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Naturalmente nessuno comprese in anticipo quale sarebbe stato, grammo per grammo, il più prezioso carico di ritorno dell’astronave Terra -Venere, anche se la risposta avrebbe dovuto apparire ovvia a chiunque avesse una conoscenza anche minima delle costanti storiche.
Metalli rari? Quando il costo del carburante per combattere la gravità di Venere, simile a quella della terra, li rendeva perfino più costosi che sulla Terra stessa? No, la risposta era tanto ovvia quanto ignorata: che cosa riportarono Marco Polo dalla Cina e Vasco de Gama dall’India? Perché Colombo cercava una nuova rotta per le Indie?
In una parola: spezie.
Il palato umano ha bisogno, di tanto in tanto, di nuovi stimoli. Uno dei principali obiettivi dell’esplorazione, intercontinentale o interplanetaria, è quello di titillare esauste papille gustative. E oltre alle nuove spezie c’erano nuovi metodi di cottura, come per esempio quello, fantastico, dei venusiani di sottoporre per pochi istanti certi cibi all’azione del vapore bollente, così che pur restando crudi diventavano meravigliosamente croccanti; o il balj, lo strano piatto locale che assomigliava un po’ al curry e un po’ alla bouillabaisse, ma più ricco e al tempo stesso più delicato di entrambi. C’era poi il dirgut, il maiale selvatico venusiano, la carne più deliziosa di tre pianeti… non che la gastronomia marziana fosse mai stata presa in considerazione dai veri gourmet.
Era questo il discorsetto che durante il suo primo anno di matrimonio Catia ascoltava regolarmente una volta la settimana. Perché, comprese presto, non aveva sposato soltanto un personaggio importante e di successo, ma anche un uomo che in un’età vulnerabile era stato morso dalla parola gourmet.
Era stato divertente durante il fidanzamento, e lo era ancora, per la piccola receptionist di una rete televisiva frequentare i ristoranti migliori in compagnia del più famoso telecronista interplanetario. Divertente era soprattutto guardarlo durante le sue virili esibizioni in cui conferiva con il capocameriere, inviava i suoi complimenti (e istruzioni) allo chef e scambiava punti di vista con il sommellier, come Catia aveva prontamente imparato a chiamare l’uomo-con-il-vino. Il vino mal sopportava i viaggi interplanetari; l’accelerazione superiore a un G lo “alterava”, come dicevano gli intenditori. In questo campo erano ancora i francesi a regnare e tendeva a sottolineare la loro superiorità per mascherare la naturale gelosia nei confronti degli emergenti coloni venusiani.
In ogni città del mondo… con poche eccezioni a Milano e a Berlino… gli ex “ristoranti francesi” erano diventati “venusiani” e perfino a Parigi era la couisine venerienne il punto di forza dei locali più noti.
Ma il valore del divertimento fornito da un gourmet esibizionista decrebbe con il logico sfociare del corteggiamento nel matrimonio e le cene fuori lasciarono il posto al quotidiano problema del che-cosa-preparo-stasera. Ovviamente il congelamento rapido aveva semplificato di molto le cose rispetto ai secoli precedenti, ma Giorgio, con perfetta coerenza, insisteva perché buona parte dei pasti fossero preparati personalmente da lei… ed era abbastanza scaltro da individuare subito piatti improvvisati con l’aiuto del congelatore e del forno elettrico.
Né l’appartamento, fra i più lussuosi di Firenze e con vista sull’Arno, né i conti aperti in negozi in cui lei mai avrebbe osato entrare, e neppure l’incredibile fatto che lei amava Giorgio con un’intensità che fino ad allora aveva sempre considerato un’improbabile convenzione delle ciance femminili, nulla di tutto questo poteva indurre Catia ad accettare di vivere con un uomo che poteva ingurgitare tre fondine della vostra migliore zuppa di ostriche senza smettere di parlare delle glorie dell’autentico balj à la Venusberg, che era in grado di divorare quantità di arrosto di prima qualità tali da sballare il budget di tutta la settimana discettando sull’assurdità della leggenda secondo cui i cuochi della Terra in generale, e quelli anglosassoni in particolare, comprendevano almeno le potenzialità del manzo.
Catia fantasticava spesso sull’opportunità di assumere un cuoco, non tanto per soddisfare le esigenze di Giorgio, quanto per indirizzare su qualcun altro gli inevitabili rimbrotti di lui. Ma anche prescindendo dal fatto che lo stipendio di un cuoco avrebbe messo a tappeto il suo conto, Catia sapeva che sua madre, le sue nonne e senza dubbio tutte e quattro le sue bisnonne e tutte e otto le sue bis-bisnonne avevano nutrito i loro uomini e li avevano resi felici. Era una questione di orgoglio familiare.
Poi arrivò il terribile giorno in cui Giorgio portò a cena Roberto Silla. Quella sera era presente anche la sorella minore di Catia, che arricciò il naso quando il viso di Giorgio sbiadì sul videofono.
— I diplomatici coloniali di Venere sono ripugnanti — dichiarò Teresa. — Avrà certamente la pancia, la barba a cespuglio e una moglie e sei figli che lo aspettano a casa. Catia, perché Giorgio non incontra mai uomini interessanti a cui… be’, valga la pena interessarsi?
— Ho sentito dire che è un ragazzo molto simpatico — mormorò Catia, distratta. — Uno dei leader dei guerriglieri che si opponevano alla dittatura, ha scritto un ottimo libro sulla sconfitta del totalitarismo. A preoccuparmi davvero è la pancia… e quello che dovrò metterci dentro.
Cinque minuti dopo avere conosciuto il venusiano, Teresa sgattaiolò in cucina per bisbigliare: — Sorellina… per favore… non potresti farmelo trovare sotto l’albero a Natale? — Ma neppure questo piacevole quanto radicale mutamento di opinione bastò a distrarre Catia dalla fatica di prepararsi a riempire quella che si era rivelata una pancia inesistente.
La cena, pensò più tardi, stava andando sorprendentemente bene, soprattutto per quanto riguardava Roberto e Teresa. Ma poi Giorgio, dopo avere infilzato e annientato l’ultimo boccone di spezzatino di maiale, si schiarì la gola e attaccò.
— Deve rassegnarsi, Silla. Semplice maiale a un uomo abituato al dirgut…
— Intende maiale selvatico? — chiese educatamente Roberto, nella concisa parlata venusiana che tendeva a eliminare pronomi e articoli.
— E — riprese Giorgio con aria di commiserazione — questo cosiddetto “sugo campagnolo” … uno choc per un uomo proveniente da un pianeta in cui, grazie al cielo, non si pensa in termini di sughi, ma di salse.
— Ottimo sugo — replicò Roberto, raccogliendo quel che ne restava nel piatto con una fetta del pane fatto in casa da Catia. — Immagino “cosiddetto” perché fatto la prima volta da residenti in campagna?
— Anche se questo fosse vero — insistette Giorgio — riesce a immaginare che risultati avrebbe dato un semplice pizzico di polvere balj… o magari un’ombra di tinilj?
— Io — rispose grave Roberto — preferisco le vostre erbe terrestri… origano, che sapore. Sapore d’estate, ovviamente.
Giorgio parve riflettere seriamente sulle sue parole. — Probabile. Molto probabile. Ma in entrambi i casi questo dimostra la penosa mancanza di fantasia della casalinga media terrestre.
È presumibile che Catia abbia fatto un po’ troppo chiasso nello sparecchiare la tavola. In ogni caso, Teresa si affrettò a seguirla in cucina.
— Ti prego, Catia, tesoro, non esplodere, non ancora. So che Giorgio se lo meriterebbe, ma probabilmente a lui è già stato detto che tutte le donne della terra sono brontolone e io non voglio…
Catia riuscì a controllarsi fino alla piacevole chiusura della serata, quando Roberto propose a Teresa di accompagnarla a casa. Con sua sorpresa, continuò a controllarsi anche dopo che i due se ne furono andati, perché per allora aveva già concepito il Piano.
Già dal mattino dopo il Piano era in fase di attuazione.
A: Catia irruppe nella sua libreria preferita e comprò tutti i volumi disponibili sulle spezie e la cucina venusiana, a cui aggiunse alcuni classici prevenusiani di gastronomia quali il Brillat-Savarin, l’Escoffier e l’M.F.G. Arnoldi.
B: Si iscrisse a un corso intensivo presso la scuola di cucina venusiana Arg Layer (in passato la Ecole de Cusine Cordon Bleu).
C: Sapendo che Giorgio aveva un appuntamento a colazione a Chicago con il suo sponsor, ne approfittò per provare il ristorante dove suo marito pranzava abitualmente.
Era una discreta trattoria sulla Trentesima, molto modesta rispetto alla media di Firenze, e l’eccellente pasto che vi consumò non poté che confermare i suoi più tetri sospetti.
Nelle due settimane successive lesse i libri e seguì le lezioni senza sperimentare mai quello che apprendeva, fatta eccezione per le colazioni che preparava per sé. E imparò molte cose. La scuola di pensiero di Giorgio aveva le sue ragioni. Perché fino a quel momento la cucina di Catia, come quella delle sue otto bib-bis-bisnonne, non era stata solo terrestre, quanto semplicemente americana.
C’era un piacere tutto particolare nello scoprire che l’Architetto di tutte le cose aveva stabilito su questo pianeta una certa inevitabile relazione tra i pomodori e il basilico, e ordinato che i semi di cumino portassero a pieno compimento il destino del cavolo rosso… proprio come su un altro pianeta aveva diffuso il tinilj, in modo che la carne del maiale selvatico risultasse più dolce. E chi avrebbe potuto prevedere le superbamente preordinate combinazioni interplanetarie? Catia conosceva da tempo l’inevitabile affinità tra aglio e agnello, ma spalancò gli occhi sorpresa quando scoprì che un pizzico di polvere balj completava alla perfezione la trinità.
Queste scoperte, tuttavia, non compromisero il Piano. E lo stesso Architetto dovette considerarlo con un sorriso, perché permise che il robot incaricato di passare la cera ne distribuisse un po’ troppa sul corridoio antistante l’ufficio di Giorgio. Su quella cera Giorgio scivolò e si ruppe una gamba.
Giorgio probabilmente non ammise mai, neppure con sé stesso, che gli piaceva essere costretto a letto: le telefonate, i fattorini inviati dalla rete televisiva, le macchine fotografiche e il microfono accanto al letto. Ma cominciò a riconoscere che apprezzava la cucina di Catia.
Se un tempo serviva bistecca, ora esibiva grenadine de boeuf à la venérienne. Se un tempo condiva i suoi asparagi con burro fuso, ora si lanciava in una hollandaise (con cinque grani di polvere di balj al posto del pepe di cayenna indicato nelle antiche ricette). Se un tempo proponeva gli avanzi limitandosi a riscaldarli, ora li mascherava con una salsa che induceva Giorgio a far schioccare le labbra, a roteare gli occhi e a mormorare: — Silj, naturalmente, ed erba cipollina… con un accenno di tinilj… forse anche un bisbiglio di pnulj, probabilmente coltivato sulla Terra. Sì, credo di sì… e… questo che cos’è?
— Cerfoglio, caro — diceva Catia, al che lui rispondeva: — Ma certo, certo. Ci sarei arrivato subito. Sai, Catia tesoro, la tua immaginazione fa passi da gigante!
Quando si seppe che quel giovedì avrebbero tolto l’ingessatura a Giorgio, Catia decise che era arrivato il momento di portare a conclusione il Piano. Il giovedì mattina stava coscienziosamente compilando la lista della spesa, quando il videofono squillò e, miracolosamente, non era la rete televisiva per Giorgio.
— Oh, Catia! — farfugliò Teresa. — Stasera ho uno di quei meravigliosi appuntamenti vediamo-un-po’-che-cosa-succede con lui, non ci inviteresti a cena? Perché tu gli piaci, sai, ed è quasi sul punto di e se fossimo… capisci, in famiglia e tutto il resto, io credo che potrebbe proprio…
— Roberto? — domandò Catia, che conosceva già la risposta. Poi sogghignò e raddoppiò le quantità degli ingredienti della lista.
I preparativi erano in buona parte completati quando Teresa arrivò. Con sorpresa di Catia, aveva con sé una ventiquattrore. La ragazza dedicò il minimo di tempo necessario all’ammirazione della gamba come nuova di Giorgio, poi trascinò la sorella in camera da letto.
— Catia, ho un tale problema! Lui ha conosciuto tante di quelle donne… su tutti i due pianeti e nelle ambasciate e forse anche spie. Ti ho già detto che credo che questa sera lo farà; solo che io non so che rossetto mettere, quale profumo, insomma tutto quanto. Devo rendermi interessante, ma non voglio esagerare. Così mi sono portata dietro tutto quello che ho. Aiutami tu.
Catia guardò gli oggetti che la sorella sciorinava sul letto. Pensò alla cena e al Piano e cominciò a parlare.
I partecipanti erano gli stessi dell’orribile cena che aveva ispirato il Piano, ma sembravano persone diverse; Roberto non era più un diplomatico in visita, ma un gentiluomo in mezzo ad amici; il viso senza trucco di Teresa era radioso e Giorgio non faceva che lodare il cibo.
Lodò i piselli verdi. Lodò il purè di patate. E più di tutto lodò il pollo fritto.
— Non riesco a capire — continuava a ripetere. — C’è un tocco che non so individuare. Ma sei riuscita a esaltare meravigliosamente il sapore. Non sarà — chiese poi con fare sospettoso — quella nuova polvere che Koenigsberg sostiene di avere trovato tra gli indigeni sulla punta del continente meridionale? Credevo che ancora non ne avessero spedita.
— Infatti, tesoro — assentì Catia.
— Forse un minuscolo pizzico di balj con un po’ di semi di sedano e rapa appena macinati?
— No.
— Ma allora che cosa, in nome dei due pianeti…
— Una donna deve pur avere qualche segreto, Giorgio. Diciamo che questo è… un segreto della casa.
A questo punto Catia intercettò casualmente lo sguardo di Roberto e subito si affrettò a distogliere gli occhi. Era impossibile che un diplomatico venusiano facesse l’occhiolino alla padrona di casa!
Giorgio si ostinò nelle sue domande anche quando passarono in soggiorno per il brandy. Roberto, probabilmente anche lui (o almeno così si augurava Catia) dell’umore giusto per chiedere, era uscito con Teresa in quello che l’architetto definiva la zona-sole, sebbene Catia, più romanticamente, tra sé si ostinasse a chiamarlo il balcone. Quando li vide rientrare, Catia puntò subito verso la cucina, da sempre il luogo eletto alle confidenze tra le due sorelle.
Ma non fu Teresa a raggiungerla, bensì Roberto. Si appoggiò allo stipite della porta e dichiarò: — Conosco segreto della casa.
— Sì? — replicò Catia con indifferenza. — Oh, voglio dire… davvero? A volte ho bisogno di fermarla e rileggerla, come se lei fosse un telegramma. E quale sarebbe?
— Comperato cibo di ottima qualità, cucinato benissimo, confidando su nient’altro che sapore naturale, probabilmente punta di sale. Buon vecchio Giorgio sempre voluto tanto di quel condimento che il gusto gli sembra nuovissimo e rivoluzionario. Giusto?
Catia ridacchiò. — Ho agito in clandestinità — confessò. — Pensavo che avrebbe funzionato e ne ho avuto la certezza quando mi sono fermata a mangiare nel suo ristorante preferito. E questo che fanno lì, capite? Ma dato che è un locale con una certa reputazione, Giorgio crede che ci sia sotto chissà quale magia. Ma ormai anch’io ho imparato a pensarla come lui. D’ora in avanti Giorgio potrà sempre contare sulla varietà, a casa… e credo che l’apprezzerà anche se non ne capirà mai il perché.
— Semplicità è anche magia — osservò Roberto. — Sua idea… fresca semplicità di Teresa che spiega il fatto sto per diventare suo cognato. Corretto?
— Corretto? Ma che diamine, è perfetto! — D’impulso, Catia lo baciò. — Oh santo cielo — esclamò poi, ritraendosi. — Ecco che si ritrova con del rossetto in faccia dopo che ha lasciato il balcone senza la più piccola macchiolina!
— Varietà — approvò Roberto. — Ancora una cosa, Catia. Quel purè… straordinario. Se c’è segreto della casa, è lì. Me lo rivela?
— Certo, ora che fa anche lei parte della famiglia.
— Sì?
— Il segreto è questo: prendo un bel po’ di burro e di panna… roba autentica, non sintetica, e vado avanti a schiacciare e a mescolare il tutto fino a non avere più un solo grumo.
Tornati in soggiorno, capirono subito che Teresa aveva già fatto a Giorgio il grande annuncio. Manovrando la gamba di nuovo intera con l’orgoglio di un frugoletto di un anno che impara a camminare, Giorgio avanzò con aria paterna verso Roberto Silla.
— Che la cena di stasera le serva di lezione, ragazzo mio. Pensi all’ultima volta che ha mangiato qui; come vede, in una moglie non c’è difetto che un po’ di insistenza maritale non possa eliminare.
Questa volta non ci fu alcun dubbio sul fatto che il raffinato diplomatico venusiano stesse strizzando l’occhiolino alla padrona di casa.
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Cordialità
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Cordialità anche a te milord.
🙂
Rossy
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E’ semplicemente geniale.
Un brano che chiamarlo “Capolavoro” è dir poco.
Geniale sul serio.
Ciao Ninni
Maria Sofia
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Sofia
Grazie per le gentili espressioni.
Cordialità
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Le cose semplici sono le migliori.
Nonfaciamo che ci prendono con un progresso assassino che ci perde la nostra realtà.
Many thnx Ninni.
Grazie per questo racconto che mi è piaciuto per la originalità.
Ciaoo
(Vado a dormire)
🙂
Kate
fm Canberra Aus
🙂
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Kate
Una realtà che fa acqua da tutte le parti e che ci relega alla menzogna del quotidiano.
Come sarebbe bello poter interporsi con la bellezza della semplicità.
Grazie per aver scritto
Cordialità
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Sei divino.
Un genio della penna e del racconto.
Avevi promesso Mille Aghi e la promessa l’hai ampiamente mantenuta.
Che genio e che genialità dalla penna sempre prolifica.
Da Guinnes, da Oscar.
Buona giornata
Elena
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Elena Stiglio
Mille Aghi, un impegno non da poco ma che, nel presente, ci prese con gioia.
Poter raccontare del mondo e delle proprie impressioni racchiuse, nello specifico, in un futuro “probabile”, è da sempre il nostro sogno.
Se sono riuscito ad accendere l’attenzione, beh, ne rimango felice.
Grazie e cordialità
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Grande.
Sono senza parole.
Ma che bravo e che bella storia.
Una fucina…
Ciaooo
Rossy
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Rossana Zorzi
Grazie per le gentili espressioni.
Grazie e cordialità
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Ecco un altro racconto della serie “Mille Aghi”, ovvero, mille racconti ravvicinati che ci deliziano nel quotidiano e per i quali, ogni tanto, vado a controllare se c’é qualche novità.
E la novità c’è, eccome.
Un racconto bello, articolato e preciso che parla ai nostri modi di vivere.
Una vita semplice, con semplici scelte.
Grazie Ninni.
Una genialità altissima nel lanciare i tuoi messaggi.
Messaggi profondi e pieni di quella passione per la letteratura che rinfranca proprio.
Grazie per tutto questo
Anna
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Anna Blu
Grazie per la generosità delle espressioni, che sottolineano l’intesa dell’empatia nella valutazione del brano.
Grazie e buona giornata
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Una storia, questa, che dall’orlo della fantascienza ci parla dentro.
Si il gourmet e la cucina,, ma il segreto di tutto rimane, soltanto, l’azione umana diretta.
Una lezione, caro Ninni, che ci riporta – qualsiasi tempo si possa usare, sia passato, che futuro come in questo caso – alla vera essenza delle cose.
Quelle cose perdute che un progresso sfacciato e arrogante ci nasconde continuamente.
Ecco che, dal futuro, arriva quella saggezza passata che conforta.
Come dire che, nello spazio di un racconto, ci hai regalato una bellezza che parla da sola…
Grazie per i lettori, ma grazie anche a te e alla tua genialità.
Sei una miniera d’oro d’idee.
Ciaooo
(Era da tanto che venivo a controllare che tu pubblicassi).
Ciao
Silvia
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Silvia
Vi ringraziammo per l’analisi e la disamina che reputammo, perfettamente, coerente.
Grazie e buona giornata
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Con la siimiltudine dell’ astronave proveniente da chissà quale mondo più evoluto della terra e con chissà quale carico, è istintiva la riflessione sul futuro, con le innovazioni che promette, se realmente migliora le cose senza ‘effetti collaterali’ che, imprevisti, potrebbero paradossalmente far rimpiangere lo stato precedente.
Nessun altro è critico come me quando certe scoperte sono solo stravaganze per l’ uomo sempre più presuntuoso e, spesse volte, arrogante verso la natura stessa, fino a quando tollerante?
Con l’ abbondanza di Intuizione, Genialità, Fantasia, Ironia che Ti appartiene, Antonmaria, hai trasmesso, tramite questo brillante racconto, la bellezza (ed il gusto, in questo caso) delle cose semplici, delle cose assodate tramandate, capisaldi del nostro essere divenuti.
Certamente curiosità lecite vanno soddisfatte, ma non si deve rinnegare ciò che era assodato buono e positivo per assecondare novità che sono solo mode destinate a massificare e compromettere le specifiche individualità.
Leggo messaggi di stima, tutti davvero meritati, e ‘prodighe’ affettuosità.
Dal mio essere riservata, Ti rivolgo un ‘grazie’ col suo significato più ampio.
Tua Sil
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Maria Silvia – Sil
Per rispondere, cara Sil, alla questione relativa ai rapporti ed etica in un modo forse un po’ paradossale, dirò: per digerire non occorre conoscere i processi digestivi, così come non occorre conoscere il funzionamento del muscolo cardiaco per restare in vita.
Tuttavia sembra sia difficile dare un senso alla propria vita se prima non si sa chi si è, nel caso in cui non ci si lasci semplicemente vivere, ma si voglia valorizzare la propria esistenza.
Ora, da questo punto di vista, l’uomo è passibile almeno di due tipi di domande: ci si può chiedere che cosa egli sia, e in tal caso l’uomo diventa un oggetto di ricerca, un oggetto proprio delle scienze naturali, così come la pianta lo è per il botanico, o la struttura della materia per il fisico.
Però l’uomo è passibile, forse soprattutto, di un altro tipo di domanda: si tratta cioè di chiedersi non tanto cosa egli sia, bensì chi egli sia.
In tal caso, da oggetto della scienza della natura, egli diventa propriamente l’oggetto di quella che potremmo chiamare i motivi vitali, che hanno – appunto – il compito di studiare, di dare una risposta fondamentale alla domanda “chi è l’uomo”.
Ed è proprio approfondendo la domanda “chi siamo noi” che si può scorgere come la motivazione filosofica possa, piano piano, diventare un fondamento decisivo, costitutivo per l’etica medesima.
Quando ci chiediamo chi è l’uomo, facilmente vediamo che, nella esperienza quotidiana, egli è assediato da una molteplicità sconfinata di domande.
Esse toccano i campi più disparati della sua esistenza, sono domande innanzitutto intorno ai limiti della sua capacità conoscitiva, che riguardano cioè la capacità che egli ha di spostare indefinitamente i pali di confine della sua razionalità, della sua conoscenza del mondo, oppure domande che riguardano i limiti che la costituzione psichica e fisica impone necessariamente all’uomo in tale processo conoscitivo; ma ancora di più sono domande che riguardano la sfera morale, la sfera del comportamento pratico, che investono i principi dell’agire, per cui ci si chiede quali debbano essere le norme che guidano le nostre decisioni, quali i principi che devono essere accolti, quali i principi invece che devono essere rifiutati; ma non basta, ci sono anche domande che riguardano in un certo senso il suo destino complessivo, il suo destino finale, l’interrogarsi dell’uomo intorno alla possibilità di tenersi in un certo senso in equidistanza tra speranze immoderate e l’abisso della disperazione.
Queste in fin dei conti sono domande che ciascuno di noi incontra nella propria esperienza, ma sono anche le domande che l’esserci si pone, continuamente, nell’arco dei millenni in cui ci si trova ad operare.
Va inoltre aggiunto che questo cumulo di domande ha trovato una felice sintesi in uno dei più grandi pensatori dell’età moderna, in Kant.
Secondo Kant, compito della soddisfazione di queste domande lecite, è rispondere essenzialmente a queste tre domande fondamentali: che cosa posso sapere, che cosa devo fare, che cosa mi è lecito sperare?
Come si vede, in queste tre domande sono in questione in primo luogo un potere e cioè il potere della conoscenza e i suoi limiti, in secondo luogo un dovere, e cioè che cosa io debba fare sul piano etico, sul piano politico, in terzo luogo che cosa mi sia lecito sperare, cioè come possa concludersi il destino globale della mia esistenza e che cosa legittimamente io possa attendermi da esso.
È chiaro che ciascuna di queste tre domande riguarda tre ben precisi campi dell’esperienza umana, rispettivamente quello della conoscenza teorica, quello dell’esperienza morale, e quello dell’esperienza fattuale, essendo qui in questione il destino ultimo, il destino finale nostro.
Ora, è importante notare che, in definitiva, queste tre domande sono riconducibili ad un unica questione fondamentale, che è quella da cui ho preso le mosse trattando del concetto di Umanità, ovvero alla domanda: chi è l’uomo e chi siamo noi?
Si conferma così che, per cogliere i rapporti fra l’etica e noi stessi, occorre non solo esplorare i limiti del nostro sapere, ma bisogna sapersi spingere alla domanda che riguarda la doverosità del suo agire e il senso del nostro proprio destino.
Ti rivolgo, mia signora bellissima, i migliori auspici per una serenità importante e felice.
Con un sentito abbraccio sigillo, attraverso un bacio, i miei ringraziamenti.
Tuo Kren
(The milord)
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Mamma Ninni, sei DIVINO.
Una risposta articolata che soddisfa il bisogno di conoscenza.
Bello davvero
Bravissimo
Loredana
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Ninni
Una risposta che, intelligentissima, apre uno squarcio sulla bellezza di tutti i “Mille Aghi”.
Grazie davvero.
Annelise
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Mio Caro Kren
La meraviglia nel leggerTi è proporzionale alla persona meravigliosa che sei, per l’ immensità delle doti umane più belle che in Te tutte dimorano.
Mi hai onorato di una risposta che pregia chiunque legga, esaustiva nel tentativo, che è proprio dell’ Uomo, di interrogarsi su se stessi.
Sul fatto stesso che si abbia un inizio ed una fine, l’ uomo sarà sempre oggetto di domande sul proprio essere e sulla propria esistenza, anche per quello la cui fede prevede una prosecuzione altrove.
Alle Tue vaste esaurienti considerazioni, mi riservo una mia semplice e riservata valutazione delle persone, che non bada alle parole se non dimostrate da un comportamento coerente sia sul piano personale che sociale (e Tu, per la Tua imperturbabile coerenza, sei un esempio a cui tanti dovrebbero far riferimento per giudicarsi).
È importante, nel processo evolutivo, per l’ impostazione del futuro adulto, l’ educazione familiare e l’ ambiente culturale. Gli esempi sono scuola più di qualsiasi imposizione.
Ti ringrazio, Kren, con un abbraccio significativo la mia Immensa Stima e Profondo Affetto.
Tua Sil
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Maria Silvia
Un grazie anche a te per aver provocato, con grrande intelligenza, questa risposta di Ninni.
Con un commento come il tuo anche Gabriele D’Annunzio avrebbe risposto.
Grazie amica mia.
Annelise
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Grazie a Te, Annelise, per le generose espressioni.
Il merito è tutto della preziosità di questo blog se i lettori sono motivati ad intervenire con impegno.
Ti lascio un saluto, con simpatia.
Maria Silvia
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Ecco che, in questa fase dei Mille Aghi” sei riuscito a declinare una fetta importante della vita umana e civile.
Quale genialità di uomo e letterto ti ha suggerito una storia così ben costruita?
Certamente una sensibilità non comune.
Quella sensibilità che ti ha atto optare per l’ideazione di “Mille Aghi”.
Mille Aghi ecco la dichiarazione per una sfida continua dove, senza mostrare alcun cedimento,
Ti metti in primo piano scommettendo, continuamente, in gioco affrontando tutti quegli ostacoli che, la natura letteraria, può presentare.
Ecco il valore.
Ecco la grandezza di un uomo che lascia, comunque, una traccia importante in chi lo legge.
Grazie Ninni.
Grazie davvero.
Ti stimo.
Babi
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Babi
Ciascuno di noi ha fatto esperienza della conflittualità che si scatena dentro di lui tra gli impulsi, le inclinazioni, il sentimento da un lato e dall’altro quella che solitamente viene chiamata la voce della ragione o della coscienza.
Sono conflitti che hanno trovato una loro sintesi in motti famosi, divenuti quasi proverbiali: “vedo quali sono le cose migliori, le approvo anche e tuttavia seguo le cose peggiori”.
Grazie per il vostro intervento
Cordialità
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La cultura diventa il dispositivo di analisi e difesa al tempo stesso.
La conoscenza diventa scienza, ma non può arrivare nè alla verità nè al totale controllo, per cui la paura continua.
Questo inverno non ha piovuto o nevicato poco sulle Alpi ,cosa ci riservirà la primavera e l’estate: queste sono le domande che si ponevano già millenni fa.
L’uomo per poter esercitare il controllo tenta di domare la natura prima conoscendone i segreti fenomenici e poi applicando l’arteficio.
Ma il timore della natura con il cataclisma è ancora evidente e come giustamente dici si è spostata dagli animali feroci alle organizzazioni sociali artificiali.
La paura primordiale ha cambiato nelle culture le sue trasposizioni, illudendosi che il dispositivo (giusta semantica) culturale potesse placare o guarire quella paura.
Il nostro essere non è mai cambiato. Oggi è l’economia la politica, gli attentati, oltre ai cataclismi ciò che rendono la vita imponderabile, non predittiva e quindi costruisce ansie, incertezze.
L’artificio umano ha amplificato l’impossiblità pratica del singolo uomo di poter intervenire sul fato, sul fio, sul destino.
E adatto che quella tribù quel clan è enorme in numero ed in estensione territoriale e quindi non controllabile socialmente dal singolo(per cui la realtà sociale è sempre meno a misura d’uomo) diventa un ulteriore prigionia e amplificatore di paura.
Non posso scartare apriori l’ipotesi che Dio, spiritualità credenze, siano nostre invenzioni illusorie per poter proprio controllare attraverso un dispositivo universalistico (la spiegazione totalizzante) quella paura recondita.
Si ha bisogno del simbolo totemico per relazionare e sublimare quella paura.
Il suo simbolo, genialissimo dott. Raimonondi è tutto qua.
Grazie
VF
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Seamur
Non basta vedere in cosa consista il bene, proprio perché il vedere può essere un atteggiamento puramente teorico, non necessariamente vincolante rispetto al problema del bene.
Aggiungo, poi: “vedo il meglio e anche lo approvo”.
Non è dunque sufficiente nemmeno dare la propria approvazione a ciò che si considera il bene, perché in qualunque istante io posso volgere le spalle a ciò che la ragione ha non solo conosciuto teoreticamente, ma anche approvato praticamente.
Quindi conoscere ed approvare sono condizioni certo necessarie per la bontà dell’azione, ma non sono ancora affatto sufficienti affinché l’azione stessa si possa produrre.
Da tali esperienze emerge allora che noi siamo costituiti da una pluralità di elementi: quella che a noi appare come l’unità, l’identità del nostro io, sembra in determinate circostanze spezzarsi, frantumarsi in una molteplicità di elementi in conflitto fra loro.
Tuttavia tale pluralità di elementi, tale molteplicità di forze in conflitto reciproco, sono riconducibili a due determinazioni di fondo: la prima, che potremmo definire una specie di energia impulsiva, un’energia cioè senza la quale niente si può tradurre nella concretezza del movimento e della processualità che è propria dell’azione pratica; questa energia da sola però non basta, perché accanto a questa abbiamo anche una seconda attività, che potremmo chiamare l’attività del pensiero propriamente detto, la capacità straordinaria che l’uomo possiede di aprirsi per così dire un varco tra le cose e di ricercare e di carpire un senso all’esperienza stessa.
Occorre allora sottolineare che né la forza impulsiva da sola, né l’attività conoscitiva, riescono a spiegare l’unità dell’agire, esse devono necessariamente concorrere.
L’umanità dell’uomo si esprime infatti tutte le volte che la capacità conoscitiva ha la forza di aprirsi, di lasciarsi invadere dalla capacità impulsiva che è la sola a consentire che ciò che l’attività conoscitiva ha colto si possa poi tradurre nella prassi; ma altrettanto vale per l’attività impulsiva, che deve per parte sua non rimanere sorda nei confronti dell’attività conoscitiva.
Grazie per aver risposto con tanta bellezza.
Buona giornata
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Strepitoso Milord! anzi gustoso e saporito come il nostro piatto preferito…condito dai nostri più cari ricordi 🤗🌹
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arielisolabella – Lea
Un grazie per questa risposta “d’Immagine”.
Buona giornata amica mia
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Scrivere che I Mille Aghi sono eccezionali, nei loro componenti,sarebbe supefluo.
Sono le risposte he seguono che ti prendono.
Grazie milord.
Grazie davvero
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Annelise Baum
Grazie per aver analizzato sia il pezzo, sia le risposte susseguenti.
Cordialità
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