L’Antica Dama: I Diari II

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1Ero ancora abbastanza bambina da considerare il chiamar qualcuno col nome di battesimo qualcosa come una affermazione, una vittoria; benché fin da principio egli avesse chiamato me per nome. Quella mattina, malgrado i suoi istanti d’ombra, aveva segnato un grande passo avanti nella nostra amicizia. Non ero poi una cosina da poco come m’ero figurata. Egli mi aveva anche baciata, ed era stato, quello, un gesto naturale, tranquillo e che m’aveva rinfrancata. Nulla di drammatico come nei romanzi. Nulla d’imbarazzante. Dava, ai nostri rapporti, un calore nuovo, e rendeva tutto più semplice. Era un ponte gettato sulla voragine. Lo avrei chiamato Antoine.
E quel pomeriggio, la partita a carte con la signora Haricot fu meno tediosa di quanto avrei creduto. Tuttavia il coraggio mi venne quando ella, raccogliendo le carte alla fine della partita, e allungando la mano per prendere la scatola, come a caso disse: “E … dite un po’, Antoine de Raymond è ancora in albergo?”.
Come un nuotatore sul punto di tuffarsi, esitai un attimo, poi smarrii tutto il mio coraggio, tutta quella padronanza di nuovo acquisto, e non dissi nulla di ciò che era accaduto al mattino.
“Sì, credo di sì” mi limitai a rispondere. “Pranza ancora al ristorante.”
Qualcuno glie l’avrà detto, pensavo, qualcuno ci avrà veduti insieme, l’allenatore si sarà lamentato, il direttore dell’albergo le avrà mandato un biglietto… E m’aspettavo un fiero attacco. Invece ella seguitò a riporre le carte, con un piccolo sbadiglio, mentre io rassettavo il letto in disordine. Le porsi quindi la scatola della cipria, lo scatolino del rossetto, e il rosso per le labbra.
“Un simpatico individuo” ella diceva, mentre dal comodino prendeva lo specchio a mano “ma un carattere bislacco, direi, difficile a conoscersi. Avrei creduto che si fosse deciso a un invito a Milordia, quel giorno nella galleria, e invece se n’è guardato bene.”
Non replicai nulla. La guardavo tracciare un arco di rosso sulla bocca imperiosa.
“Non l’ho mai veduta, lei” riprese allontanando lo specchio per studiare l’effetto “ma credo fosse molto bella. Una donna squisita, e brillante in tutto e per tutto. Davano delle feste spettacolose, a Milordia. È stata poi una cosa tragica, improvvisa; credo che lui l’adorasse. Con questo rosso così vivo ho bisogno della cipria più scura, volete andarmela a prendere, cara, e rimettere questa scatola nel cassetto?”
Così avemmo il nostro da fare con ciprie, rossetti e profumi, fino a che il campanello cominciò a sonare e arrivarono le visite. Macchinalmente, parlando pochissimo io porgevo da bere, cambiavo i dischi sul grammofono, vuotavo i posaceneri.
“E la nostra signorina ha fatto di nuovo qualche bel disegno in questi ultimi tempi?”

2La sforzata cordialità di un vecchio banchiere dal monocolo ballonzolante a un cordone nero, e il mio sorriso radioso e falso: “No, non ho più concluso nulla da un po’ di tempo in qua. Un’altra sigaretta?”.
Non ero io che rispondevo; non ero lì in quella stanza. Seguivo nella mia mente un fantasma, i cui vaghi contorni avevano preso forma, finalmente. I suoi lineamenti erano confusi, i colori indecisi, il taglio degli occhi, la qualità dei capelli erano cose tuttora incerte, non ancora rivelate. Ma il fantasma aveva quella beltà che dura, e un sorriso indimenticabile, La sua voce, il ricordo delle parole proferite da quella bocca ancora aleggiavano nell’aria. Cerano luoghi ove era stata, oggetti che aveva toccato. Qualche armadio serbava forse le vesti che aveva indossato, ancora impregnate del suo profumo. Nella mia camera, sotto il mio guanciale, c’era un libro che aveva tenuto fra le sue mani, e io la vedevo sfogliarlo, e poi fermarsi a quel frontespizio bianco, sorridendo nello scrivere, e scotendo la penna. “Ad Antoine – Jacqueline.” Forse era il compleanno di lui, ed ella aveva messo il libro fra gli altri doni, sulla tavola preparata per la colazione del mattino. E avevano riso insieme, mentre egli slegava il pacco, strappando la carta. Forse s’era appoggiata alla sua spalla, intanto che egli leggeva.
Antoine.
Ella lo chiamava Antoine. Era familiare, gaio, facile a pronunciarsi.
I parenti potevano ben chiamarlo Antoine, se preferivano. Nonne e zie. E persone come me, quiete e poco appariscenti e giovanili, che tenevano poco posto.
Antoine l’aveva scelto lei, era una parola di sua proprietà, e con tanta sicumera l’aveva scritto sul frontespizio di quel libro. Quei caratteri audaci, tutti di sghembo, che bucavano la carta bianca; simbolo del suo io, così sicuro di sé, così ardito. Quante volte doveva avergli scritto così, in quanti diversi stati d’animo …
Bigliettini, scarabocchiati su mezzi fogli, e lettere, quando egli era lontano, pagine e pagine, intime, piene delle loro cose… E la voce di lei risonava per la casa, e per tutto il giardino, disinvolta e familiare come la calligrafia della dedica.
E io dovevo chiamarlo Antoine.

3Bagagli da fare.
Le logoranti piccole noie della partenza. Chiavi perdute, etichette da scrivere, carta velina sparsa per tutta la stanza. Come odio tutto ciò! Anche ora, quando tanto mi tocca veder queste cose; ora che vivo, come si dice, in mezzo alle valige, ora che chiuder cassetti o aprir per la prima volta un armadio d’albergo, o gli impersonali ripostigli di una villa ammobiliata, son diventate cose meccaniche e abituali … Sì, anche ora mi assale una malinconia che è come l’impressione di aver perduto qualcosa. Qui, mi dico, qui abbiamo vissuto, siamo stati felici; tutto questo, sia pur per breve tempo, è stato nostro. Se anche due notti sole abbiamo trascorso sotto un tetto, ci lasciamo dietro qualcosa di noi. Nulla di materiale, non la forcina sull’acconciatoio o il tubetto vuoto di aspirina, non il fazzoletto sotto un guanciale, ma qualcosa d’indefinito, un momento della nostra vita, un pensiero, uno stato d’animo. Questa casa ci ha accolto, tra le sue mura abbiamo parlato, amato. Ciò era ieri. Oggi noi ce ne andiamo, non la vedremo più; e noi non siamo più gli stessi, per imperscrutabili vie siamo mutati. Mai più torneremo a essere gli stessi. Anche se mi fermo per pranzare in un’osteria lungo la strada, ed entro a lavarmi le mani in una stanzuccia buia e sconosciuta, se tocco una maniglia che mi è ignota, se vedo la tappezzeria che casca a pezzi dalla parete, se mi guardo in un ridicolo specchio screpolato sopra al lavabo: tutto ciò, per un momento almeno, è mio, mi appartiene. Ci conosciamo. È il presente. Non c’è passato e non c’è avvenire. Io sono qui, mi risciacquo le mani, e lo specchio incrinato mi rivela a me stessa, sospesa, per così dire, nel tempo: questa sono io, questo momento non passerà. E poi apro la porta, ed entro nella sala da pranzo, dove egli mi aspetta seduto davanti a una tavola, e io penso che in quei momenti sono invecchiata, e ho camminato avanti, fosse pur di un sol passo, verso un destino ignoto. Ci sorridiamo, scegliamo le vivande, discorriamo del più e del meno, ma – così dico a me stessa – io non son più quell’io che lo aveva lasciato cinque minuti fa. Quella donna è rimasta addietro. Io sono un’altra, più vecchia, più matura.
6Ho letto l’altro giorno che l’Hotel Còte d’Azur a Monte Carlo era “passato a una nuova direzione”, e aveva cambiato nome. Le stanze sono state rimesse a nuovo, e tutto l’impianto è stato rinnovato. Forse l’appartamento della signora Haricot al primo piano non esiste più. Forse di quella cameretta che fu mia non c’è più traccia. Quel giorno che, inginocchiata sul pavimento, mi davo da fare intorno alla serratura di un baule che non riusciva a scattare, sapevo che non sarei mai più tornata.
L’episodio era finito, con lo scatto della serratura. Guardai fuori della finestra, e mi parve di voltare la pagina di un album di fotografie. Quei tetti, quel mare non erano più miei. Appartenevano a ieri, al passato. Le stanze, prive delle nostre cose, avevano un’aria deserta; parevano affamate, come se fossero impazienti di vederci partire, per ingoiare nuovi ospiti che domani avrebbero preso il nostro posto. Fuori in corridoio c’erano già i pesanti bauli, chiusi e legati con le cinghie. Il bagaglio piccolo era ancora da chiudere. I cestini della carta gemevano sotto l’ingombro della roba gettata via: bottiglie di medicine a mezzo vuote, vasetti di cosmetici, lettere e conti strappati.
I cassetti sbadigliavano semiaperti, lo scrittoio appariva nudo.
La mattina innanzi, mentre a colazione le versavo il caffè, la signora Haricot mi aveva buttato una lettera.
“Elena s’imbarca sabato per Nuova York” disse. “Nancy, la piccola, minaccia un’appendicite. Le hanno mandato un cablogramma, consigliandole di tornare a casa. E così mi sono decisa… partiamo anche noi. Sono stufa dell’Europa, del resto, e potremo sempre ritornare in autunno. Non vi sorride l’idea di vedere Nuova York?”
L’idea mi parve peggiore d’una prigione. Un po’ della mia infelicità dovette leggermisi in viso, poiché ella apparve prima stupita, poi seccata.
“Che strana bambina siete mai. Non date nessuna soddisfazione. Non vi capisco. Ma non sapete che in America una ragazza della vostra posizione può divertirsi un mondo, anche se non ha mezzi? Troverete giovanotti e distrazioni fin che ne vorrete. Potrete farvi il vostro piccolo gruppo di amici e non ci sarà bisogno che siate sempre a mia disposizione come qui. Credevo non ve ne importasse nulla di Monte Carlo!”
“Ormai mi ci ero abituata” risposi, mogia. Ero piena d’angoscia; avevo l’anima in tempesta.
“Ebbene, vuol dire che dovrete abituarvi a Nuova York, ecco tutto. Vedremo di prendere lo stesso piroscafo di Elena; questo significa che bisogna cambiar subito i nostri biglietti. Scendete giù in ufficio e dite a quel giovane impiegato che mostri un po’ di comprendonio. Oh, la giornata sarà così piena che non avrete tempo di sentire il dispiacere della partenza!”

4Con una risatina maligna schiacciò la sigaretta nel piattino del burro e se ne andò al telefono, per confabulare con tutti i suoi amici.
Non ebbi il coraggio di scender subito in ufficio. Andai in camera da bagno, chiusi la porta a chiave e sedetti sul tappeto di sughero, la testa fra le mani. Era arrivata finalmente, quella partenza. Tutto finito. L’indomani sera sarei stata in treno, reggendo la valigetta dei gioielli e la coperta da viaggio della signora Haricot, come una cameriera; e lei, con quell’orribile cappello nuovo dalla piuma gigantesca, infagottata nel mantello di pelliccia che la rimpiccioliva, seduta là in faccia a me, nella vettura-letto. Ci saremmo lavata la faccia e le mani e risciacquati i denti in quello stanzino afoso dalla porta eternamente cigolante, con l’acqua che ballava entro il catino, gli asciugamani umidi, il sapone con un capello appiccicato sopra, la caraffa piena sino a metà, l’inevitabile scritto sulla parete “Sous le lavabo se trouve un vase”; e ogni sobbalzo, ogni rintronar del treno urlante sulle rotaie mi avrebbe detto che ogni miglio mi portava lontano da lui, che era seduto solo nel ristorante dell’albergo, indifferente, senza pensieri.
Forse lo avrei salutato ancora nella galleria, prima di partire.
Un addio furtivo, rubato, per via della signora Haricot; ci sarebbe stata una pausa, e un sorriso, e parole come “Sì, scriverete, naturalmente” e “Non vi ho mai detto veramente grazie per la vostra gentilezza” e “Dovrete mandarmi quelle fotografie” e “E il vostro indirizzo?” e “Oh, ve lo manderò”. Ed egli avrebbe acceso una sigaretta, così a caso, chiedendo magari un fiammifero a un cameriere che passava, mentre io avrei pensato: “Ancora quattro minuti e mezzo. Non lo vedrò mai più”.
Perché partivo, perché tutto era finito, non avremmo più avuto nulla da dirci, e ci saremmo trovati stranieri, due esseri che s’incontrano per un’ultima e unica volta, mentre il mio cuore piangendo dolorosamente gridava: “Vi amo tanto. Sono terribilmente infelice. Mai avevo vissuto giorni come questi, e mai più li ritroverò”.
Ma avrei irrigidito il volto in un sorriso affettato e convenzionale, mentre la mia voce avrebbe detto: “Guardate come è buffo quel vecchio signore; chi sarà? dev’essere nuovo…” e avremmo così sciupato gli ultimi istanti ridendo di un estraneo, perché già eravamo noi stessi estranei. “Spero che quelle fotografie riusciranno bene” ripete la voce esasperata; e “Sì, quella sulla piazza dovrebbe essere buona, la luce era proprio giusta”.
E che m’importava anche se la fotografia era nera e sfocata? Quello era l’ultimo momento, il momento dell’addio. “Dunque” e quel mio sorriso mi contraeva la bocca “grazie infinite ancora una volta, quelle nostre gite erano veramente fantastiche…”

1Parole ch’io non avevo mai usato. Fantastico: che cosa voleva dire? Dio solo lo sapeva, a me non importava. Espressioni come ne usano le ragazzine per una partita di calcio, ma disperatamente inadeguate a quelle settimane d’infelicità e di gioia. E poi, il cancello dell’ascensore si sarebbe schiuso sulla signora Haricot e io le sarei andata incontro, mentre egli si sarebbe tranquillamente diretto verso un angolo della galleria per prendere un giornale. Dovevo fare una figura alquanto ridicola, seduta lì sul tappeto di sughero in camera da bagno. E rivivevo tutto ciò; e vivevo anche il nostro viaggio e l’arrivo a Nuova York. La voce stridula di Elena, edizione in piccolo della madre; e Nancy, un’orribile bambinetta maleducata. E i giovanotti che la signora Haricot mi avrebbe presentato, i giovani impiegati di banca, adatti alla mia posizione sociale. “Combiniamo qualche cosa per mercoledì sera…”. “Vi piace il jazz?” Ragazzi dalla faccia lucida, col naso rincagnato. E bisognava mostrarsi gentili. E io non desideravo che di esser sola coi miei pensieri, come ora, chiusa in camera da bagno…
Venne la signora Haricot e scosse la maniglia.
“Che cosa fate lì?”
“Subito, scusatemi, vengo subito.”
E facevo finta di aprire il rubinetto, di ripiegare un asciugamano sulla sbarra, di affaccendarmi… Ma non appena ebbi aperto la porta ella mi guardò in un certo modo.
“Siete stata là dentro un’eternità. Questa non è mica una mattinata da sognare a occhi aperti, sapete, c’è troppo da fare.”
7E lui sarebbe tornato a Milordia, fra poche settimane; ne ero certa. Nel vestibolo ci sarebbe stato un mucchio di lettere per lui, e fra le altre anche la mia, scribacchiata sul piroscafo. Una lettera artificiosa, che si sarebbe sforzata di apparir frizzante, con la descrizione dei compagni di viaggio. E sarebbe poi rimasta entro la. cartella da scrivere, ed egli vi avrebbe risposto parecchie settimane dopo, un mattino di domenica, in fretta e in furia, essendogli capitata tra le mani nel liquidar certi conti. E poi, più niente. Una veduta di Milordia. Con la scritta stampata: “Antoine Marie Maurice de Raymond augura un buon Natale e un felice Anno Nuovo”. A caratteri d’oro. Ma tanto per non esser scortese egli avrebbe cancellato con un tratto di penna il nome stampato, scrivendo un “Antoine” in fondo al cartoncino; e, se fosse rimasto spazio, forse una frase: “Spero vi divertiate a Nuova York”. Appiccicato il francobollo, chiusa la busta, e via nel mucchio, assieme a dozzine d’altre simili.
“Peccato che partiate domattina” diceva l’impiegato al banco, l’apparecchio telefonico nella sinistra. “I Balletti cominciano la settimana ventura. La signora Haricot lo sa?”
Dal Natale a Milordia, penosamente mi riportai alle realtà della vettura-letto. La signora Haricot faceva colazione al ristorante per la prima volta dopo la sua influenza; e io frenavo un dolore alla bocca dello stomaco, entrando dietro di lei nella sala. Lui era andato a Cannes, a passare la giornata, e lo sapevo poiché me lo aveva detto il giorno avanti; ma non potevo togliermi dalla testa che il cameriere avrebbe commesso una indiscrezione, uscendo a dire: “Mademoiselle cenerà con Monsieur stasera, come al solito?”. La paura mi dava una lieve nausea, allorché egli s’avvicinò al nostro tavolo.
Ma non disse nulla.

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74 pensieri su “L’Antica Dama: I Diari II

  1. Milord, ho letto con tantissimo interesse questo suo episodio dell’Antica Dama.
    Una delicatezza narrativa, incredibile. Una sensibilità che è aspettativa, emozione, leggerezza.
    Come un pasticcere che crea, oltre la convenzionalità del dolce alcuni pasticcini delicato e leggeri tatli da far sentire la fragranza ancor prima di averli gustati.
    Una bella scrittura, milord.
    Una scrittura che è pulizia, amore e grazia, qualsiasi parola ha scritto.
    Poi la storia.
    la storia è incredibilmente bella.
    Preziosa.

    Sono affascinata, mi creda.
    Buon pomeriggio

    Anna

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  2. Ci siamo mai guardati dentro?
    Abbiamo mai raccolto che cosa è l’amore profondo? E’ paura, è coraggio, è gioia di stargli accanto.
    Sentirlo parlare e respirare.
    E’ amore.
    Ecco, milord, con questo capitolo sei diventato, anche, il poeta dell’amore che nasce innocente e grande.
    Di quelli che non conoscono limiti.
    hai descritto “lei” con una bravura che mi è sembrato oltre che vederli, ma di sentire i suoi pensieri su dime.
    Scusa se non sono bravissima a scrivere, ma questo è quello che sento.
    Un raggio di sole che squargia una giornata grigia e triste.
    Sei un fenomeno.
    Bacio milord.

    Buona sera

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  3. Ti ho letto emozionandomi, milord, anche se non ci speravo più che scrivessi qualcosa sull’antica dama.
    Ruesci a mettere le pèarole al punto giusto e a saper trovare una strada per qualsiasi cosa.
    Riesci a fare diventare poesia la trepidanza di chi ama.

    Un bacio mio signore.

    Lilly

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    • Mia signora,
      quando proponeste “qualcosa” sull’Antica dama, sudammo freddo. Il personaggio nacque molto complesso e l’ambientazione non fu, sin dall’inizio, statica, ma dinamica. Ella apparve come spettro, come moglie, come moglie abbandonata, moglie felice e sposina. Mancava il periodo precedente e soprattutto il periodo diaristico, precedente.
      Grazie per averci messo nei guai, sia voi, sia i bei tomi che frequentano questo blog.
      Ovviamente ne siamo felicissimi.
      Cordialità

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  4. La tua mancanza. l’assenza si è sentita proprio Nì.
    Proprio proprio.
    Lì, poco fa, mentre stavo leggendo, era come se mi sentissi accanto alla ragazza.
    Ho sentito il suo profumo delicato e sentito anche te.
    Sei un mago.
    Mi piace tanto quando scrivi così.
    Bacione

    manuelachenonsaperchèhalelacrimeagliocchi

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    • Lady Manuela,
      che veste insolita la vostra ( o forse sarebbe meglio dire che finalmente suete voi stessa?Quell’aria forzatamente sbarazzina e sbeffeggiante … non siete voi. Noi vi conosciamo, e bene anche. Il vostro vestito e questo, … quando ne indossate uno!).
      Una veste romantica. Vi siete arresa per caso? Avete ceduto le armi davanti al racconto?
      Se riuscisse questo a farvi ammettere quello che non volete ammettere, cioé che siete una romantica di tre cotte, saremmo disposti a pubblicare tutta l’Antica Dama in una notte.
      E voi sapete benissimo quanto ne siamo capaci …

      Fate la brava e non fatevi prendere la mano…
      Buona notte

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  5. Fantastico. Delicato. Sembra scritto da una donna perchè i pensieri della giovane sono proprio azzeccati. Questo pezzo mi lascia di stucco. Veramente fine e bello. E lei non se ne andrà a New York. No. Deve essere così. Non che, per ora, abbiano condiviso proprio tanto… anzi, non molto ma si capisce che sono fatti per stare insieme.
    Si.
    Lo vedremo ma sono convinta dentro di me, o se parte poi torna. Torna eccome.
    Adoro questo romanzo.
    Buona notte.

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    • Lady Nadia,
      cercammo e intervistammo l’eroina in merito.
      Ella si aprì e ci aprì il suo cuore alle emozioni più recondite. Fu veramente brava nel descrivere tanto che riusciummo nell’impresa nel raccontarla.
      Grazie per le vostre parole, sempre generose.
      Abbiate le nostre migliori cordialità

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  6. È il presente. Non c’è passato e non c’è avvenire. Io sono qui, mi risciacquo le mani, e lo specchio incrinato mi rivela a me stessa, sospesa, per così dire, nel tempo: questa sono io, questo momento non passerà. E poi apro la porta, ed entro nella sala da pranzo, dove egli mi aspetta seduto davanti a una tavola, e io penso che in quei momenti sono invecchiata, e ho camminato avanti, fosse pur di un sol passo, verso un destino ignoto.

    Quanto è bello questo pezzo? Quanto è vero.
    Grazie, l’ho sempre saputo ma non sarei riuscita a dirlo così bene.

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    • Lady Nadia,
      probabilmente fu il canto disperato di una innomarata che vive l’amore forte e profondo e ne ha paura.
      Paura di una sofferenza più forte di questo amore che, tutto sommato, promise assai.

      Ascoltammo le parole della nostra eroina, lady Nadia, nient’altro.
      Grazie e cordialità

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  7. Una delicatezza e il senso del sentimento, quello profondo, quello bello che ti fa vibrare e sentire i colori.
    Ecco questo capitolo bello fine e raffinato milord.
    Sei speciale.

    Un bacio e buon sabato

    Susi

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  8. Evochi, soltanto cose belle,
    Tra l’altro sei prolifico ma sempre attento: aspetto il capitolo di domani.
    Lo aspetto tantissimo.
    Ciao

    Viva l’Antica dama!

    🙂

    Ma che bello …

    🙂

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    • Lady Susi

      Vi ringraziammo per aver citato l’appuntamento domenicale.
      Vi assicurammo che faremo tutto quanto in nostro potere per onorare la nostra offerta del giorno festivo.
      Abbiate le nostre più sentite cordialità

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  9. Un fiume in piena.
    La bellezza fatta parola.
    Non mi piace parlare bene né di me, né degli altri, ma mio signore, sei un fenomeno.
    Anch’io penso a domani, ma questo è bellissimo. Mi ha emozionata.
    Ciao ovunque tu sia

    🙂

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  10. Davanti al mio caffè, sento i profumi di una giornata a Monte Carlo. La bellezza, la pace per le strade assolate. La gentilezza dei bambini sorridenti.
    Come una musica che accarezza i nostri passi. Impressioni di bambina-
    Quanta sensibilità Milord.
    Quanta bellezza.
    Ieri vi ho letto sul giornale: quanta presenza intelligente.
    Sono onorata di poter scrivere tra tutta questa bellissima gente.
    Vi lascio un pensiero e un grazie per avermi illuminata la giornata.

    Rossana

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    • Lady Rossana
      Il profumi della Costa azzurra che rimbalzano presso le gelide strade di questa sperduta cittadina dentro Word Press.
      Quanta sensibilità avete voi, mia signora.
      Se non ne aveste avuta, non avreste potuto notarne la presenza
      Grazie a voi milady

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  11. Sì, milord mio signore, io e Rossana siamo qui e quasi come ogni giorno, ormai, siamo qua (complice un Ipad) a leggervi e a entusiasamarci per la bellezza che riesce a dare.
    La forza di un sentimento grande e profondo le riempie e ci riempie gli occhi.
    la stimo tanto sa?

    Buona giornata

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  12. Oh, mio signore, hai saputo, benissimo, … descrivermi.
    Mi sono sentita e mi sento allo stesso modo dell’Antica dama.
    Come se non potessi più vivere senza iol mio milord quando parte. Come se mi mancasse un qualcosa di Vitale!

    Un caro abbraccio

    Ely

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    • Lady Eleonora,

      Voi, dunque, eravate a servizio come Dama di Compagnia di lady Haricot? (Lady Fagiolo per chi non dovesse conoscere il francese 🙂 )

      Quindi eravate voi in auto mentre sospiravate e sognavate?
      Credeteci, credevamo si trattasse di una donna un po’ più grandicella, non una ragazzina come voi.
      Grazie milady, siete sempre tanto gentile.
      Cordialità

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  13. Guardi, caro dott., me lo sono letto con calma soppesando bene i periodi e cercando di interpretare tutte le sfumature nascoste tra le frasi.
    Questo, assieme a tanti altri, è un brano dove la competenza ma soprattutto, oserei dire, la appropriatezza del linguaggio fa onore alla nostra bella Italia.
    Grazie a nome degli amanti della scrittura.
    La sua è arte.

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    • Wolfghost

      Grazie caro lupo, forse qualcosina in più dell’esercizio.
      Vi ringraziammo per le espressioni generosissime.
      Un paio d’anni? Permettete di dubitarne? Ascoltare una voce narrante, alcune volte, fa miracoli.
      PS: sia essa una donna, un gattino o un cagnolino.
      La voce narra e chi ascolta scrive.
      Tutto qua.

      Grazie e buona serata

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  14. Direi: la parte femminile del Milord!
    Quanta poesia, quanta profondità di sentimenti.
    Fotografia di vita, di sensazioni, di emozioni.
    Leggere questo brano è come immergersi in uno specchio d’acqua magico, illuminato dalle stelle.
    Radiose e vivissime congratulazioni.

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    • Lady Alessandra Bianchi

      Fotografia di vita, certamente. Come scritto più sopra, bastò ascoltare la ragazza che parlava di questo Antoine ad alta voce.
      Facemmo fatica, in alcuni passaggi, a starle dietro: essa parlava in fretta e come se non bastasse, alcune volte scoppiava in lacrime dall’emozione.

      Siete generosa sul serio.
      Buona serata a voi e cordialità

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