Noi … XXXIII

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“È dritto?”
Quel maledetto papillon sembrava affetto da qualche strana forma di paralisi spastica, non aveva nessuna intenzione di stare a posto e io ero agitato.
Agitato cazzo.
Le mani tremavano, il cuore batteva a mille e…
Respira Anthy, respira.
“Dà qua! Tu sei troppo nervoso, amico mio”.
Due falcate e Brian fu di fronte a me. Il suo dannato farfallino era decisamente più dritto del mio, era assolutamente impeccabile.
“Cazzo!” sbuffai esasperato, sfilandomi dal collo quel nastro informe.
“Sei un fascio di nervi, devi darti una calmata”.
“Non è che ci hai ripensato?” domandò Morris mentre si allacciava i bottoni della camicia davanti allo specchio. Sollevai un sopracciglio e lo guardai male attraverso il mio riflesso.
“Ti sembra che ci abbia ripensato?” lo freddai indicando il mio abbigliamento elegante.
“Naa!” sghignazzò, “anche perché altrimenti, tua sorella ti taglierebbe le palle!”
“Cristo! Non ci voglio nemmeno pensare. Non vedo l’ora che sia tutto finito o quella pazza mi manderà al manicomio!”
Brian sorrise in modo sospetto. Era un sorriso, ne ero certo, ma lo teneva nascosto sollevando appena l’angolo della bocca quel tanto da increspare le pieghe degli occhi.
“Che c’è?” domandai.
“Niente”.
“Niente e ..?”

“Già. E adesso sta’ fermo o non riuscirò mai a fartelo diventare dritto!”
Morris si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti e ghignò. “Volete che vi lasci soli? Magari avete bisogno di un po’ di privacy, voi due…”
“Vaffanculo!” rispondemmo all’unisono.
“Volevo solo essere gentile!”
Io e Brian ci guardammo scuotendo la testa mentre le sue dita affusolate annodavano, circondavano e stringevano quel nastro indisciplinato.
“Ecco fatto! Adesso è perfetto!”
“Cazzo, amico, ci sai fare davvero con questa roba. Non capisco perché prima continuava ad ammosciarsi”.
Morris era piegato in due dalle risate. “Brian ha il tocco magico, amico. Con quelle manone fa dei veri e propri incantesimi”.
“Ahem…”
Qualcuno si schiarì la voce alle nostre spalle e tutti ci voltammo contemporaneamente verso la porta.
Il mio incubo personale era lì.
Appoggiata allo stipite con le braccia incrociate al petto mia sorella ci guardava contrariata. “Siete ancora a questo punto? Tra pochi minuti inizierà la cerimonia e tu non hai ancora finito di vestirti!”
Sembrava una nuvola di chiffon terribilmente incazzata.
“Ho quasi fatto”, brontolai infilandomi i gemelli con le iniziali nelle asole. “Susan è pronta?”
“Da un bel pezzo”, mi redarguì avvicinandosi come un tornado di livello cinque, se avessimo risposto ci sarebbero stati danni incredibili a cose e persone quindi rimanemmo in silenzio, perché quando Gemma era in quello stato, non andava assolutamente contraddetta.
Mi porse la giacca dello smoking e mi aiutò a infilarla. Lisciò il tessuto in più punti e appuntò una rosa sul bavero. Sembrava abbastanza soddisfatta, mi studiò con occhio critico dalla testa ai piedi e poi sbuffò.
“Che c’è che non va?” domandai agitato.

“Questo”, disse prendendo il papillon tra le mani, “è storto”.
“Non è vero! È perfetto!” si intromise Brian attirandosi addosso “lo sguardo”; vi ho già detto che mia sorella aveva lo stesso potere di Medusa nel pietrificare gli uomini?
“È storto!” ribadì sollevando la punta del naso e facendo ondeggiare i capelli sulla spalla. “Magari le tue mani a forza di toccare a destra e a manca, hanno perso il loro tocco magico”.
“Tu credi?!”
“È possibile”.
“Io ho i miei dubbi. E comunque, non sono sole le mie mani a toccare a destra e a manca, o sbaglio?!”
Che. Cazzo. Stava. Succedendo?
Io e Morris ci guardammo seguendo il botta e risposta fra quei due come il pubblico sbalordito a una finale di Coppa Davis.
Si guardavano. Si sbranavano e cazzo… sembrava quasi che si stessero per scopare con gli occhi.
“Okay, adesso basta! Tra dieci minuti mi devo sposare, per cui siete pregati di smetterla di litigare in questo modo”.
Gemma si girò verso di me e lo ignorò completamente. Brian si passò le dita fra i capelli deglutendo e Morris non riuscì più a trattenere una risata. Risata che ingoiò immediatamente non appena lo fulminai con un’occhiata torva.
“Siamo pronti?”
I ragazzi annuirono e seguimmo tutti e tre Gemma verso la cappella privata della Tenuta Montevago.
Eravamo in piedi davanti all’altare, io, Lorenzo, Brian e Morris, in attesa che la mia futura moglie facesse il suo ingresso.
Ero agitato? Da morire.
Ero teso? Troppo.

Ero felice? Immensamente.
Così felice che non riuscivo neppure a credere di essere lì. Non potevo stare fermo e mi muovevo di continuo. Era una tortura, una lunga estenuante tortura.
Posai lo sguardo sulle persone che riempivano quel piccolo spazio. Avremmo voluto una cerimonia riservata con pochi, pochissimi invitati, una cinquantina di persone al massimo, ma questo non faceva parte dei piani di mia madre.
“Sono anni che immagino il tuo matrimonio e ora tu vorresti chiedermi di non invitare i nostri amici?”
Questa era stata la sua risposta alla mia richiesta di privacy e la mia fidanzata, si era prontamente sacrificata alla causa di Margaret De Sangre. L’aveva guardata con quei due enormi occhioni azzurri e mortificati accettando senza battere ciglio la lunga lista di invitati che lei aveva già stilato.
Ne ero contento? Neanche un po’, ma il fatto che mia madre si fosse ammorbidita e che loro due avessero trovato una specie di affiatamento mi rendeva felice, così felice che alla fine, il mio matrimonio era stato trasformato in un enorme, grandioso e sontuosissimo evento mondano, proprio come lei aveva sempre sognato.
Poi c’era il problema numero due: Mia sorella.
Anche in quel caso era stata una partita persa in partenza, perché a Gemma si sa, non si può chiedere di fare le cose in modo morigerato.
Lei era la regina dei social e degli eventi esclusivi e il mio matrimonio, a quanto pareva, era esattamente quello, un avvenimento che sarebbe finito dritto sulla copertina di qualche giornale e sul suo profilo con migliaia di followers.
L’avevo sempre presa in giro per quella sua folle attività lavorativa ma dovevo ammettere che era stata veramente brava, aveva trasformato parte della cantina e delle sale della tenuta in una location da sogno.
Lunghi reticolati di luminarie ricoprivano gli antichi soffitti a volta regalando la sensazione di essere quasi sotto un cielo stellato. Il corridoio della piccola chiesa era addobbato con una sequela di botti di rovere da cui precipitavano a terra cascate di fiori dai colori delicati, sprazzi di bianco, di panna e poi rose. C’erano rose dappertutto.
Bianca aveva fatto arrivare quelle preferite di Susan, le Avant Garde, una qualità particolarissima dal colore insolito, una specie di lavanda tendente al grigio che era diventato ovviamente il tema dominante delle nozze.
Era tutto perfetto, spettacolare, mancava solo lei…

Può l’attacco di una canzone impedire ai polmoni di espandersi e al cuore di funzionare?
Sì, può farlo.
One and Only, la melodia che aveva fatto da sfondo al nostro primo bacio si diffuse in quell’ambiente elegante e io iniziai a vacillare.
Brian mi poggiò il palmo sulla spalla e mi voltai a guardarlo. Un lampo ceruleo attraversò gli occhi del mio migliore amico e vi lessi dentro più di quello che le parole avrebbero mai potuto dire. Lui era il bambino che mi aveva preso per mano vent’anni prima e mi aveva condotto con sé.
Ci eravamo capiti senza parlare, avevamo condiviso il nostro dolore, se c’era una cosa che avevo imparato in quel periodo, era che non solo l’amore unisce, lo fa anche il dolore.
Il dolore ti spezza, ti distrugge, ti annienta, ma se esiste qualcuno con cui condividerlo il dolore passa. Tutto alla fine si dimentica, ma quella tacita connessione che si è creata tra due esseri rimane. Rimane e attecchisce ogni giorno di più.
Annuii silenziosamente e lui sorrise.
Ero pronto. Pronto a iniziare un nuovo percorso con la donna che a breve sarebbe diventata mia moglie.
La prima a entrare fu Ollie.
Indossava lo stesso vestito di Gemma, un lungo abito elegante dalle sfumature cangianti e un piccolo bouquet di rose fra le mani. Ollie sorrideva e il mio cuore oscillava pericolosamente per l’agitazione saltando qualche battito. Percorse la navata prendendo posto davanti a Lorenzo e subito dopo fu la volta di Gemma.
Mia sorella camminava guardando dritta nella mia direzione, nessuna deviazione, nessuna occhiata curiosa, era assolutamente concentrata su di me. I suoi occhi mi parlavano, silenziosi e umidi, lucidi e raggianti.
Gemma era un altro pezzo del mio cuore, il più fragile e ribelle, quello che nessuno avrebbe mai potuto portare via. Ogni volta che la mia mente tornava indietro, lei era lì. C’era la faccia assurda del drago sputafuoco e gli occhi sognanti della principessa. C’erano le cantilene ripetute all’infinito, i suoi sorrisi sdentati e le lunghe ciocche attorcigliate. C’erano le sue lacrime e i suoi sorrisi, la sua personalità eccentrica e dilagante ma soprattutto, c’era quel battito, quel rintocco nel mio petto che era solo suo.
Gemma raggiunse Ollie e prese posto.
C’eravamo quasi, mancava solo Cora e poi sarebbe arrivata lei.
Piccoli passi incerti, occhi enormi e un sorriso spalancato. La sua amica entrò così, fissando mio fratello ininterrottamente. Prese posto davanti a Morris e si strinse al petto il suo bouquet senza smettere di guardarlo per un solo istante. Lorenzo era a disagio gli occhi che cercavano una costante via di fuga e le mani allacciate dietro la schiena.
Non avrei mai immaginato di trovarmi un giorno in quel posto, in prima linea davanti ai miei migliori amici e a mio fratello. Era già abbastanza strano pensare che mi stessi per sposare, ma avere lui nella fila dei testimoni mi sembrava addirittura incredibile.

Dopo l’incidente tutti i nostri dissapori si erano polverizzati come cenere, perché in fin dei conti, aveva sempre avuto ragione Gemma, eravamo molto più simili di quanto volessimo ammettere. Simili e diversi, ma pur sempre fratelli e in quel giorno così importante, lui doveva essere lì con me.
La musica aumentò improvvisamente e tutti si voltarono verso la porta centrale.
Martellava. Il mio petto si gonfiava scosso da pulsazioni incontrollabili che riecheggiavano fino alla gola. Le braccia pendevano lungo i fianchi, inermi, mentre un formicolio si diffondeva dalla punta delle dita fino ai gomiti. Gemma trattenne il fiato e tutti si alzarono in piedi.
Mio padre e mia madre, divisi da un’intera navata sorridevano e si voltarono entrambi verso il fondo della chiesa. La musica aumentò di intensità ma io non sentivo più nulla, non vedevo più nulla, c’era solo lei, ed era… bellissima, abbacinante, da spezzare il cuore.
Sorridevo. Sorridevo e incameravo aria dal naso contrastando la morsa che mi stringeva il petto.
Alex era alla sua destra il braccio a sostenerla mentre camminava.
Era una nuvola trapunta da una pioggia di stelle luminose. Il vestito, di una tonalità più chiara del panna, era completamente ricoperto da uno strato di strass e pizzo che rifulgevano sotto la luce. Le sue braccia eleganti erano avvolte da un velo leggero, tempestato in più punti da cascate di fiori luccicanti. Era una visione. Una visione angelica.
Un lunghissimo velo le copriva il viso e frusciava sul corridoio disseminato di petali.
Deglutivo e inspiravo. Deglutivo e traballavo. Deglutivo e pensavo che quell’angelo era lì per me.
Solo per me.
Alex era serio, imperturbabile. Il suo sguardo di ghiaccio si scioglieva solo quando si voltava a guardarla, si scioglieva e risplendeva di un sentimento umido e potente.
Percorsero l’intera navata e si avvicinarono agli scalini dell’altare.
Susan sorrideva. Sorrideva attraverso le labbra piene e lucide, attraverso gli occhi azzurri e meravigliosi. Quegli occhi che mi avevano preso in ostaggio dal primo momento in cui si erano posati sui miei.
Era arrivato il momento.
Suo fratello l’aiutò a salire i tre gradini che ci separavano continuando a guardarla. Guardava lei e poi guardò me. Fisso. Severo. Due lampi azzurri che nascondevano una velata minaccia. Mi stava offrendo sua sorella su un altare e voleva accertarsi che me ne sarei preso cura per sempre.
Annuii rassicurandolo con un cenno e lui fece lo stesso.
Le lasciò il braccio e mi porse la sua mano.
Un passo.
Un semplice innocuo passo e la mia vita non sarebbe stata più la stessa.

Luci e fiori. Una pioggia di petali sparsi a terra e una canzone. La nostra canzone.
“Sei pronta?”
Alex mi guardò offrendomi il braccio. Annuii sorridendo e gli porsi il mio. Con la mano libera mi strinse le dita e gli occhi si impregnarono di lacrime.
Mio fratello era sempre stato la mia roccia, il mio appiglio, l’unica famiglia che mi rimaneva e quel giorno, averlo al mio fianco era molto importante per me.
Alex poteva essere duro, severo ma dietro a quella facciata distante nascondeva un enorme cuore. Lui e Ollie erano il mio nido felice. La mia casa, almeno fino ad allora.
Avanzammo insieme. Lentamente. Un passo dietro l’altro mentre il vestito mi sfiorava le gambe. Il lungo velo frusciava come foglie smosse dal vento e io stringevo in mano il bouquet di fiori. Una cascata di rose, anthurium e piccole gemme incastonate fra i petali.
Gli occhi di tutti i presenti erano fissi su di me, mi osservavano curiosi, attenti, sognanti, ma gli unici che sentivo addosso erano i suoi. Neri, lucidi e luminosi.
Mi scrutava con attenzione donandomi occhiate piene d’ammirazione, proprio come si fa con qualcosa di inestimabile valore.
Avanzavo. Avanzavo cauta e mi guardavo intorno, incrociavo gli sguardi, dispensavo sorrisi ma non perdevo mai di vista il suo, che diventava sempre più splendente a ogni mia falcata.
Era nervoso, lo vedevo da come agitava le dita e dal movimento costante della gola, lui era nervoso ma lo ero anch’io.
Uno. Due. Tre battiti di ciglia e le palpebre si chiusero prima di riaprirsi pigramente. La musica mi invase il petto e lo fece espandere e tremare. Un ultimo, lentissimo passo e fui davanti a lui.
Anthy sorrise, si scambiò un’occhiata d’intesa con mio fratello e mi porse la mano. Era grande, salda e mi faceva sentire al sicuro. Sempre.
“Cari amici, siamo oggi qui riuniti per celebrare il matrimonio di questi due giovani sposi”. La voce del sacerdote rimbombava fra le antiche mura della chiesa ma io continuavo a fissare un unico punto, fissavo lui.
“Anthy e Susan, siete venuti a celebrare il matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?”
“Sì”, rispose lui e io annuii a mia volta. Il sacerdote fece un cenno di assenso e proseguì con l’omelia. Parole. Fiumi di parole aleggiavano intorno a noi ma niente riusciva a sfiorarci, ci eravamo completamente isolati nella nostra bolla, persi l’una negli occhi dell’altro che si parlavano silenziosi.
“Siete disposti, seguendo la via del matrimonio, ad amarvi e a rispettarvi l’un l’altro per tutta la vita?”

Ancora una volta annuimmo entrambi.
“Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi?”
La mia mano scese a sfiorare l’intricato motivo di pizzo che celava la rotondità del mio addome e la sfiorai. Anthy seguì il movimento delle mie dita e sorrise.
“Sì”, rispose con convinzione assoluta e un nuovo sciame di farfalle annidatosi nel mio stomaco riprese improvvisamente il volo.
“Sì”, confermai deglutendo.
“Se dunque è vostra intenzione unirvi in matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete davanti a Dio e alla sua Chiesa il vostro consenso”.
Anthy mi guardò con gli occhi colmi di emozione, mi porse la mano e io feci lo stesso. Sorridevo. Sorridevo e sembrava che quel sorriso non smettesse di espandersi.
“Anthy De Sangre Raineri, vuoi accogliere Susan come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e rispettarla tutti i giorni della tua vita?”
La sua stretta si fece ancora più salda e annuì continuando a fissarmi.
“Sì, lo voglio”.
“Susan Jennifer Croyton, vuoi accogliere Anthy come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e rispettarlo tutti i giorni della tua vita?”
La sua mano si muoveva impercettibilmente quasi fosse percorsa da scosse elettriche.
“Sì, lo voglio”, risposi
“Il Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa e vi ricolmi della sua benedizione. L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce”.
Io e Anthy continuavamo a guardarci e a sorridere, lo stavamo facendo sul serio. Stavamo per diventare marito e moglie.
“Ahem…” il sacerdote si schiarì la gola e ci girammo entrambi verso di lui. “Gli anelli…” mormorò sotto voce dopo aver allontanato il microfono. Anthy si voltò verso Brian e lui sussultò rovistando nella tasca interna della giacca. Gemma lo fucilò con uno sguardo assassino come se avesse appena rovinato il suo magnifico lavoro.
“Eccoli, eccoli, tranquilli”, sospirò con sollievo.
Ci porse il piccolo cuore di seta a cui erano annodate le fedi e Anthy lo sistemò sul banco di fronte a noi.
“Bene”, mormorò il sacerdote, “adesso che c’è tutto, possiamo proseguire”.
Si schiarì ancora la voce e riprese in mano il libretto delle celebrazioni.

“Il Signore benedica questi anelli che vi donate scambievolmente in segno d’amore e di fedeltà”.
Anthy sciolse il nastro a cui era fissata la mia fede e la prese in mano. Le dita tremavano, quasi non riuscisse a tenere saldamente quell’oggetto così piccolo e minuto. Se lo portò alla bocca e lo baciò.
“Susan”, mi prese la mano con delicatezza deglutendo un paio di volte, “ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà”.
La voce vibrava e il cuore batteva all’impazzata. Il metallo prezioso scivolò sulla pelle e provai quasi una sensazione di calore, un piacevole solletico che mi stava legando a lui in maniera indissolubile.
Mi chinai per sciogliere il nastrino che teneva annodato il suo anello e capii perfettamente perché la sua mano poco prima sembrava tremare, la mia stava facendo esattamente la stessa cosa.
“Anthy”, mi fermai a riprendere fiato, la voce graffiava la gola come se stessi ingoiando sabbia. “Anthy”, ripetei, “ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà”.
Gli presi la mano e con il cuore in gola gli infilai la fede al dito. Il sacerdote ci sorrise con approvazione e fece un passo indietro con un ondeggiante frusciare di tonache.
“Per il potere conferitomi dalla Chiesa, oggi, io vi dichiaro marito e moglie. E ora, Anthy”, sorrise, “puoi baciare la sposa”.
Un applauso fragoroso si levò fra le navate. Mani che battevano, ciglia che lasciavano scivolare via le lacrime e lui che mi baciava.
La sua bocca sulla mia era l’ultimo sigillo di quell’unione che aveva reso due anime sole, un tutt’uno.
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Il prossimo sarà l’ultimo capitolo e i commenti verranno riaperti.
Grazie per l’attenzione