Mille Aghi III: L’Abito, ultima parte

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Cominciò a occuparsene la stampa, almeno per quanto le fu possibile senza incorrere in una denuncia per diffamazione. Gli editoriali accennarono a un possibile intervento governativo teso a proteggere il fior fiore dell’Inghilterra da questa infida straniera. A Hyde Park quasi non si discuteva d’altro che della neutralizzazione di Bella.
Neppure il memorabile episodio dei suicidi di massa a Oxford aveva provocato tanto scalpore. La vita stessa di Bella sembrava in pericolo come lo sarebbe stata quella di Jack lo Squartatore se, una volta scoperto, fosse stato consegnato al popolo. Noi inglesi crediamo fermamente nella giustizia; ma quando questa giustizia è impotente, il cittadino provocato diventa un fenomeno da temere.
A questo punto, se mi si perdona un gioco di parole linguistico tutto irlandese, l’unica cosa che salvò la vita di Bella fu… la sua morte.
Fu una morte naturale… forse la prima azione naturale della sua vita. Cadde sul palcoscenico del Covent Garden durante una rappresentazione del Così fan tutte di Mozart, subito dopo avere offerto la migliore interpretazione di quella bellissima aria. Come scoglio, che orecchio umano abbia mai udito.
Si indagò su quella morte. Perfino mio cugino, spinto da un interesse personale del tutto comprensibile, se ne occupò. (Era l’unico degli ammiratori più intimi di Bella a essere sopravvissuto al suo mortale contagio; mi sono chiesto spesso se ciò fosse dovuto a una forza incredibile o a inadeguatezza altrettanto incredibile). Ma non c’erano dubbi: si trattava di morte naturale.
Fu dopo la sua scomparsa che la leggenda di Bella cominciò a diffondersi. Fu allora che in città parecchi giovani che avevano ammirato una sola volta la grande Bella cominciarono a menzionare le immenzionabili ragioni che li avevano indotti a non rivederla più. Fu allora che la sua costumista, una vecchiaccia la cui razionalità era incerta quanto indubbio e persistente era il suo terrore, cominciò a raccontare di inenarrabili pratiche, a indicare nella magia nera uno degli hobby di milady, a suggerire che la facilità con cui emetteva quelle fughe di note (tu le hai appena udite) incredibilmente rapide ma ben distinte l’una dall’altra, fosse merito della sua capacità di controllare e addirittura di sospendere temporaneamente le limitazioni mortali del tempo.
E allora cominciò… l’orrore. Hai creduto forse che con l’orrore io mi riferissi alla serie di suicidi provocati da Bella? No; tutto questo rientra, anche se per un soffio, negli estremi confini della comprensione umana.
L’orrore oltrepassava tali confini.
Non c’è bisogno che ti chieda di usare l’immaginazione. Tu l’hai visto. Hai visto gli indumenti da cui è stato risucchiato il carnoso occupante, hai visto il guscio di abiti maschili afflosciarsi su se stessi, non più sostenuto dall’ordito di ossa e sangue e nervi.
Quell’anno tutta Londra lo vide. E Londra non credette.

Prima toccò all’eminente musicologo, Sir Frederick Paynter, membro del Royal College of Musicians. Poi a due giovani aristocratici, quindi, stranamente, a un povero ambulante ebreo dell’East End.
Ti risparmierò gli atroci particolari, e accenno solo di sfuggita al vescovo di Cloisterham. Io ho letto i resoconti della stampa. Ho conservato i ritagli proprio per la loro impossibilità (perché già allora intravedevo qualcosa del concetto che tu conosci con il nome di Anatomia della nonscienza).
Ma l’orrore non mi colpì tanto da vicino fino a quando non si abbatté su uno dei miei pazienti, un ufficiale della marina in pensione che rispondeva al nome di Clutsam. La sua famiglia mi aveva mandato a chiamare subito e al tempo stesso aveva inviato un messaggero a prendere mio cugino.
Come sai, mio cugino era un investigatore privato di una certa fama. Era stato consultato in molti dei casi precedenti, ma sulla stampa comparivano pochi suoi commenti, fatta eccezione per la speranza più volte espressa che la soluzione si trovasse nella ben nota massima: “Elimina l’impossibile; qualunque cosa rimanga, non importa quanto improbabile sia, deve essere la verità.”
Io avevo già formulato la mia ora celebre contromassima: “Elimina l’impossibile; poi, se non rimane nulla, parte dell“impossibile dev’essere possibile.” Fu così che le nostre massime e noi stessi ci trovammo a fronteggiarci, separati solo dall’uniforme logora e antiquata che giaceva sul pavimento, completa in ogni particolare, dalla passamaneria dorata sulle spalline, all’arto di legno posato sotto la gamba sinistra dei pantaloni tagliata al ginocchio.
— Immagino, Horace — osservò mio cugino, emettendo sbuffi di fumo dalla sua pipa di argilla annerita — che questa sia una di quelle faccende che tu giudichi rientrare nel tuo campo d’azione.
— Ovviamente non è di tua competenza — replicai io. — C’è qualcosa in questa sparizione che va oltre…
— Oltre la scarsa fantasia di un detective professionista? Horace, tu sei un uomo dai talenti quanto meno singolari.
Sorrisi. Mio cugino, come il mio prozio Etienne usava dire del generale Massena, era noto per l’esattezza delle informazioni in suo possesso.
— Ammetterò — aggiunse — dato che il mio Boswell non può sentirci, che occasionalmente ti sei imbattuto in soluzioni, almeno a tuo avviso attendibili, in alcuni casi in cui io ho fallito. Vedi qualche nesso tra il capitano Clutsam, Frederick Paynter, Moishe Lipkowitz e il vescovo di Cloisterham?
— Non ne vedo. — Era sempre prudente dare a mio cugino la risposta che si aspettava.
— Io invece sì! Eppure non sono più vicino alla soluzione di…

Con la pipa serrata tra i denti, cominciò ad aggirarsi per la stanza, come se l’attività fisica potesse in qualche modo migliorare il deplorevole stato dei suoi nervi. Alla fine venne a piazzarsi davanti a me e guardandomi dritto negli occhi disse: — Molto bene. Te lo dirò. Ciò che appare assurdo secondo gli schemi di pensiero della mente raziocinante potrà forse servirti come fondamenta per nuove strutture dell’irrazionalità.
“Ho scandagliato a fondo le esistenze di questi uomini. So che cosa mangiavano abitualmente a colazione, come trascorrevano la domenica e chi tra loro preferiva la cocaina al tabacco. Tra loro esiste un solo elemento comune: tutti avevano acquistato di recente una registrazione del Pater Noster di Pergolesi interpretato da… Bella. E i dischi sono svaniti, così come sono svaniti gli uomini nudi.”
Gli indirizzai un sorriso affabile. L’affetto familiare deve temperare la poco signorile emozione del trionfo. Ancora sorridendo, lo lasciai in compagnia dell’uniforme e della gamba di legno e mi recai nel più vicino negozio di grammofoni.
Ormai la soluzione mi appariva ovvia. Avevo notato che il grammofono del capitano Clutsam era del tipo a puntina di zaffiro, progettato cioè per i dischi cosiddetti ondulati, ovvero le registrazioni verticali realizzate da Pathé e da altre case discografiche in contrapposizione a quelle della Columbia e della Gramophone-and-Typewriter. E mi ero ricordato che all’epoca molti dischi ondulati erano ideati (come credo accada adesso per certi adattamenti radiofonici) per iniziare dall’interno, cosicché la puntina cominciava a scorrere vicino all’etichetta e si spostava esternamente fino al bordo del disco. A un ascoltatore distratto potrebbe facilmente capitare di cominciare a suonare un disco di questo genere seguendo il sistema più diffuso. Quasi sempre, il risultato sarebbe un farfuglio inintelligibile, ma in questo particolare caso…
Non ebbi difficoltà a trovare il disco di Bella. Dopodiché mi affrettai nella mia casa di Kensington dove, nella stanza sopra il dispensario, tenevo un grammofono compatibile sia con le registrazioni laterali sia verticali. Misi il disco sul piatto. Sì, l’etichetta INIZIO DALL’INTERNO c’era, ma con quanta facilità avrebbe potuto passare inosservata! Io trascurai deliberatamente l’avviso. Accesi il grammofono e abbassai la puntina…
Ascoltate al contrario, le cadenze della coloratura sono davvero strane. La musica ovviamente cominciò dalla stupefacente nota finale che poco fa ha tanto scoraggiato la signorina Borigian, a cui seguirono le affascinanti fioriture che rendono tanto verosimile l’accusa di avere magicamente manipolato il tempo lanciata a Bella dalla costumista. Ma ascoltate al contrario sembravano piuttosto di qualche pianeta ignoto, fioriture coerenti a se stesse e che seguivano una logica a noi sconosciuta, dando vita a una bellezza che solo la nostra ignoranza ci impediva di adorare.
E a queste fioriture corrispondevano parole; per un caso quasi unico fra i soprani, la dizione di Bella era di una chiarezza diabolica. All’inizio le parole erano semplicemente nema… nema… nema…
Fu proprio mentre la voce ripeteva l’Amen a rovescio che io mi estraniai, letteralmente, da me stesso.
Ero in piedi, nudo e infreddolito nella serata londinese, vicino a un’ordinata composizione di indumenti che parodiava il corpo del dottor Horace Verner.
Quel lampo di lucidità durò solo un istante, poi la voce pronunciò parole ben più significative: olam a son arebil des men…
Era il Padre Nostro, che Bella stava cantando. È risaputo che in negromanzia non c’è incantesimo più potente di quella preghiera (soprattutto se in latino) recitata al contrario. Come ultima espressione della sua malvagità, Bella si era lasciata dietro questa registrazione, sapendo che prima o poi uno degli acquirenti l’avrebbe inavvertitamente suonata al contrario e che allora l’incantesimo avrebbe agito in tutta la sua pienezza. E così era stato.
Ero nello spazio… uno spazio popolato di tenebre infinite e calore umido. La musica era svanita chissà dove. Ero solo in questo spazio e lo spazio era vivo e nella sua esistenza umida calda scura risucchiava da me tutto ciò che costituiva la mia essenza. E poi ci fu una voce con me in quello spazio, una voce che gridava Ima-am ima-am… e a dispetto dell’ansito urgente e lamentoso di quella voce, lo riconobbi come la voce di Bella.
Ero giovane allora. La fine del vescovo deve essere stata rapida e misericordiosa. Ma perfino io, giovane e forte, sapevo che quello spazio desiderava la linfa vitale della mia esistenza, che la vita mi sarebbe stata risucchiata dal corpo così come il mio corpo era stato risucchiato dal suo involucro. E allora pregai.

All’epoca non ero particolarmente religioso. Ma conoscevo le parole con cui la Chiesa ci ha insegnato a compiacere Dio e pregai con tutto il fervore della mia anima per essere liberato da quel terribile stato di Morte in Vita.
Poi fui di nuovo accanto ai miei vestiti. Guardai il piatto del grammofono e il disco non c’era. Ancora nudo, scesi nel dispensario, mi preparai un sedativo e solo allora mi azzardai a rivestirmi. Infine uscii e tornai nel negozio di grammofoni. Lì comprai tutte le copie di quel diabolico Pater Noster e le fracassai davanti agli occhi attoniti del proprietario.
Sebbene non potessi permettermelo, nonostante la mia relativa agiatezza, trascorsi le settimane successive a setacciare Londra in cerca di copie di quella registrazione. Una e una soltanto, ne conservai; l’hai appena ascoltata. Avevo sperato che non ne esistessero più…
— … ma evidentemente — concluse il dottor Verner — il tuo signor Horn è riuscito a trovarne una, che Dio accolga la sua anima… e il suo corpo.
Trangugiai il mio secondo Drambuie e dissi: — Sono un grande ammiratore di suo cugino. — Gli occhi azzurri del dottor Verner mi guardarono con aria cortesemente interrogativa. — Trovi la soluzione che sembrerà attendibile a lei.
— Il Rasoio di Occam, caro ragazzo — mormorò il dottor Verner, accarezzandosi le guance lisce. — La soluzione da me proposta spiega tutti i fattori integranti del problema.
— Ma non è vero! — obiettai improvvisamente. — Una volta tanto l’ho colta in fallo. C’è un “fattore integrante” che è stato completamente omesso.
— E sarebbe…? — tubò il dottor Verner.
— È impossibile che lei sia il primo uomo ad avere pensato di pregare trovandosi in quello… in quello spazio. Certo il vescovo deve averlo fatto.
Per un istante il dottor Horace Verner rimase in silenzio. Poi mi inchiodò con quella sua tipica strizzatina d’occhi caro-ragazzo-come-sei-idiota! — Ma solo io — riprese poi tranquillamente — ho capito che in quello… in quello spazio qualunque suono, come lo stesso Padre Nostro, era invertito. La voce non gridava forse imama ima-am? E che cos’altro significa se non amami pronunciato al contrario? Solo la mia preghiera è stata efficace, perché solo io ho avuto la previdenza di pregare recitando ogni parola al contrario!
Telefonai a Nynn per comunicargli che avevo avuto un’idea; non si poteva effettuare un controllo nell’appartamento di Horn?
— Certo — rispose lui. — Anche a me è venuta un’idea. Vediamoci lì tra mezz’ora.
Nynn non era sul pianerottolo quando arrivai, ma il sigillo della polizia era stato rotto e la porta era socchiusa. Entrai e mi fermai di colpo.
Per un momento pensai che quelli sparpagliati sul pavimento fossero ancora gli abiti di Horn, ma come non riconoscere la grigia e ordinata tenuta borghese di Nynn… senza Nynn dentro?
Credo di avere detto qualcosa a proposito dell’orrore. Fui quasi sul punto di svenire quando, in piedi davanti al vestito vuoto, alzai gli occhi verso la porta che si apriva nella parete di fronte e vidi l’ispettore Nynn.

Indossava una vestaglia di Horn che gli stava troppo corta. Attonito, fissai la sua figura grottesca e poi la parodia di uomo che gli penzolava dalla mano. — Spiacente, Lamb — sogghignò. — Non ho saputo resistere a un bell’effetto teatrale. Forza, da’ un’occhiata all’uomo vuoto sul pavimento.
Guardai. Gli abiti erano disposti con lo stesso effetto realistico, quasi che il corpo fosse stato risucchiato via, di cui noi avevamo già deciso l’impossibilità.
— Vedi — riprese Nynn — mi sono ricordato dell’aspirapolvere. E della sfilata dei Commercianti del Centro.
La mattina dopo, sul presto, ero di nuovo allo studio. Dei membri del Verner Variety c’era solo Peter e l’ambiente era così relativamente tranquillo che il dottor Verner fissava il manoscritto di Anatomia senza aggiungervi una parola.
— Mi ascolti — dissi. — In primo luogo, il grammofono di Horn non è progettato per i dischi ondulati.
— Ma è possibile suonarli anche su un normale giradischi — replicò tranquillo il dottor Verner. — L’effetto è bizzarro… debole e con una strana sovrapposizione echeggiante che forse rafforza ulteriormente il potere dell’incantesimo.
— E ho dato un’occhiata al suo catalogo — ripresi. — Non aveva nessuna incisione del Pater Noster di Pergolesi.
Gli occhi azzurrissimi del dottor Verner si dilatarono. — Ma è chiaro che la scheda corrispondente all’incisione sarebbe scomparsa con il disco — protestò. — La magia tiene conto del progresso.
— Un minuto! — proruppi. — Ehi, ci sono! A questo Nynn non aveva pensato. Una volta tanto, il caso l’ho risolto io.
— Sì, caro ragazzo? — disse con gentilezza il dottor Verner.
— Senta: non si può suonare al contrario un disco con inizio all’interno. Visualizzate i solchi a spirale. Se si posa la puntina sull’ultimo solco esterno, si incanterebbe, proprio come accadrebbe posandola sull’ultimo solco interno di un disco normale. Per farlo suonare all’indietro è necessario ricorrere a qualche congegno che permetta anche al piatto di ruotare all’indietro.
— Ma io ce l’ho — replicò calmo il dottor Verner. — Si possono effettuare esperimenti sonori straordinariamente interessanti. Senza dubbio ne aveva uno anche il signor Horn. Non gli sarebbe stato difficile accenderlo per sbaglio; stava bevendo… Dimmi, il piatto rotante che hai visto… girava in senso orario o antiorario?
Ci pensai su, e che io sia dannato se lo sapevo. In senso orario, pensavo; ma se avessi dovuto giurarlo… Chiesi invece: — Dunque anche il capitano Clutsan e il vescovo di Cloisterham avevano particolari dispositivi che permettevano la rotazione in senso antiorario?
— Ma certo. E c’è un altro motivo per cui un collezionista serio com’era il signor Horn doveva possederne uno. Vedi, i dischi della Fonogrammia, una casa discografica piccola e poco nota, ma che si gloria di avere in esclusiva le incisioni di molti grandi artisti, erano progettati per essere suonati in questo modo.
Fissai i suoi occhi azzurri e limpidi. Proprio non sapevo se i dischi della Fonogrammia da suonare in senso antiorario fossero l’ambito obiettivo di ogni collezionista o una leggenda nata in quel momento.
— Inoltre — insistetti comunque — Nynn mi ha dimostrato quello che è realmente successo. È stato l’aspirapolvere a farglielo capire. Horn aveva comperato un pallone della forma e delle dimensioni di un uomo, il fratello minore di quei mostruosi aggeggi che si usano nelle sfilate. L’ha gonfiato e rivestito con i suoi abiti. Poi l’ha sgonfiato, in modo da lasciargli gli abiti in perfetto ordine, ma con nulla dentro se non un pezzetto raggrinzito di gomma che ha tolto semplicemente sbottonando la camicia. Nynn ha rintracciato l’unica ditta di San Francisco produttrice di palloni del genere e un commesso ha riconosciuto in Horn uno dei loro clienti. Allora Nynn ne ha acquistato uno e ha ripetuto il trucco a mio beneficio.

Il dottor Verner si accigliò. — E l’aspirapolvere?
— Per gonfiare palloni molto grossi lo si usa al contrario, e per sgonfiarli nel modo solito; infatti, se si lascia semplicemente che l’aria esca, woosh, spesso finiscono col rompersi.
— E il commesso ha identificato Horn con sicurezza?
Mi mossi un po’ a disagio sotto i suoi occhi penetranti. — Be’, lo sa anche lei, i riconoscimenti da fotografia…
— Già, lo so. — Una pausa deliberata, poi: — E il grammofono? Perché il piatto girava ancora?
— Un caso, immagino. Horn deve avere urtato l’interruttore.
— Che sporgeva dal mobiletto al punto da poter essere azionato involontariamente?
Mi raffigurai mentalmente il giradischi. Visualizzai l’interruttore e la sua esatta collocazione. — Be’, no — riconobbi. — Non proprio…
Il dottor Verner mi sorrise con fare tollerante. — E perché mai Horn avrebbe dovuto mettere in piedi un piano così elaborato?
— Troppi parenti maschi alle calcagna. Ha ideato questa scomparsa così misteriosa in modo che nessuno si soffermasse a riflettere sul semplice fatto che era riuscito a farla franca. Nynn ha già provveduto a diramare un allarme generale; lo prenderanno nel giro di pochi giorni.
Il dottor Verner sospirò. Le sue mani guizzarono nell’aria con un gesto che suggeriva una pazienza rassegnata e infinita. Andò all’armadietto dei dischi, ne prese uno, lo posò sul piatto e regolò alcuni comandi.
— Vieni, Peter — esclamò poi. — Dato che il signor Lamb preferisce i palloni di gomma alla verità, noi gli accorderemo un segnalato privilegio. Ci ritiriamo nell’altra stanza lasciandolo solo con l’incisione di Bella. Certo il suo presuntuoso materialismo lo spingerà a verificare che cosa accade suonandolo al contrario.
Peter smise di martellare per bofonchiare: — Uh?

— Vieni, Peter, ma prima rivolgi un cortese addio al signor Lamb. È probabile che tu non lo riveda più. — Sulla soglia, il dottor Verner indugiò a guardarmi con quella che mi parve genuina preoccupazione. — Caro ragazzo — mormorò poi — non scordare la questione delle parole recitate al contrario…
Poi sparì e così (senza alcun cortese addio a parte un grugnito) fece Peter. Ero solo con Bella, e con l’opportunità di smontare una volta per tutte l’incredibile versione del dottor Verner.
Una versione che non aveva preteso in alcun modo di spiegare la presenza dell’aspirapolvere.
E la teoria dell’ispettore Nynn non aveva neppure tentato di giustificare il piatto ancora in movimento.
Misi in funzione il grammofono di Verner. Con cura abbassai il braccio e lasciai che la puntina stranamente arrotondata si posasse sul primo solco a partire dal bordo esterno.
Riascoltai quella stupefacente nota nell’ottava alta. La dizione di Bella era così impeccabile che, a dispetto dell’estensione di voce, identificai con chiarezza la sillaba pronunciata. Nem, l’inizio di amen al rovescio.
Poi ci fu una specie di gemito e il piatto rallentò bruscamente, passando da settantotto a zero giri al minuto. Lanciai un’occhiata all’interruttore, ancora in posizione di acceso. Mi volsi e vidi il dottor Verner che incombeva su di me; dalla sua mano penzolava una spina elettrica.
— No — mormorò quieto… e c’erano nella sua voce una dignità e un potere mai trapelati dai suoi ululati più energici. — No, caro Lamb, hai moglie e due figli. Non hai alcun diritto di giocare con le loro vite soltanto per alleviare il risentimento di un vecchio davanti allo scetticismo.
Rapido sollevò il braccio, tolse il disco dal piatto, lo infilò nella busta e lo rimise al suo posto. Le sue mani agili, per nulla inglesi, tremavano un po’.
— Quando l’ispettore Nynn avrà rintracciato il signor Horn — riprese in tono fermo — ascolterete questa incisione al contrario. Ma non prima di allora.
E si dà il caso che Horn non sia ancora saltato fuori.

Mille Aghi III:
L’ABITO
Grazie per aver letto questa storia

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9 pensieri su “Mille Aghi III: L’Abito, ultima parte

  1. Un brano che chiude un racconto fortunatissimo per logica e genialità.
    Caro Ninni hai saputo creare una situazione portando cultura. Non sapevo che esistessero dei dischi a microsolco che andassero all’inverso.
    Una miscellanea di tecnologia dell’immediato passato, di superstizioni (la magia nera e il padre nostro all’inverso) e di reale spirito d’osservazione.
    Un iperrealismo che conquista.
    Delle situazioni che soltanto la persona che sei avrebbe saputo tirare fuori.
    Grazie a te per averci regalato un racconto così immenso.
    Bello e complesso nella sua struttura.
    Sempre di qualità e culturalmente elevato.
    Grazi Ninni

    Annelise

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  2. Ho provato mille volte a scrivere.
    Perché non mi prende i commenti? Devo arguire che mi hai bloccata?
    Ma perché?
    Comunque, ho letto questa seconda parte che è l’apoteosi della Tua scrittura Milord
    Un misto di iperrealismo filosofico (sei proprio tu) con un retrogusto di umanità.
    Bravo proprio.
    PS: giuro che se non me lo prende il commento, vengo domani.
    Ciao

    Alba

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  3. Non ci si abitua mai a quanto puoi meravigliare con ciò che scrivi. Con il presente racconto superi tutte le, già alte, aspettative.
    “Elimina l’ impossibile, poi, se non rimane nulla, parte dell’ impossibile deve essere possibile “. Verità inconfutabile!
    Tutto si deve spiegare, anche la situazione surreale oggetto di questo ‘giallo’ molto originale.
    Nel suddetto assunto ci sei tutto Tu che, con la geniale curiosità ed il bisogno di verità che Ti pongono in risalto, non lasci a Te stesso, innanzi tutto, nulla di inspiegato.
    È geniale in questo singolare racconto, oltre alla verisimilitudine che riesci a rendere delle scene, il suo contenuto complesso che, da ininterpretabile, fluisce in soluzioni semplici, bastante è stato seguire la massima su citata.
    Questo primo racconto, a mio avviso superlativo per genialità fantasia e talento scrittorio, rende impaziente l’ attesa delle successive opere della terza serie de ‘Mille Aghi’.
    Grazie per tanta bellezza letteraria.
    Ti Stimo Tanto Ti Voglio Bene Immensamente, Kren.

    Maria Silvia
    Tua Sil

    Piace a 1 persona

  4. Una seconda parte decisamente interessante.
    Geniale è dir poco.
    La rappresentazione del dramma umano … nascosto negli interrogativi dell’ignoranza e della superstizione.
    Magia nera, dischi che girano all’inverso e la deduzione logica collegata …
    Bello proprio.
    Grazie e congratulazioni
    Ciao e buon pomeriggio

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  5. L’ho letto con tantissima soddisfazione.
    Ninni, non potevo leggere nulla di diverso scritto da te.
    Bello il finale: assolutamente inatteso. E mi ero persa in mille congetture…
    Grazie a te per averla scritta
    (Non ci crederai, ho scritto ben nove volte e non mi prendeva l’invio)

    Ciao e grazie…

    Lilly

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