – 3 agosto 2009 ore 7.30
Paul si svegliò e attese qualche istante per godersi la fine della canzone, una delle sue preferite.
Il condizionatore andava ancora, si era dimenticato di impostare lo spegnimento automatico e ora una scapola gli doleva per il getto di aria fresca, ma del resto la temperatura esterna era molto alta: questa estate era insolitamente afosa.
Il suo cervello cominciava a svegliarsi, di solito era più scattante ma quel lunedì mattina era ancora stanco e addormentato: aveva passato il weekend in barca con amici a pescare e bere birra, soprattutto bere molta birra da un primo bilancio, poiché in due giorni il suo attivo di pesca era un Marlin agganciato e perso dopo pochi minuti.
Avevano festeggiato fino a tardi la domenica rientrando in porto a notte fonda perché nessuno voleva tornare in città a lavorare.
Già lavorare, se non si dava una mossa non ci sarebbe andato del tutto, quindi decise di alzarsi, appoggiò i piedi sul tappeto a lato del letto, riorganizzò le idee e si diresse in bagno.
Mezz’ora dopo era lavato vestito e pronto per la colazione che si preparò velocemente ma senza dimenticarsi nulla: latte – spremuta e due fette di pane e marmellata. Impostò i timer dei condizionatori per cominciare a rinfrescare la sua casa prima del suo rientro quella sera e uscì diretto al lavoro.
Il suo ufficio distava pochi chilometri da casa, ma normalmente a causa del traffico poteva impiegare anche mezz’ora per raggiungerlo, oggi grazie alle vacanze agostane in un quarto d’ora stava già parcheggiando.
L’ufficio era semideserto, i ragazzi avevano quasi tutti preso ferie in quel periodo, Paul invece, come diceva sempre il suo capo era perennemente in vacanza e quindi, weekend a parte, non si concedeva lunghe vacanze, inoltre lavorare nel mese di agosto aveva numerosi vantaggi: a parte l’assenza di traffico, anche al lavoro non c’era molta gente e quindi ci si poteva mettere in pari, pensare e anche rilassarsi.
7Lavorava per una società esperta in recuperi sottomarini, erano specializzati in recupero di imbarcazioni storiche, ma non disdegnavano nemmeno navi moderne e quindi Paul si trovava spesso a viaggiare per il mondo da un sito all’altro.
Accese il computer e controllò la posta elettronica e vi trovò alcuni messaggi di cui si prese immediatamente cura e che ultimò fin troppo presto.
“Eccellente, anche per oggi mi sono guadagnato lo stipendio”, pensò tra se e se in modo divertito.
Telefonò a Sten, il suo migliore amico, nonché proprietario di un Daemon 75’ uno yacht superlusso italiano, su cui aveva trascorso il weekend, poi fece un altro paio di telefonate di lavoro: uno dei fornitori lo preoccupava notevolmente, stava dando segnali di evidente ritardo, Paul cominciava a dubitare che fossero in grado di consegnare il materiale ordinato.
La mattina sembrava non finire: lui non trascorreva molto tempo in ufficio, ma quelle poche volte che c’era odiava il lavoro ‘da scrivania’, si sentiva soffocare, si sentiva come in gabbia.
Guardò fuori dalla finestra, il loro ufficio era a poca distanza dal Miami Seaquarium sulla Virginia Key, un posto paradisiaco con vista sull’oceano. Il loro lavoro lì era principalmente d’immagine: il pubblico si aspettava che dei cercatori di tesori, così venivano chiamati comunemente, fossero molto ricchi e, in effetti, Paul stava giocherellando con il suo fermacarte, una moneta d’oro del 1860 da venti dollari “doppia aquila”.
Rise di gusto, quella era solo una delle monete trovate in una recente missione, le altre erano state vendute per rientrare delle enormi spese per la ricerca e ritrovamento del battello a vapore SS Republic.
Pochi sapevano che prima di organizzare un’operazione di recupero in mare c’erano mesi e mesi di studio e ricerche in biblioteche e internet; poi si passava alla pianificazione della missione, con l’approntamento del mezzo navale e infine c’era la fase operativa. La sua compagnia disponeva di un vascello per ricerche oceanografiche dotato di due ROV, robot sottomarini che venivano impiegati per profondità rilevanti per recupero di piccoli oggetti e per sopralluoghi, essendo dotati di telecamere e bracci meccanici multiuso. Il tutto ovviamente aveva costi altissimi.
La sua scrivania era una collezione di trofei presi in tutte le missioni cui aveva partecipato: monete, vasellame, statuette e una gran quantità di foto.
Il suo capo, John Merryan lo stimava moltissimo, infatti, prima di ogni missione gli chiedeva di rivedere la pianificazione; Paul aveva un passato in marina come incursore, infatti, aveva cominciato a lavorare per John proprio come sommozzatore.
La squadra si componeva anche di Kate, laureata in storia e archeologia a Cambridge con un master in archeologia subacquea a Bournemouth sempre in Inghilterra, Phil, laureato in legge a Princeton e Rey che si occupava di coordinare le squadre per la preservazione degli oggetti che trovavano. Poi ovviamente c’erano gli operativi a bordo del mezzo e il personale di staff negli uffici. Ultimo c’era John Oppermann, il capo di tutti nonché fondatore e proprietario della Lost Treasures che aveva compiti manageriali, di intrattenere le relazioni con gli enti pubblici e di reperire fondi e nuovi lavori; un uomo eclettico di una cultura smisurata che citava eventi storici a memoria come se li avesse vissuti lui stesso in prima persona: per loro era affettuosamente “l’armatore”.

6La sua attenzione fu attratta dal monitor del suo computer perché era arrivata una nuova email: la lesse rapidamente e poi la rilesse con più calma.
Proveniva dal sito internet della società ed era re-indirizzato alla sua casella, dapprima pensò a un mitomane, ma poi nel rileggerla capì che non poteva trattarsi di un messaggio fasullo: dalla sua esperienza i mitomani pensavano sempre di aver trovato vecchi galeoni o navi più antiche, si firmavano sempre con dovizia di particolari e soprattutto s’informavano su come potevano avere visibilità.
Questa sembrava una nota informativa, era corredata da una foto satellitare ed era firmata solo con il nome proprio.
Paul la stampò, si alzò velocemente dalla sua postazione, e si diresse verso l’ufficio di John.
Ovviamente, l’ufficio del capo rifletteva l’enorme cultura e buon gusto del suo fondatore: la parete, entrando sulla destra, era adibita a biblioteca con testi anche antichi di storia che coprivano da terra al soffitto; sugli stessi scaffali c’erano anche oggetti tra i più diversi, dalle monete antiche a tavolette d’argilla con strane iscrizioni; gli altri due lati erano delle vetrate che davano sull’oceano mentre la parete con la porta era arredata con un’ala di un vecchio Messerschmitt Bf 109 tedesco della seconda guerra mondiale che aveva recuperato nel Mediterraneo negli anni ’50, circondata da fotografie di tutte le missioni svolte. Completavano l’arredamento un tappeto iraniano antico e due poltrone e due sofà in cuoio.
John era seduto dietro la sua scrivania di legno, fatta fare su misura e su disegno seguendo le vecchie scrivanie utilizzate a bordo dei galeoni spagnoli negli alloggi del comandante. Era al telefono con qualche vecchio amico della marina, provò a indovinare Paul dal tono della conversazione, e quindi si soffermò a rimirare l’ala dell’aereo che fin dal primo giorno dell’assunzione, ormai cinque anni prima, continuava ad affascinarlo.
Quando John terminò la sua conversazione Paul gli porse l’email e la stampata della foto satellitare, John le osservò entrambe, si soffermò sulla foto, poi fissò il suo sguardo in quello di Paul.
“Non sappiamo dov’è, non sappiamo cos’è e ho forti dubbi che la foto abbia un senso”
Paul sorrise, l’armatore non era un uomo semplice da convincere.
“John non ti sto dicendo di armare la Regina delle stelle e partire per chissà dove alla ricerca di chissà cosa, solo vorrei investigare un po’ più a fondo”
“Paul quello sguardo lo conosco bene, tu ti sei già innamorato di quest’idea e sei pericoloso perché farai di tutto per provare che è vera. Maledizione che probabilità ci sono che il figlio di puttana abbia avuto così culo da trovare qualcosa con Google Earth? Mi ricorda tanto quello che affermava di averci trovato Atlantide…”
Paul restò impassibile, quella di Atlantide scoperta con Google Earth era il cavallo di battaglia di John, sul fatto che non ci s’improvvisava in quel mestiere e che solo chi si muoveva su solide basi e con studi approfonditi aveva qualche chance di non fare una brutta fine sia letteralmente sia finanziariamente parlando.
“Sei tu che mi hai insegnato che in questo mestiere il marketing è tutto, pensa a quanta pubblicità gratuita avremmo se fosse vero, e poi voglio solo approfondire se questo tizio è un pazzo o il più fortunato dei figli di puttana con un computer e tanto tempo libero”
John sospirò “si vede che sto invecchiando. Fallo nel tuo tempo libero, se mi accorgo che uno degli altri progetti sta soffrendo per causa tua, puoi stare certo che ti userò come esca nella mia abituale battuta di pesca allo squalo! E ora togliti dai piedi che mi ribolle il sangue a pensare che ti sto autorizzando a perdere tempo con i miei soldi”
Paul sorrise, sapeva che i modi burberi del capo erano un suo modo di dimostrare affetto, ma sapeva anche che non bisognava tentare troppo la fortuna con il vecchio e quindi si girò per andarsene.
“Paul, parlando di cose serie, a che punto siamo con il sopralluogo per l’HMS Victory?”
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62 pensieri su “U-Boot

  1. E’ stupefacente. L’ho letto con moltissima attenzione e mi hai immersa nel mondo decadente della seconda guerra mondiale.
    Il mondo dove tutto crollava addosso e faceva male.
    Anche io avevo votato per un racconto sulla seconda guerra, con il sottomarino e il tempo moderno, ma mai potevo immaginare che prendesse, fin dal suo primo presentare, una piega così.
    Che bella domenica.

    Credo di sapere chi è quella persona, il generale dico.
    E’ tutto così naturale.
    Poi, come non riconoscere il tuo stile? Osservare gli eventi e tutto quello che ne consgue, sempre, in prima persona. E’ proprio una tua caratteristica.
    Mi sto appassionando. No, mi sono già appassionata. Mi fa questo effetto leggerti.
    da come è iniziato, è un nuovo romanzo. Sei bravissimo.
    Potrei leggerti senza che tu ti firmi e ti riconoscerei subito.
    Scommetto che, se non lo hai finito tutto, poco ci manca.

    🙂

    Ciao e buona domenica, grazie per avere raccolto la sfida …
    Chi ha vinto sei tu e … noi.

    Lilly

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    • lady Lilly Simoncelli

      Il mondo, visto dall’interno mia signora, inizia a diventar stretto soprattutto se l’oscuro protagonista si rende conto che il mondo da riformare, lo ha riformato.
      Tra le mani, molto spesso, milady mia signora, si stringe il nulla che frammisto col niente, rimane dopo aver cambiato il volto del mondo che ci circonda.

      Chissà come sarà lui domani
      cantava Lucio Dalla, nella canzone Futura.

      Noi. milady, non siamo in possesso del nostro destino, figurarsi a volerne creare per i posteri.
      Ogni decisione, in tal senso, diventa un’utopia, un tragico sogno che inizia ad assumere i contorni di un incubo.

      Grazie lady Lilly per esserci.
      Cordialità

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      • Hai ragione mio signore.
        Rimane nulla fra le mani quamdo ci troviamo a osservare quello … che ci dicono di osservare.
        E’ vero, non siamo in possesso del nostro destino. Ma io sono credente e tu no.

        Ti bacio milord…
        🙂

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  2. Molto bello come inizio.
    Come fai sempre hai inserito elementi reali alla storia.
    Che raccolta del guanto di sfida. Anch’io avevo votato per una storia in questi termini, ma parliamo di tre giorni fa e ci hai scodellato un capitolo bellissimo, avvincente che già ci ha preso.
    Lilly ha scritto bene: mi hai immersa nel mondo, ma soprattutto, nerll’aria della seconda guerra mondiale quando tutto sta per finire e la disfatta incombe.
    Il generale deve essere una persona veramente importante.
    Sai cosa?
    Mi hai presa tantissimo.
    Vuoi un croissant?

    faccio colazione. Buona domenica mon milord.
    Annelise pour toi

    Bisoussssssssssss

    a Paris

    🙂

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    • M.me Annelise Baum

      Ritenemmo, sempre … o quasi, che dei brani storiografici possano includere, nel proprio alveo, della storia vera.
      Giusto per dare sale e credibilità ad alcune storie che per la loro particolare peculiarità, non possono essere smentite se non dagli interessati.
      Cosa che si riconosce in questa.
      Proprio per la vetustà del racconto d’ambientazione, eventuali protagonisti, coinvolti, non ci potyranno mai smentire.
      Vi ringraziammo, madame, per l’intervento.

      Merci

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  3. Alla classe e allo stilòe non si comanda.
    Un inizio di storia avvincente, piena di interrogativi e di sfumature.
    Pensare che è nato tutto da una specie di scommessa: creare una storia dalle indicazioni fornite da altri.
    Una storia che inizia bene e con quale attenzione.
    Un’attenzione al particolare incredibile. Stando a quello che ho letto è un capitolo per un nuovo romanzo.
    Bravo proprio.
    Tre giorni fa votavo anch’io a favore, ma era più uno scherzo, una specie di sfida.
    Hai raccolto il guando e ce lo hai sbattuto in faccia. Una storia che presenta tutte le caratteristiche di un Thriller storico. E che racconto che si sta preparando …
    Te lo dico, così come è successo altre volte: me la sono stampata a colori e inserito nella raccolta dei tuoi romanzi.
    Sono venute otto pagine di capitolo compreso le foto.
    E tutto questo lascia ben sperare.
    Buona domenica milord.

    Ciao

    Isabella

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    • Lady Isabella Ozieri

      Vi ringraziammo per le gentili espressioni che ci riservaste.
      Una scommessa, già.
      Una bonaria prova imposta e ovviamente accettata.
      Il metterci alla prova ci dona e regala quei motivi per cui, la nostra umilissima vita, assume i sapore dell’immediatezza.
      La stampa, con ogni probabilità, regala quella presenza che soltanto un libro riesce a regalare con la sua presenza.
      Sì, aveste ragione, si tratta di un nuovo romanzo.
      Grazie per averci scritto con quella grande sensibilità di cui siete capace.

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  4. Caro dott. Raimondi.
    le confesso che mi sono sofermato sul suo sito, a quest’ora della domenica, giusto per leggere come lei avesse raccolto quel guanto della sfida che le era stato lanciato, bonariamente ma a furor di popolo, dai suoi lettori (che peraltro seguo nei loro rispettivi).
    Non immaginavo, sicuramente, un approccio così bello, istintivo e istantaneo.
    Ho letto l’inizio di una storia complessa e bella nella sua multiformità storica, proprio come l’ha confezionata.
    Per usare una frase d’uso comune, è partito in quarta e con che auto.
    Non le nascondo che è riuscito ad incuriosirmi e non poco, sulla storia che ha varato.

    Sono colpito proprio, ma non mi sono stupito: sapevo, intuivo, qualcosa circa le sue capacità indiscusse di romanziere.

    Le auguro buona domenica e complimenti per questo capitolo che, come incipit, lascia ben sperare

    Furio

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    • Preg.mo Sig. Furio

      Vi ringraziammo per l’immagine bella e romantica che ci accordaste.
      Le storie inventate, molto spesso, hanno una base di realtà che balugina all’orizzonte di chi scrive. Non vi nascondiamo che, grande fonte d’ispirazione, ci sovvenne da un uomo – di provatissima veridicità – che ci affidò buona parte delle proprie intuizioni in merito.
      Con molta umiltà, stiamo semplicemente resocontando quelloche furono i suoi dubbi.
      Vi garantimmo che, oggi, quell’uomo, avrebbe potuto aggiungere tutto quello che gli anni, dal suo racconto, ci fece dimenticare.

      Grazie

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  5. mamma cosa ne sta venendo fuori!
    Un romanzo con i controcazzi.
    Non credevo ai miei occhi quando mi sono messa a leggere.
    Bello proprio e soprattutto mi fai venire voglia di sapere come continua stà storia del generale che si mette le bende e se ne va.
    Diabolico avere intrecciato un altro romanzo nel romanzo: quella dei cercatori di tesori.
    A sfidare te nello scrivere, si perde sempre.
    Sei la mia luce milord.
    Buona domenica mio signore divino.

    🙂

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    • Lady Manuela Rovati

      Una storia che, volutamente complessa, ci avvinse fin dalle prime battute.
      (Stiamo correggendo l’ultimo capitolo, ormai).
      Ecco il mistero, sotto un cielo di ferro, dentro le lacrime del tempo e dell’orrore, l’uomo riesce ad avere ancora paura.
      Del prossimo e di se stesso.
      Brutta cosa queto Creato che regala dolore e morte, malattia e orrore in cambio di piccoli e sparuti momenti di dolcezza.
      Grazie per esserci, lady Manu.

      Abbiate il nostro saluto da estendere ai vostri cari.

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  6. Premesso che lo rileggo più tardi…
    Premesso che è un’introduzione ad una storia che sarà sviluppata in modo sublime…
    Premesso che i dettagli sono perfetti…
    Speravo di trovare anche in questo primo capitolo uno scorcio di sentimenti visto che in Garthlander e in Ecco Ninni, finalmente, avevano fatto capolino e si erano poi liberati.
    Ecco… avrebbe coinvolto nel lettore “meno tecnico” anche la parte emotiva che a me, sinceramente è mancata. Forse si è fatto travolgere dalla puntigliosità fantastica che possiede quando scrive i suoi reportage…
    Io avevo capito fosse un romanzo… forse è una saggistica (biografia) romanzata.
    Oppure è presto per dirlo. Vedrò alla prossima puntata. Per quanto riguarda i fatti, dopo rileggo e torno a commentare.
    Credo che qualche umanità dovesse trasparire da subito, a meno che questi protagonisti, per scelta, non ne possiedano affatto.
    Mio umile parere. Ciò che mi sarebbe piaciuto.
    A dopo.

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    • Lady Nadia

      Grazie, mia signora, siete sempre gentile e premurosa nel descrivere situazioni … e opere.
      I tecnicismi, considerato il periodo in esame, credemmo che dovessero essere obbligatori. Chi legge, molto spesso, non ha quell’approfondimento culturale per seguire l’assunto. Qualsasi esso sia.
      Ovviamente non è il vostro caso.

      Questo romanzo, offerto con entusiasmo, và in sottotraccia alla ricerca dei motivi e delle motivazioni che indussero, il genere umano a grandi sofferenze.
      Non necessariamente con la colpa tutta da una parte e la ragione dall’altra.
      Umanità: alcune volte è proprio difficile parlarne.
      Nel periodo preso in esame, ci sovvennero le immagini del ghetto di Varsavia, operato dalle truppe delle SS.
      Perdonateci mia signora, noi quell’umanità non la riscontrammo neanche a metterci di buzzo buono. Con tutta la buona volontà, nello studio approfondito del periodo, tutti i motivi e le motivazioni politiche e di fatto che una parte avesse potuto avere, con il ghetto di Varsavia e sua risoluzione, vennero a cadere.
      Una analisi storiografica potrebbe, anche, essere consona e giustificare un Partito Socialista Nazionale che, tutto sommato, risolse con la propria corrente politica, quegli abissi gravissimi ch la storia aveva riservato ad un popolo vessato e soprattutto pronto, per disperazione, al suicidio di massa.
      Le camere a gas e/o i forni crematori, o i vari “ghetto di Varsavia”, uccidono qualsiasi comprensione o analisi dal loro punto di vista.-
      Qualsiasi possa essere la predisposizione, sia pure ottima.

      Montagne di ossa e fosse comuni vennero rinvenute, dopo la “liberazione” (fu una vera liberazione o una vendicativa occupazione di parte?) presso i campi di concentramento (se fossero rimasti tali, considerato il periodo, sarebbero stato il minore dei mali. Il fatto è che, da campi di concentramento, divennero campi di sterminio … Attenzione: queste affermazioni vengono da noi asserite e propugnate in quanto sono presenti, molte, moltissime prove fotografiche sicure e certe. Il racconto del vincitore, fornito come dichiarazione spontanea, per noi ed esclusivamente per noi, ha valenza zero! Come, ad esempio, il Tribunale di Norimberga: noi mai lo riconoscemmo! Mai: venne creato all’americana inventandosi reati non presenti in nessun ordine giuridico, passo di Diritto o consuetudine, per il tempo. Ci siamo abbassati allo stesso livello dei presunti assassini )
      L’incredibilità del rinvenimento prese alla sprovvista, anche, il popolo tedesco (la quasi totalità almeno).
      E’ da dire che “il vincitore” vero e reale scrittore e affabulatore della storia, computa quegli avvenimenti a proprio piacere.
      Voi non potete immaginare quanto ci piacerebbe poter aprire una finestra “bascosta” per verificare qualche accadimento che ci convinse poco, anzi pochissimo, anzi proprio per nulla.
      Tutto quello che asseriamo, siatene certa, si basa sul corredo fotografico di periodo (dopo opportuna verifica) e non sui racconti che, per la loro gravità, dovrebbero avere un maggiore riscontro.

      Grazie mia signora e cordialità

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      • Aggiornammo, rettificando, un piccolo passaggio

        ………

        (se fossero rimasti tali, considerato il periodo – i campi di concentramento ndr-, sarebbero stato il minore dei mali. Il fatto è che, da campi di concentramento, divennero campi di sterminio … Attenzione: queste affermazioni vengono da noi asserite e propugnate in quanto sono presenti, molte, moltissime prove fotografiche sicure e certe. Il racconto del vincitore, fornito come dichiarazione spontanea, per noi ed esclusivamente per noi, ha valenza zero! Come, ad esempio, il Tribunale di Norimberga: noi mai lo riconoscemmo! Mai: venne creato all’americana inventandosi reati non presenti in nessun ordine giuridico, passo di Diritto o consuetudine, per il tempo. Ci siamo abbassati allo stesso livello dei presunti assassini )
        L’incredibilità del rinvenimento prese alla sprovvista, anche, il popolo tedesco (la quasi totalità almeno).

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  7. Cioè mi spiego: dopo un’operazione chirurgica dove i tratti del proprio volto sono stati contraffatti sebbene per un’operazione militare, dove ci si ritrova circondati di personaggi ugualu a noi stessi…beh un minimo di smarrimento dovrebbe assalirci… in un romanzo si intende… a meno che quell’uomo non sia di ghiaccio o non possieda un solo motivo per vivere davvero, o non provi alcun sentimento verso qualcuno.. e la stima per sé stesso.
    E’ tornata la maschera all’ennesima potenza.

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    • Lady Nadia

      Ecco che il vostro volto inizia ad illuminarsi:
      Probabilmente quell’uomo è di ghiaccio e probabilmente non prova più alcun sentimento verso qualcuno, nutrendo un’ampia considerazione per sé stesso. Non crediamo nella stima personale .. …
      Grazie per esserci

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  8. Letto e piaciuto. Sappiamo già che qualcosa ando’ storta al sottomarino, non sappiamo come e perché. Una buona e utile anticipazione, quindi, che crea i presupposti per il proseguo della lettura.
    Buona domenica.

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    • Lady Marirò

      Avete l’occhio lungo e una profonda sensibilità d’analisi, mia signora.
      Le vostre perplessità furono, anche, le nostre e se ce lo concedete, ci accomodammo al vostro fianco per poter osservare meglio l’evolversi della storia.
      Chissà …
      Grazie milady

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  9. Riletto. La storia è intrigante e i personaggi introdotti descritti benissimo. Vome sa ammiro il suo stile preciso e pulito. Il fatto che forme e colori si materializzino. Molto bello. Può darsi che gli uomini di tale portata siano privi o quasi di emozioni. Effettivamente ci sta.
    Speravo almeno nel tizio di Miami. Può darsi arrivino più avanti…
    Comunque la sua cultura traspare eccome come sempre.
    Buona giornata!

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  10. Ecco che arriva il mio Ninni, il nostro milord.
    Sento odore di bestseller.
    Un po’ come spesso sostieni, ovvero che le cose belle, quelle fortunate, quelle che ti rimangono dentro, non nascono a tavolino ma, molto spesso, saltano fuori da una prova, una scommessa sia con se stesso, sia con altri.
    Lo sapevo, conoscendoti, che svilupperai questa nuova storia con passione, competenza e umanità.
    Come è tuo costume.
    L’argomento è uno dei tuoi preferiti (quando si è votato per farti scrivere una nuova storia, a comando, sono stati scelti argomenti di cui sei proprio padrone).
    L’ucronia, che ci ha visto in prima linea in questi ultimi anni, ne è la protagonista.
    E se … la Gemania nazista avesse vinto la seconda guerra mondiale?
    E se l’Impero del Sole levante, dello specchio, della spada e della gemma (visto che ti ho dato retta? Ti ho scritto l’esatta formula dell’Impero del Giappone o Mikado, o trono del Crisantemo) avesse occupato gli Stati Uniti d’America?
    Se non fosse stato inventato il motore a scoppio?
    Se avessimo avuto un incotro ravvicinato con esseri alieni, ma comunque umani (e non è detto che avverrà o possa avvenire) fin dai tempi di Cristo?

    Ah, le tue ucronie!
    Nate per gioco, ma che riflettono tante verità, analisi antropologiche e umanità.
    Il “generale” che sta fuggendo, credo (ma ormai penso che lo abbiano capito e compreso un po’ tutti) è (fortunatamente nella finzione del racconto/romanzo) senza umanità se non per le cose che gli interessano profondamente e dalle quali è attratto.
    Senza amore o sentimento; freddo, isolato e calcolatore.

    Hai messo in lavorazione (anch’io sono convinta che l’hai terminata o la stai terminando) un’opera notevole per precisione storica e stile.
    Questo l’ho sempre sostenuto, sei imbattibile .
    Inutile dirti che ti seguirò.
    Inutile dirti che sono proprio questi i romanzi che mi piacciono.
    Inutile dirti che …

    Buona domenica … milord!

    L.

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    • Mein dame Hilde Strauß

      Odore di bestseller, addirittura. Vi demmo ragione su un fatto, però: le cose belle nascono spontanee. Il tavolino e la calma dell’ideazione, nelle vicende umane, non funziona.
      la passione, ecco.
      Quella la mettemmo in qualsiasi cosa. Da quelle importanti a quelle semplici e molto spesso pagammo a caro prezzo questa nostra disposizione ad amare con trasporto, tutto ammettendo e senza riserve.

      Grazie per aver ricordato la nostra naturale predisposizione: l’Ucronia.
      E se oggi noi non avessimo potuto rispondere? Se fossimo morti, chiudendo il nostro capitolo terreno? Di cosa avreste parlato mia signora?
      Oppure, queste righe sarebbero rimaste incise in queste pagine di pixel? Per quanto tempo?

      Il “generale” sta fuggendo. Con quell’aridità cardiaca che sta dimostrando, ha plagiato tutti quelli che lo circondano e affidandosi all’altrui cecità, rimugina una fuga.
      Un mondo in declino un mondo il cui baratro fa intravvedere un abisso oscuro e profondo.

      Cosa avverrà?

      … E se Dio non avesse creato? …

      Vielen dank, meine Dame, für ihre freundlichkeit für mich reserviert.
      Ein hauch von menschlicher wärme, die uns im herzen durchdringt , und einen speicher und eine liebkosung, die auf den lippen zu dir kommen.
      Ein kuss.
      Auf wiedersehen

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    • Churchill è stato un grande uomo di governo, ma a comunicazione era, proprio, zero!
      Pensa che durante la guerra boera, era ufficiale dell’esercito e sapeva cosa i suoi commilitoni stessero facendo (orrori, stermini studiati a tavolino; veri e propri crimini contro i Boeri indiscriminatamente sia verso donne e bambini, sia nella deportazione sistematica dentro i primi campi di concentramento e loro eliminazione) e lo disse scherzando al suo attendente che andò a riferire tutto al comandante.
      Nelle sue memorie scrisse che era sua intenzione minimizzare per informare con eleganza.
      Ottenne l’effetto contrario: nessuno lo prese sul serio e se ne fregarono cordialmente
      E continuarno a fare le belve come avevano sempre fatto …

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  11. Io l’avevo detto: ragazzi non provocate il Milord che ci fa neri!
    E scrivilo senza mani;
    lo vogliamo sulla seconda guerra mondiale;
    si, ma dopo il 1943,
    sì, ma ci deve essere il sottomarino,
    sì, ma deve riguardare anche l’era moderna.
    sì ma ….
    sembra che le difficoltà con ti creino …. difficoltà, appunto.
    Anzi.

    Caro Ninni, che ti devo dire? Hai scritto, fino adesso e continuerai a scrivere un Capolavoro. Ho letto, dall’inizio, l’impegno che stai profondendo nello scrivere, come sempre del resto.
    Me le ricordo le tue frasi:
    Se devi scrivere fallo e fallo bene, altrimenti non iniziare nemmeno.
    Se non vuoi scrivere fai l’idraulico: avrai più soddisfazioni, soldi e … casalinghe da andare a trovare.
    🙂

    Come ha sostenuto l’amica “Hilde”. Hai iniziato con un’Ucronia: e se “quella tal cosa” fosse andata in quell’altra maniera?
    Devo dire che ci stai riuscendo.
    Man mano che leggevo, sia la struttura del “romanzo” (smentita please ….?), sia le due storie imbastite e che sicuramente convergeranno nell’unica strada che tu traccerai, mi hanno fatto percepire che si tratta di un romanzo, con intreccio che coinvolgerà, anche, il contemporaneo e che riguarderà le molte credenze abitudinarie.
    Quelle credenze abitudinarie per le quali abbiamo riso un milione di volte.
    Tipo (questa, però, quando ne parlammo mi lasciò basito perché è come se mi avessi aperto gli occhi, altro che credenza…):
    Se il Duce, invece, fosse riuscito a fuggire?
    L’uomo “appeso” (che vergogna per l’Italia e per gli Italiani) era irriconoscibile; non fu possibile misurarne l’altezza, ne stabilirne l’esatta età. Era robusto con i pantaloni da “Caporale d’Onore della Milizia” – mentre in quei giorni aveva l’uniforme da Maresciallo della Repubblica Sociale italiana-. Che, appunto, l’uomo appeso a Piazzale loreto era corpulento, mentre il Duce aveva perso venticinque Kg. Ecc. ecc.
    Poi scopersi che avevi ragione: sono settant’anni, infatti, che sette potenze straniere stanno studiando proprio questo assieme a quell’improbabilissimo teschio che, insieme, abbiamo visto a Mosca e presuntivamente appartenuto a Adolf Hitler.
    E’ mio convincimento che Zukov, in quella situazione, abbia preso un granchio grosso così.

    Bello bello.
    Ti auguro buona domenica anche se, qui a Milano oggi sembra ci sia la peste gialla.
    Tutti zitti e tutti con gli occhi bassi.
    Ciao

    Vale

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    • Lord Valerio Ben

      Vi ringraziammo per le espressioni generose e gentilissime. Espressioni, per alcuni versi, adulatrici.
      Ci ricordaste molter cose, milord, con questo vostro apporto. Le Ucronie sul Duce.
      Vi ricordaste delle nostre frasi appunto? Sapete che tali dubbi furono condivisi, con noi, dsa moltissimi colleghi e amici?
      nessuno ci pensò (o non ne permisero ilm pensiero) anche se, in realtà, non sin tratta di Ucronie, ma di dubbi profondi che potrebbero stravolgere la storia.
      E potrebbe essere stravolta sul serio, sapete?
      Grazie milord, abbiatene le nostre pià sentite cordialità.

      PS: Mosca e l’arroganza, tutta sovietca, di aver risolto i mali dell storia e dell’Umanità con l’evidenza contadina dove, tutto il resto non ha senso.
      Vi ricordaste il particolare di quel frammento.
      Fosse soltanto quello …

      Grazie

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  12. Questo è un capitolo in piena regola, di un romanzo in piena regola e che mi ha rapito la testa in piena regola.
    La leggerezza delle parole e delle frasi si mischiano con la bellezza del racconto.
    C’é una poesia tutta umana.
    La poesia dell’uomo teso e in trappola che scende a compromesso, chiudendo, così, l’ultimo respiro di dignità che aveva, se mai ne ha avuto uno.
    Mio signore, quest’oggi te lo dedico.
    Primo perché sono riuscita ad alzarmi dal letto (ormai è difficile che ciò possa avvenire).
    Secondo perché, durante le mie notti insonni e piena dei dolori che questa febbre mi procura, ti leggevo, mentre al buio mio marito stanco e con la schiena spaccata dal lavoro, dormiva, ti ho letto e le tue parole mi sono state di conforto, sostegno e compagnia.
    Mi hai raccontato il mondo, quel mondo che non riesco a vedere se non dalla finestra. Una finestra buia, dentro un cortile buio, di una stanza buia.
    La luce mi arrivava, dai tuoi romanzi, dai tuoi racconti, sempre belli e sempre dolci, in alcuni momenti, ha illuminato i miei pomeriggi interminabili.
    Grazie milord.
    Grazie di cuore
    Ti voglio bene e per tutto questo ti sono grata e riconoscente

    Buona giornata

    Elena

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    • Elena Simonin

      Amica mia non trovo le parole giuste.
      Un forte sentimento empatico ci pervase, facendoci venire, alla mente, questi versi che vi dedico:

      Alla luna
      O graziosa luna, io mi rammento
      che, or volge l’anno, sovra questo colle
      io venia pien d’angonscia a rimirarti:
      e tu pendevi allor su quella selva
      siccome or fai, che tutta la rischiari.
      Ma nebuloso e tremulo del pianto
      che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
      il tuo volto apparia, che travagliosa
      era mia vita: ed è, né cangia stile,
      o mia diletta luna. E pur mi giova
      la ricordanza, e il noverar l’ etate
      del mio dolore. Oh come grato occorre
      nel tempo giovanil, quando ancor lungo
      la speme e breve ha la memoria il corso,
      il rimembrar delle passate cose,
      ancor che triste, e che l’affano duri!

      (Giacomo Leopardi).

      Credeteci, mia signora, non trovammo, per una nostra limitazione, le parole giuste per rispondervi.
      Abbiate una semplicissima carezza sul vostro volto splendido e un grande in bocca al lupo per tutto.
      Cordialità

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  13. Molto bello mio signore.
    Una bellezza che soltanto la disperazione degli eventi dentro una cornice disperata possono dipingere.
    L’uomo, questa bestia che parla, dai miti di grandezza si riduce a diventare l’avvolgitore di una benda pur di salvare la propria vita, sempre a discapito di qualcuno.

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    • Lady Silvia

      Avete detto bene, mia signora, che tristezza l’uomo.
      Riesce a cadere nelle più oscure fosse, partendo dalle intenzioni più alte. Si riuduce ad essere un verme tra vermi.
      Una pena infinita milady.

      Grazie per esserci

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  14. Mi sono letta tutto. E con attenzione e me lo sono stampato anch’io. Sono colpita da quello che ho letto e che mi è sembrato di capire.
    Una storia dai risvolti inquietanti.
    A parte che è una storia bellissima che mi ha presa subito (e come poteva essere diversamente).
    Poi è scritto in un modo veramente credibile; un modo bello e che mi hai trasportartata dentro il Bunker della Cancelleria di Hitler.

    Mi emozioni quando scrivi. Riesci a trasportarmi oltre e a pensare come te.
    Mi sento un tutt’uno…con la storia.
    Questa è genialità e bravura.
    Mi piace molto e meno male che abbiamo indicato quello che dovevi scrivere…
    Mi riprometto di farlo sempre, mio signore.

    PS: ho scoperto mio padre che ti stava leggendo.
    eh eh eh eheheh ehehe

    🙂

    Ti mando un abbraccio milord mio signore.
    Mi attardo un altro po’

    Eleonora

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  15. Caro Lord Ninni, permettimi che ti ponga una domanda: perché non hai ancora deciso di pubblicare tutti i racconti che, nel corso degli anni, hai qui pubblicato? Ma non solo i racconti, anche i romanzi a puntate. A mio avviso, è un vero peccato che i tuoi scritti rimangano a disposizione del solo pubblico webbico.

    C’è in questo racconto una forte tensione, una avventura su basi storiche che non ti fa affatto sfigurare di fronte a un Clive Cussler. Caro Amico, tu hai iniziato a scrivere e continui a scrivere e sempre molto bene. E allora, perché non pubblicare? Non c’è peggior peccato di quello d’aver un innato talento e non portarlo a un più vasto pubblico, caro Amico. Spero che dicendo questo, non te ne abbia tu a male.

    Grazie per le tante belle emozioni che, a ritmo serrato, continui a produrre attraverso una più che eccellente arte scrittoria.

    Con l’augurio di una buona serata, caro Lord, a presto, sempre felice di leggerti.

    beppe

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    • Amico mio,

      sei sempre gentile e molto generoso nei miei confronti.
      Ho pubblicato eccome, anche e soprattutto all’estero. Che vuoi mai, il solco è ben tracciato e la mia idea è molto chiara: scrivo per tutti e gratuitamente.
      Il cartaceo era la classica meta per i lavori in “illo tempore”: beh, caro Beppe, ho sorpassato anche quella (e parliamo di moltissimi anni fa).

      Da quanto, ormai, ci conosciamo?
      Dieci, dodici anni? (Era il 2006? 2004?)
      Ricordi, in una delle mie tournée quando venni a Torino e ti contattai?
      Ero a’ La Stampa e ci rimasi per due settimane (una delle 23 volte bisettimanali) e provai a contattarti per vederci e trascorrere, nella migliore passione per la letteratura e lo spirito giornalistico, un po’ di tempo? Ricordi? beh, non vorrei scavare sui brutti ricordi, ma ti isolasti per tuoi gravissimi problemi familiari (… omissis …).
      Mi dispiacque molto.
      Poi il tempo risolve tutto e ci perdemmo di vista.
      Da allora quanta acqua è passata sotto i ponti?
      Il cambio della Direzione a’ la Stampa, sette o otto viaggi all’estero, cinque o sei fatti di rilievo, ecc.

      Un anno qui, uno là, un altro in Corea del nord, uno in Afghanistan, un anno a Gaza, nello Yemen, in Siria e via dicendo…
      Perché schiavizzarmi ulteriormente ed entrare nel circolo vizioso del “libro” a tutti i costi? (L’Editore che ti ricorda i temini di produzione, sia semestrale, sia su base annuale ecc. ecc.)
      Comprenderai, amico mio, come la scrittura per animali da penna come noi, sia un atto liberatorio; un esercizio per confermare di essere vivi, o almeno, di essere ancora vivi.
      Non mi piace Facebook (mi rifiuto, categoricamente, di avvicinarmici) e preferisco quelle quotidianità a brevissimo, medio e lunghissimo raggio che, amico mio, conosci perfettamente.

      Fare il “decisore” ti prende per venti ore al giorno, dove nelle rimanenti quattro (ancora, mi dicono fonti non confermate, che una giornata è composta da ventiquattro ore) provo a dormire.
      Le consulenze, le partecipazioni, i convegni, le conferenze, le tavole rotonde.
      E’ proprio vero (e queste erano le parole di uno dei miei migliori maestri, che parafrasava la formula d’ingresso nell’Ordine Templare):

      Tu che hai scelto di soffrir scrivendo, sappi che difficilmente sarai padrone di te stesso e nel momento che alzerai lo sguardo sorridendo, sappi che sarai lo schiavo d’altri.

      Poi le correzioni, il fondo, la critica, il desk che mi fa impazzire; l’amministrazione, le Messaggerie nazionali (ma perché soffrire, anche, per le Messaggerie e la distribuzione? Non bastavano i colleghi?)
      Poi le strade si allargano e ci si “specializza” e da quel momento, la schiavitù, diventa la norma.
      La settimana corta, quella lunga, la settimana solidale, quella completa.
      Le partenze, l’assicurazione sulla vita che non ti fanno perché il posto è a rischio paese, e compagnia cantante.
      Insomma, amico mio, di cosa stiamo parlando?
      Rimane la letteratura, la scrittura che, per me, è un passatempo abbastanza importante.
      Mi rilassa e ritempra.
      So che mi comprendi.

      Chiudo rispondendo alla tua legittimissima domanda: … perché non hai ancora deciso di pubblicare tutti i racconti che, nel corso degli anni, hai qui pubblicato? …
      Beh, amico mio, per scelta li rendo raggiungibili in tutto il pianeta e va bene così.
      Perché rinchiuderli nel ristretto recinto della carta?
      Questi racconti, romanzi e tante altre cosette, sono i miei figli prediletti e accendendo un PC, parlano, ti parlano immediatamente e soprattutto, gratuitamente.
      Esco dalla logica del foglio di carta per entrare in quella della globalità dell’informazione.
      Io annego nella carta stampata, un po’ come te nei pixel e nel giornalismo on line.
      Quando scrivo un racconto o un romanzo, o una sciocchezza che mi passa per la testa e la pubblico qui (o in altra parte) mi piace perché mi ritempra e rilassa senza secondi fini.
      E’ tua, è mia, e di tutti.
      E’ un pezzo di me, che ti /vi parla … prima che muoia o mi accoppino.

      Il tuo libro (e conosco il tuo modo di scrivere: secco, asciutto e pulito), l’ultimo intendo, nasce con la luce migliore: Bukowski.
      Ho già avvisato che appena in grado me ne facciano avere una copia e come per altre tue pubblicazioni ti sezionerò vivo!
      Caro Beppe, vedrai, con la tua fama ci sarà una pioggia di consensi.
      Nel ringraziarti come sempre, ti abbraccio

      Ninni

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