Il silenzio fa paura

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La banda dei quattro
Basta ai governi prestati e di cortesia: Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.
Il popolo riprenda le redini attraverso la propria determinazione, padrone delle proprie scelte per  un futuro migliore: Il suo.

Se il silenzio fa paura, forse è perché l’assenza di rumori familiari tende a farci ripiegare in noi stessi.
Quando si avanza nell’oscurità silenziosa, non è raro parlare a se stessi, fischiettare un ritornello, riflettere ad alta voce per non ritrovarsi in preda all’angoscia.
Ciò non è semplice e può anche esigere un po’ di esercizio, dato che le nostre menti sono state condizionate ad identificare silenzio con pericolo, oscurità con rischio.
È l’angoscia a provocare il vuoto, il sentimento di trovarsi sul bordo dell’abisso e di non essere capaci di distogliere gli occhi dal baratro che si apre davanti a noi. Eppure, è proprio in quei momenti che si ha la propensione a trovarsi ancora più vicini a se stessi, senza intermediari, con una presenza di spirito e un’emozione molto più decise.
Difficile trovare ancora silenzio o oscurità nel mondo moderno. I rumori industriali ci accompagnano sempre, gli apparecchi emettono ininterrottamente i loro suoni elettronici, e comunque ce n’è sempre uno per riempire il vuoto con chiacchiere insopportabili quanto superficiali.
Oggi la paura del vuoto, l’angoscia del silenzio, è tra l’altro sublimata dalla connettività permanente. Mai soli, mai in silenzio, mai al cospetto dell’abisso.
Quindi, mai faccia a faccia con noi stessi.
I richiami e le voci “dell’interno”, tutto quell’universo costituito dall’immaginazione, dalla coscienza, dalla sensibilità, dalla riflessione, vengono resi muti, ignorati, appiattiti e sostituiti dal continuo bombardamento di informazioni, di rumori, di messaggi elettronici, di appuntamenti, di moniti a consumare, di richiami all’ordine.
Così, il mondo moderno sta esaurendo l’universo interiore dell’individuo.
Con il proprio interiore annientato, l’essere umano si ritrova nelle condizioni ideali per accettare la servitù, ovvero per abbracciare la schiavitù senza neanche disporre di capacità di comprendere lo stato in cui si trova.

Preso nella rete.
Non è una novità. La storia dell’oppressione non è cominciata con lo smartphone. Non molto tempo fa, il condizionamento della mente umana avveniva soprattutto attraverso una galassia di campi.
Il campo di lavoro che è la fabbrica, il campo di educazione che è la scuola; il campo di controllo che sono l’autorità familiare e i luoghi di culto. Tuttavia, malgrado i fili tessuti tra tutte le strutture del dominio, restava ancora, relativamente parlando, parecchio vuoto. E quel vuoto andava ad alimentare la rivolta nei campi, e viceversa. Il detenuto che si ammutina, ha malgrado tutto gli occhi rivolti all’orizzonte al di là del muro, poco importa se il suo immaginario di quell’orizzonte può piacere oppure no. Se i campi di ogni tipo non sono certo scomparsi, la ristrutturazione capitalista e statale in corso, in particolare attraverso l’installazione sempre più vasta di tecnologie, mira, al di là di uno sfruttamento crescente e di un controllo ancor più totalitario, all’eliminazione di ogni vuoto. L’adagio della connettività permanente è al centro di questa sinfonia mortifera. Connessi lo si è sempre un po’, al lavoro, in famiglia, al supermercato, al concerto. Collegati, siamo comunque esposti alle ingiunzioni del potere, ai moniti a consumare, agli occhi del controllo. Siamo interamente a disposizione del capitale, siamo schiavi che indossano un collare invisibile.
Qualcuno diceva che, se la società è una prigione a cielo aperto, le garitte moderne devono pur essere quelle antenne e quei relais di comunicazione che offuscano dappertutto il cielo blu, e i fili spinati le fibre ottiche e i cavi elettrici. In effetti, per coloro che sognano di arrestare la riproduzione del dominio, sembra essere fondamentale arrivare a guardare altrove e altrimenti. Non che il commissariato all’angolo non debba più attirare l’attenzione del nemico dell’autorità, o la vetrata della banca non meriti di essere fracassata, o il tribunale non possa ricevere visite arrabbiate, ma è anche vero che il dominio ha diffuso sul territorio una vasta quantità di strutture relativamente piccole e poco protette da cui sempre più cose, per non dire quasi tutte, dipendono. È in queste piccole cose che la rete invisibile che ci rinchiude e che permette la ristrutturazione del capitale e dello Stato si materializza. È là che possono essere attaccate le arterie del dominio che irrigano i campi dello sfruttamento e dell’oppressione; è là che possono essere ridotte al silenzio le protesi tecnologiche e il loro chiacchiericcio schiavizzante.
È ciò che è successo quando un fuoco ha distrutto le installazioni tecnologiche e i cavi di France 3 il 21 aprile 2017 a Vanves, disturbandone le emissioni.
È ciò che è successo quando alcune mani anonime hanno tagliato un cavo telefonico Orange nel Morbihan il 4 maggio, quindici minuti prima del dibattito presidenziale, privando migliaia di telespettatori e centinaia di imprese della loro connessione. È ciò che è successo su Monte Finonchio in Trentino, quando in solidarietà con alcuni cittadini stanchi detenuti alcuni relais e cabine di gestione di radio, televisione, telefonia mobile e comunicazione militare sono stati distrutti dal fuoco il 7 giugno, il giorno dopo la condanna di un tribunale tedesco ad Aix-la-Chapelle di una donna per una rapina in banca. È ciò che è successo il 12 giugno ad Amburgo, dove un’antenna-relais della metro è stata incendiata. È ciò che inoltre è successo alcuni giorni più tardi, quando alcuni nottambuli hanno bruciato un trasmettitore televisivo e un’antenna di telefonia mobile a Piégros-la-Clastre nella Drôme il 15 giugno, precisando poi che “i piloni che spuntano un po’ dappertutto sono punti nevralgici e vulnerabili perché sono punti di concentrazione dei flussi e perché bastano pochi litri di benzina per danneggiarli gravemente”.
Dunque il 23 giugno, è a Vilvorde in Belgio che un’antenna-relais è stata distrutta da un incendio doloso.
Sono solo alcuni esempi che, lungi dall’essere esaustivi e tutti avvenuti nelle ultime settimane, mostrano che un po’ dovunque l’interruzione è possibile. Bisogna anche dire che, contrariamente agli autoritari che riescono a concepire lo sconvolgimento del mondo solo attraverso la presa dei templi del potere e la gestione di masse importanti, in una sorta di impossibile simmetria con un nemico molto meglio equipaggiato, noi Esseri Umani privilegiamo l’agilità di piccoli gruppi, le capacità dell’individuo, la diffusione delle ostilità piuttosto che la loro centralizzazione, in relazioni interindividuali di reciprocità, di fiducia e di conoscenza.
Un tale modo di organizzarsi ci appare assai più interessante per attaccare un nemico sempre più tentacolare e dipendente dall’interconnessione tra tutte le sue strutture.
Davanti alla diffusione sul territorio di una vasta quantità di piccole strutture di trasmissione, niente è più adatto di una miriade di piccoli gruppi che agiscono in autonomia, capaci di coordinarsi fra di loro quando è il caso, che praticano in modo diffuso l’antica arte del sabotaggio contro le arterie del potere nefasto e sinistrorso-capitalista. Nel silenzio che si impone alle macchine, nelle perturbazioni inflitte al “tempo reale” del dominio, ci si ritroverà faccia a faccia con se stessi.
E questa è una condizione irrinunciabile per una pratica della libertà.
Noi sovrani di noi stessi, senza concedere altro più a nessuno.
Colpire poco, ma colpire tanto.

12 pensieri su “Il silenzio fa paura

  1. Un articolo, caro Ninni, veramente potente e pieno di analisi intima di un cittadino che, sembra, ha compreso il mondo in cui vive.
    Di solito i rischi connessi, alla democrazia ,sono quelli che la Democrazia stessa è malata.
    Una malattia perniciosa che colpisce i cittadini indifesi.
    Grazie, caro amico mio lontano, per avere definito, questo sistema, partendo dall’aggregazione della propria persona ai sentimenti per il mondo in cui si vive.

    La tua analisi è perfetta e completa.
    Il tuo modo di combattere, o almeno di inziare questo nobile combattimento (Tutto quello che riguarda il popolo è sempre nobile) è ammirabile e intelligente.
    Combattere un sistema, Il Sistema, con le armi della disobbedienza sociale che, in nome di un progressismo sfrenato, distrugge tutto quello che incontra, è bello nobile e grande.
    Mi ricorda l’invocazione alla ribellione suggerita (come hai fatto proprio tu) di george Washington quando, oppressi dallo strapotere e arroganza britannica, invitò al “Poco e spesso”.
    Da lì iniziò la guerra per l’Indipendenza americana che era una guerra per la Libertà.
    Che il tuo grido, caro Ninni, possa arrivare lontano.
    Grazie per tutto questo

    Con molta stima

    Theresa Elizabeth

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  2. Ecco che, il mondo, quello che ti sta leggendo adesso, proprio adesso, trattine il respiro.
    Hai affrontato il tema del disagio sociale per precipitare la propria entità di vita, dentro il turbine della disfatta civica.
    Si soffre rimanendo sempre succubi e schiavi del potere e di chi lo pratica.
    Qua interviene la tua voglia di libertà e il grido, accorato: ribelliamoci.
    Non se ne può più.
    Sono i disperati che ce lo chiedono.
    Cosa ci rimane, fra le mani, adesso? L’amarezza di leggere del fallimento di questa società basata sul consumo e sul capitalismo.
    Le promesse e le promesse di un mondo sempre bello e dorato, figlio abbrutito dei socials, non so possono mantenere.
    Esse sono figlie della fede nel denaro e nell’egoismo di fronte al male assoluto.
    Si, hai ragione Ninni, il silenzio fa paura.
    E allora, tutti in silenzio, facciamo sentire i nostri piccoli spilli nel fianco di questa società corrotta e malata.

    Grazie Ninni.
    Sempre perfetto.
    Sempre importante e mai banale.
    Grazie

    Annelise

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  3. E’ bellissimo Ninni.
    Fine e intelligente.
    Un capolavoro dove, le misure che hai proposto in presenza della disperazione dei cittadini, diventano consequenziali.
    Grazie davvero.
    Potresti esporlo nelle scuole e fare capire quanto sia marcia la nostra società.
    Grazie davvero

    Eleonora

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  4. Una analisi e una conclusione piena di amarezza.
    L’amarezza e il dolore dell’apparente fallimento della democrazia.
    Ma, questo fallimento da lei caro dottor Raimondi trasformato in riscossa, diventa un modo per soverchiare le forze oscure del male e riportare il giusto eqilibrio del bene.
    Un po’ radicale forse, ma ben appropriato e strutturato.
    Geniale davvero.

    Buona serata.

    BV

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  5. Caro Antonmaria

    Proprio così: basta coi governi che non ci rappresentano e basta tacere la frustrazione di subire la sfrontataggine di governanti, tutt’altro che salvatori della patria, completamente fuori dalla vita reale dell’ Italia che impoverisce. Governi azzerbinati ad una UE che sembra costituitasi per poteri forti e lobbies e affatto per i popoli, intesi proprio come gente, costituenti.
    Importante, Antonmaria, il Vostro invito, o sollecitazione, a ritrovare spazio e tempo per se stessi, individui, spesso, con sempre meno individualità.
    La contemporanea realtà esterna, con la sua illusorietà, incanta e, spesso, condiziona da far cedere buoni propositi e, ancor peggio, valori.
    Ci vorrebbe più introspezione e meno, ad esempio, socials che stanno infestando a tal punto da compromettere il confine tra realtà e virtualità.
    Il silenzio, la riflessione per ritrovare la propria individualità e coscienza intima e sociale.
    Il silenzio per ritrovare, poi, il coraggio della parola e dell’ aggregazione con chi vuole condividere reazioni a difesa di soprusi e ingiustizie.
    Mi fate sognare, Antonmaria, che un mondo più equo possa realizzarsi. Conto che ci siano persone che vi somiglino e che, dopo esser state sollecitate, magari leggendoVi, prendano il coraggio di pretendere i propri diritti dopo il solo ottemperare ai doveri.
    Siete straordinario, mio Caro, impareggiabile. Più uomini come Voi, giusti coraggiosi e coerenti, e più popoli liberi che sanno farsi rispettare e tutelati nella loro esigenza di Patria.
    Grazie, con Stima Affetto e Devozione.

    Maria Silvia
    Vostra Sil

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  6. E’ nel silenzio delle proprie coscienze che maturano le decisioni e i riscontri del popolo.
    Credo che il maggior difetto della società, quella demandata alla gestione dei bisogni popolari, sia appunto di astrarsi pericolosamente dai bisogni stessi.
    Si allontana, così, da quello spirito che fa da collante al senso civico.
    Importante e di sicuro peso, quello che lei suggerisce.
    Il decisore ultimo, il popolo appunto, l’aggregato dal quale tutto scaturisce, deve prendere in mano la situazione.
    Deve ristabilire i giusti equilibri. Quegli equilibri che non ci sono più e che sono asserviti alla logica, egoistica, del singolo.
    Una coscienza equa e giusta che colpisce e si rinfranca nella giustizia del popolo per il popolo.
    Grazie per quest’articolo così sofferto.
    Un fortissimo senso di coscienza civica esaurita nella disperazione della contingenza che uccide.
    Grazie

    Amedeo

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  7. Ecco il “cavallo di razza” che, davanti alle ingiustizie, s’imbizzarrisce.
    Come posso fare a darti, anche, il mio contributo, quando leggo degli apporti così belli e così perfetti che, in pratica, hanno scavato a fondo evidenziando la linearità, quella linearità che ti è propria?
    Un senso così importante, di giustizia che non è rappresentato, soltanto, dalle rivendicazioni di un popolo, una nazione, vessata da una cascata di disgrazie, non certo volute dal popolo stesso.
    Ecco che, caro Ninni, la tua lucida, lucidissima, analisi si sposa con la realtà in cui viviamo.
    Non è più tempo di belle parole.
    Non più.
    Il divario è troppo alto tra miseria e dolore che si stringono nell’assenza di felicità.
    La felicità, ecco cosa si è smesso di perseguire.
    Quella felicità che il cittadino onesto non cerca più.Una nuova linfa?
    Si.
    E’ rappresentata dall’iniziativa del singolo che converga, indiscutibilmente, allo “stop” di tutto questo andare malsano e i concretizzi nella giustizia sociale.

    Una nuova “marcia su …” fai tu la città.
    Per me è indifferente.

    Buongiorno e grazie davvero.
    Mi sento rinata

    Anna

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  8. Una presa di coscienza nei confronti dei cittadini vessati.
    Una analisi bellissima con soluzioni ponderate.
    Quella vena sarcastica mi ha sempre preso il cuore.
    Grazie Ninni.
    Un brano intellettualmente elevato.
    Buon pomeriggio

    Lilly

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  9. Leggo, con tutta l’attenzione che meriti, questa tua ultima fatica.
    E deve essere stata una fatica non da poco. Hai iniziato con un excursus, mastodontico, in termini d analisi politica.
    Certo e chi ti conosce lo sa bene, non ti sei risparmiato nell’analisi introspettica sempre profonda e appropriata.
    Infatti tutto il prologo è analizzato con bravura e immediatezza.
    Su questo, come sempre, convergiamo.
    la tua analisi so è adattata e lo lego con interesse, al momento poitico. un momento non facile.
    Un momento decadente dove. l’interesse e gli interessi degli affamati al potere, si sono concentrati proprio in questo periodo.
    “Corri, fanciullo, corri prima che finisca la festa, sembrano voler dire e fare.
    Da quel bellimpusto di macron che va facendo il carino con quella cariatide accanto e che, invece, si è rivelato per quel fascista 8neanche riuscito bene) e schifoso capitalista che è.
    Il ladro francese vuole nazionalizzare la nostra Fincantieri, scippandoci anche le commesse libiche.
    E chi se lo scorda che quei sporcaccioni di francesi furono, di concerto con gli imperialisti americani, i protagonisti di quella schifezza che vide l’attacco finale a Gheddafi?
    Già, la schifezza ha la memoria lunga.
    ma ti ricordi che macello che organizzo “l’Occidente civilizzato” (come lo chiami tu) contro il Colonnello? Anche berlusconi non fu di carattere, piegandosi alla logica di potere della Britania, Francia e Americania.
    lo hanno massacrato nel momento sbagliato.
    E adesso siamo invasi in un tour dei viaggi organizzati che non ha fine.
    Adesso stanno ricominciando…
    Il tuo articolo, però, ci parla di altro.
    Di riscossa utilizzando qelle risorse che sono proprie del popolo oppresso.

    Ninni mi sembri un rivoluzionario alla Cheguevara.
    Tu?
    Devo dire che hai analizzato, senza alcuna sbavatura, il moment e che la tua souzione è al limite della galera (Al limite? 🙂 ).
    Lo sai come la penso….
    E oggi mi associo ai tuoi lettori in un riconoscimento sopra le parti.
    Certo, il confine tra un fascismo “originario” e il proletarismo leninista è sottile, ma quel tuo punto di vista, che ci hai raccontato, va accettato.
    Perché è fresco, è franco e schietto.
    Riporto un passaggio da un commento che ho letto:

    “Ci vorrebbe più introspezione e meno, ad esempio, socials che stanno infestando a tal punto da compromettere il confine tra realtà e virtualità.
    Il silenzio, la riflessione per ritrovare la propria individualità e coscienza intima e sociale.
    Il silenzio per ritrovare, poi, il coraggio della parola e dell’ aggregazione con chi vuole condividere reazioni a difesa di soprusi e ingiustizie.”…

    La penso, esattamente così.
    Adesso mi riprendo e vado a fare colazione.
    Ciao, grazie e buongiorno.

    Babi

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