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Venti anni prima.
Il fruscio di pizzi e tessuti si alternava al ticchettio dei passi sull’assito dello studio. Gemma entrò nella stanza circondata da uno svolazzare di stoffa rigorosamente rosa, quel profluvio di lustrini e trine luccicanti si scontravano violentemente con l’arredamento austero della sala.
I due divani Chesterfield testa di moro stanziavano nell’angolo dando le spalle alle pareti in mogano lucido. Un enorme tappeto Aubusson ricopriva lo spazio antistante sormontato da un tavolinetto basso. Era dotato di alcuni immancabili pezzi d’arredo, il vassoio d’argento Sheffield con due bicchieri e una bottiglia di Sazerac Rye invecchiato diciott’anni e una scatola di sigari Padrón ancora immacolata.
Quello era il severo e morigerato mondo dei grandi e di sicuro, non era posto per quella gozzoviglia rosa che di fronte a tanto rigore risultava assolutamente fuori luogo.
Camminava. Mia sorella camminava a passo di carica, sorreggendo con una mano l’orlo del vestito a strascico e con l’altra una sorta di reliquia avvolta nel velluto.
“Ti ho trovato finalmente!”
“Che vuoi, Gemma?”
Si piantò di fronte a me, le manine sui fianchi e lo sguardo affilato come una cesoia. “Avevi promesso, Anthy!”
“Uffff”, sbuffai tornando ad armeggiare con le pagine di un libro.
“Tu me l’avevi promesso!”
“Non ho voglia di partecipare a queste scemenze, lasciami in pace!”
Si aggiustò la tiara di strass sintetici e si spostò una ciocca di capelli dietro la spalla. “Perché non vuoi mai giocare con me?”
“Sono troppo grande per queste cose, e poi… ho da fare!”
Sfogliai un’altra pagina con una mossa indolente, senza prestare la minima attenzione alla profusione di caratteri stampati.
“E che cosa devi fare? Sentiamo!?”
“Sto leggendo”.
In realtà non avevo messo in fila nemmeno due frasi da quando ero chiuso lì dentro perché diciamoci la verità, mi stavo semplicemente nascondendo.
Gemma era troppo piccola, troppo ingenua per capire il dramma che si stava abbattendo come uno tsunami sulla nostra casa e quello studio al piano superiore, era l’unico luogo che prometteva silenzio e requie.
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Era una sorta di sancta sanctorum. Nessuno a parte mio padre rimaneva a lungo fra quelle pareti e soprattutto, era abbastanza lontano da risultare isolato e tranquillo.
Lassù non si sentivano le urla che risuonavano al piano inferiore, non si udivano le minacce sussurrate che infestavano la sala da pranzo. Lassù non aleggiava l’onta del tradimento.
In quel luogo ero solo ed ero al sicuro.
Avevo undici anni. Solo undici anni, ma avevo già capito che il convoglio su cui viaggiava la nostra famiglia aveva inesorabilmente deragliato dai binari. Non era stato difficile interpretare i segnali. Frasi dette a mezza bocca, mimate come se dichiarare apertamente la verità avesse potuto essere troppo reale, troppo concreto, troppo sconveniente.
Ero un bambino io, e come tale, avevo il diritto di non sapere. Avevo il diritto di ignorare, ma in realtà, avevo capito tutto benissimo.
Papà aveva un’altra famiglia da qualche parte e tutto il nostro mondo stava per crollare come un castello di carte in una giornata ventosa.
“Allora, Anthy, giochiamo o no?”
“No”.
“Ma perché? Perché nessuno vuole essere il mio cavaliere?”
“Perché i cavalieri non esistono”.
“Non è vero”, si imbronciò battendo ritmicamente le palpebre. “I cavalieri esistono invece!”
“Se lo dici tu…” bofonchiai girando ancora una pagina.
Mi fissava. Gemma mi fissava tutta occhi e labbra corrucciate. “Io non me ne vado. Finché non ti deciderai a giocare con me non me ne vado, hai capito?!”
Sprofondò sul pavimento circondata da un baccanale di tulle, pizzi e merletti.
La osservavo di sottecchi, le braccia conserte al petto e una profonda ruga di disappunto sulla fronte. Mia sorella era così, tutta tenacia e ostinazione. Non si mosse per un tempo immemore mentre io continuavo a sfogliare e risfogliare le pagine nervosamente. Quella presenza corrucciata dalle sfumature confetto era stata dapprima irritante, ma poi, mano a mano che il tempo passava divenne quasi divertente.
Era terribilmente buffa mentre con la manina si aggiustava la coroncina luccicante senza spostarsi di un millimetro; si avvertiva solo un rapido fruscio, come il battito d’ali di un uccellino e poi nient’altro.
Mi ritrovai a sorridere mentre la fissavo con la coda dell’occhio.
“Hai intenzione di rimanere lì per molto?”
“Finché tu non ti deciderai a giocare con me”.
Sollevai gli occhi in aria e sospirai. “E cosa dovrei fare di preciso?”
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Sembrò rianimarsi improvvisamente e il frullo d’ali che proveniva dalle sue vesti si udì sempre più forte mentre si alzava in piedi.
“Tu devi essere il mio cavaliere, devi uccidere il drago sputafuoco e salvarmi, poi penseremo alla cerimonia nuziale”.
Scossi la testa colpendomi la fronte con la mano. “E dove sarebbe questo drago sputafuoco?”
Si guardò intorno girando su se stessa come un derviscio rotante. “Credo che sia laggiù!”
“Dove?”
“Lì, dietro quella porta”.
“In quella sala ci sono solo i documenti di papà, nessun drago sputafuoco te lo posso assicurare”.
“Uffa, Anthy, dobbiamo fare finta! Possibile che non sai giocare a niente!?”
“Okay, facciamo finta. Allora, che devo fare?”
“Prendi quello e uccidi il drago?”
“Cosa?”
“Quello! Quel coso sul tavolo!”
Indicò il tagliacarte d’argento con le iniziali di papà e io storsi la bocca. “Non credo sia una buona idea”.
“E dai… ti prego…”
“E va bene…” brontolai.
“Evviva!”
Saltellò battendo ritmicamente le mani come se stesse per assistere a qualche avvenimento incredibile. Mi avvicinai alla porta incriminata brandendo il tagliacarte nella mano destra. Avanzavo lento, circospetto, come se davvero tra quell’accozzaglia di scartoffie ci fosse realmente qualche pericolo.
“Io non vedo niente, nessun drago mi dispiace”.
“Come fai a non vederlo? Non senti i versi che fa?”
“No. Nessun verso”.
“Uffa, Anthy, ti dico che sta facendo dei versi”.
“Ma quali?”
“Questi!”
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Si voltò verso di me, le mani sulla testa per mimare delle orecchie acuminate e il nasino arricciato. Grugniva. Rantolava cercando di emettere un suono degno della furia di un drago ma in realtà, era soltanto terribilmente buffa, la parodia di quello che avrebbe dovuto essere un feroce mostro assassino vestito di pizzo e merletti rosa.
Scossi la testa e per la prima volta dopo tanto tempo mi ritrovai a ridere. E ridevo di gusto, anche.
“Non c’è niente da ridere, devi trovare il drago!”
“Certo, agli ordini” sghignazzai entrando nella stanza incriminata. Mi richiusi la porta alle spalle e fissai il soffitto.
“Un drago sputafuoco…” mormorai fra me e me, “che follia!”
“Allora, lo hai ucciso?” la sua voce sottile come una lama trapassò l’uscio e io mi guardai intorno. Sull’armadietto a destra erano ordinati in fila una serie di vasetti d’inchiostro sigillati con la ceralacca. Ne afferrai uno di un bel rosso rubino e dopo aver richiuso accuratamente l’antina di vetro uscii dalla stanza.
“Lo hai ucciso, Anthy?”
“Sì, l’ho ucciso”.
“Ah, per fortuna!” puntò lo sguardo sulla mia mano e il verde brillante delle sue iridi fece un guizzo. “Che cos’hai lì?”
“Il sangue del drago, ovviamente”.
“Oddio, Anthy, sei il cavaliere migliore di tutti!”
“Beh sì, grazie”. Le consegnai quel vasetto come fosse il sacro Graal e lei mi fissò adorante.
“Adesso possiamo sposarci”.
“Èèèè?”
“Beh è ovvio, dopo che il cavaliere uccide il drago deve sposare la principessa!”
“Ma io non voglio sposarti, tu sei mia sorella!”
“Ma stiamo facendo finta, Anthy, smettila di interrompere il gioco!”
“Va bene, va bene”.
“Prendi questo!” disse porgendomi il sacchetto di velluto che custodiva come contenesse un oggetto preziosissimo.
“Che cos’è?”
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Scosse la testa disperata facendo scivolare appena sopra la fronte la corona luccicante. “Non sai proprio niente!” mi rimproverò riaggiustandosi quel monile irriverente. “Quello è l’anello della principessa, che sarei io, per cui adesso inginocchiati e fammi la proposta, forza!”
“La proposta?”
“Oddio!” si portò una manina alla fronte e agitò il capo. “La proposta è quella che il cavaliere fa alla sua principessa per chiederle di sposarla, devi dirmi tante belle cose e poi regalarmi l’anello, hai capito adesso?”
Tutta questa faccenda della proposta era abbastanza confusa. Mi grattai la testa con la mano mentre la sua fronte si corrucciava sempre di più.
Aprii il sacchetto e tirai fuori il preziosissimo anello della principessa. Beh, in realtà era un cerchietto di plastica sormontato da una grossa pietra rosa shocking. Lo rimirai fra le dita cercando di capire quale valore potesse mai avere quell’oggetto assurdo.
“Che aspetti?”
“Ma che devo fare?”
“Sei un disastro come cavaliere innamorato!” borbottò cingendosi i fianchi. Il vestito frusciò e lei si accigliò come poche volte in vita sua.
“Che state facendo qui dentro?”
La voce stentorea di mio padre risuonò nella stanza e la sua espressione era piuttosto indecifrabile.
“Anthy è un buono a nulla! Non è nemmeno capace di farmi una proposta come si deve!”
Io sbuffai guardando il soffitto a cassettoni e papà ci fissò sbalordito.
“E che genere di proposta dovrebbe farti, principessa?”
“Grrr!” ringhiò, “siete tutti uguali, non capite niente! Il cavaliere dopo aver ucciso il drago deve sposare la principessa, non si scappa! È così e basta!”
Papà avanzò avvicinandosi a quella nuvola di stoffa e si inginocchiò di fronte a lei.
“Adesso ho capito perfettamente la situazione, principessa, quindi tu vorresti che tuo fratello ti sposasse giusto?”
“Certo!”
“Ma io non voglio sposare lei, anzi non voglio sposare proprio nessuno! Io non mi sposerò mai!”
Mio padre si voltò a guardarmi con lo sguardo più serio che avessi mai visto. “Perché dici così?”
Non risposi e lui abbozzò un sorriso stentato. “Vedrai che un giorno, quando t’innamorerai della tua principessa cambierai idea”.
“Non credo, io non mi innamorerò mai”.
“Ne sei sicuro?”
“Sicurissimo. Io non mi innamorerò mai! Non mi sposerò mai! Non avrò bambini e non farò soffrire nessuno!” strillai lanciandogli addosso l’anello.
Gemma si fece da parte evitando di essere travolta dalla mia furia incontrollabile e io uscii correndo per le scale.
Qualche giorno dopo papà se ne andò di casa e io giurai a me stesso che non mi sarei mai legato a nessuna donna in vita mia.
Ma il mai durò solo fino a quando non incontrai lei.
“C’è un bigliettino nella scatola, vuoi leggerlo?”
Annuii col capo rigirandomi l’anello fra le mani.
Susan si schiarì la voce. “C’è scritto”:
“Forse avevi solo bisogno di trovare la principessa giusta…”
Papà.
Sentii lo stomaco addipanarsi su se stesso. Aveva ragione lui. Aveva sempre avuto ragione lui. Bastava solo trovare la principessa giusta.
“Amore, che cos’hai?”
“Niente”.
Continuava a fissare quel ninnolo con un’espressione strana, quasi commossa.
“Non è vero, c’è qualcosa che non va”.
“Ti giuro che non c’è assolutamente niente che non va”, mi rassicurò con un timido sorriso. “È che quest’anello… mi ha fatto tornare in mente delle cose, cose che avevo completamente dimenticato, tutto qui”.
“Vuoi parlarne?”
Scosse la testa divertito. “Quando eravamo bambini, Gemma voleva che giocassi con lei al cavaliere e alla principessa, questo era l’anello nuziale della principessa. Mia sorella l’adorava”.
“L’anello nuziale?”
“Sì, proprio quello, solo che secondo lei non sono mai stato bravo a fare una proposta come si deve”.
“Ho i miei dubbi, l’ultima volta che mi hai regalato un anello sei stato perfetto”.
“Dici?”
“Sì, dico”.
Il mio sguardo cadde inesorabilmente sulla mano. Avevo perso il suo solitario e improvvisamente mi sembrò che mi mancasse qualcosa. Qualcosa di importante.
Anthy seguì il movimento discendente dei miei occhi e mi prese la mano fra le sue. Se la portò alla bocca e la baciò. La baciò sulle dita e poi sul palmo, rimanendo immobile come se stesse riflettendo su qualcosa.
“Avevo giurato che non mi sarei mai innamorato, sai?” Pronunciò quelle parole continuando a sfiorarmi la pelle con le labbra. “Avevo giurato che non avrei mai avuto figli e che non mi sarei mai sposato”.
Lo guardai.
A lungo.
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Non sapevo più che dire, poi sollevò gli occhi. “Ho infranto tutti i miei giuramenti per te. Tu…”
“Cosa?” domandai col cuore che aveva ripreso a correre come un forsennato.
Si schiarì la voce e si inginocchiò di fronte a me. Stringeva quell’anello di plastica come se fosse un tesoro enorme.
“Ho dovuto pugnalare a morte un drago sputafuoco per ricevere questo”, sorrise. Il sorriso più bello che avessi mai visto e lo ricambiai.
“Ma davvero?”
“C’è poco da scherzare, uccidere un mostro con un tagliacarte non è impresa da tutti”.
“Ovvio”.
“Beh, comunque, erano almeno vent’anni che non vedevo quest’anello. Vent’anni in cui ho vissuto tenendo fede alle promesse che mi ero fatto quel giorno. Non mi sono mai innamorato, non ho avuto legami, niente storie, niente relazioni. Credevo di aver compiuto la scelta giusta, quella per me era senza dubbio la strada migliore, ma poi sei arrivata tu…” socchiuse le palpebre e le riaprì inondandomi con i suoi occhi. “Tu che nonostante i capelli spettinati, l’assenza di trucco e la maglietta più grande di quattro misure, sei e sarai sempre la principessa più bella che abbia mai visto. Sei tutto per me, Susan, perciò adesso ti chiederò una cosa e voglio che tu mi risponda sinceramente”.
Annuii.
“Vuoi essere la mia principessa per tutta la vita?”
Le labbra tremavano, il cuore batteva e le lacrime spingevano per uscire ma la mia testa continuava ad annuire senza sosta.
“È un sì?”
“Sì, è un sì”.
Prese l’anello di plastica e me lo infilò all’anulare. Era la cosa più pacchiana che avessi mai visto in vita mia, ma lo adoravo, e se avessi potuto, non me lo sarei mai più tolta.
“La mia principessa”, sussurrò baciandomi sulle labbra, “la mia bellissima principessa”.
Gli ormoni mescolati ad emozioni così forti erano un enorme invito alle lacrime. Piangevo. Piangevo e non riuscivo a smettere.
“Ti amo”, balbettai fra i singhiozzi e lui sorrise. Si piegò verso il comodino e aprì il cassetto. Tirò fuori una scatoletta di kleenex e me ne passò un paio. Mi asciugai le lacrime che sembravano non voler smettere di uscire.
Ero quasi ridicola rimiravo l’anulare, ridevo e piangevo, soffiavo, asciugavo e ricominciavo tutto da capo. Dopo avermi passato altri cinque o sei fazzolettini rimise a posto la scatola nel cassetto e si sedette al mio fianco.
“Non credo che Gemma sarebbe soddisfatta di questa proposta però”.
“Perché?” piagnucolai, “io l’ho trovata bellissima”.
“Tu dici?”
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Agitai il capo annuendo come una forsennata.
“Uhm, io non ne sono tanto convinto”.
“Per me è stata perfetta. Assolutamente perfetta”.
“Credo che manchi qualcosa”.
La pietra rosa shocking era quasi abbagliante tanto era forte il suo colore. “No, non manca niente, proprio niente”.
“E invece sì”, mi scostò i capelli dietro la spalla e mi baciò l’arco del collo. Uno. Due. Una scia di baci che mi fecero rabbrividire in tutto il corpo. Si fermò proprio all’altezza dell’orecchio e sospirò. “Gemma mi ucciderebbe se sapesse che ti ho dato il suo anello quindi, adesso te ne darò uno solo tuo”.
Sgranai gli occhi e mi voltai a guardarlo. Nella mano stringeva una scatolina argentata.
Credevo di aver messo a tacere le lacrime ma loro ripresero a defluire copiose.
“Mi hai comprato un altro anello?”
“Mhh ”.
Aprì il coperchio e io mi portai le mani alla bocca. Era meraviglioso, forse anche più bello del precedente. Brillava. Brillava come una stella nel firmamento.
“Basta piangere adesso”, mi asciugò le lacrime con il pollice e me lo infilò al dito dopo aver tolto l’altro.
“Ecco, adesso è tutto perfetto”.
“Sì”, dissi sfiorandomi l’addome, “adesso è tutto perfetto”.