Naris IX

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Posta a nord di Tebe, l’antichissima città di Copto era stata dedicata al dio Min, incarnazione di Osiride resuscitato, patrono delle carovane, dei minatori e degli esploratori del deserto. Vi ferveva un’intensa attività commerciale e il mercato delle pietre preziose e dei minerali era spesso teatro di discussioni animate.
Vento del Nord, che trasportava bevande, cibo e papiri, fu il primo a scendere dalla passerella, seguito da Naris e dal Vecchio, che aveva dormito per tutto il viaggio. L’asino si diresse verso il tempio della città percorrendo le strade affollate.
Informato dell’importanza del visitatore, il sommo sacerdote si affrettò ad accoglierlo. La sua confortevole residenza, adiacente al tempio, sorgeva al centro di un giardino in cui crescevano sicomori, giuggioli e melograni.
Il dignitario era energico e schietto.
“Principe Naris, che onore! Avete per caso bisogno dei miei servigi?”
“Giusto una domanda: possedete voi il Libro di Thot?”
“Solo il dio lo possiede!”
“Secondo la leggenda sarebbe nascosto a Copto…”
“In mezzo al fiume, in effetti, ma è impossibile prenderlo.”
“Vorrei trascorrere la notte a meditare nel santuario e domani poter disporre di un’imbarcazione e di un equipaggio esperto.”
“State pensando di… cercare il libro?”
“È la mia missione.”
“Una leggenda, principe Naris, soltanto una leggenda.”
“Desidero verificare alcuni dettagli di cui sono venuto a conoscenza.”
“Come volete… I vostri desideri saranno esauditi.”
Alloggiati e nutriti a dovere, il Vecchio e Vento del Nord si godettero un’ultima notte tranquilla. Il futuro si delineava così incerto che era meglio approfittare di qualunque occasione.

Una splendida imbarcazione a doppia vela, venti marinai, un’ampia cabina… Il sommo sacerdote aveva preso sul serio la richiesta dell’ospite.
“Destinazione?” chiese il capitano, un barbuto un po’ burbero.
“In mezzo al fiume.”
“Ma quella non è una destinazione!”
“Un punto pericoloso che non puoi non conoscere.”
Il capitano si grattò la barba.
“Non ci si avventura nessuno lì.”
“Ho tutto quello che ci servirà.”
Il Vecchio prevedeva già il peggio.
Essendogli stata promessa una ricompensa e dato lo status del passeggero, il capitano si sentì in obbligo di portarlo alla meta.
L’atmosfera si fece pesante e i marinai smisero di chiacchierare.
“Ci stiamo avvicinando, dobbiamo rallentare. Guardate laggiù!”
In mezzo al fiume, un vortice.
“Non si ferma mai”, si rammaricò il capitano. “Quel gorgo mostruoso ha già inghiottito imbarcazioni intere. Ora che l’avete visto, dovremmo rientrare a Copto.”
“Avvicinatevi di più e gettate l’ancora.”
La delicata manovra di avvicinamento fu eseguita al meglio.
Saldo sulle quattro zampe, Vento del Nord osservava il vortice con occhio inquieto tanto quanto il Vecchio.
“Non penserai di infilarti là dentro, ragazzo mio?”
Naris prese un cestino pieno di terra proveniente dal giardino sacro del dio Min, dove crescevano lattughe che contenevano un’energia particolare. Insieme alla terra il sommo sacerdote gli aveva consegnato alcune formule magiche utilizzate dai prospettori per scacciare i rettili.
Lo scriba gettò una manciata di terra nell’acqua che ribolliva. Lentamente il cerchio si ridusse e la furia si placò.
La seconda manciata fece sparire il vortice e la terza fece apparire un pozzo quadrato con le pareti lisce. In fondo, un groviglio di serpenti e scorpioni.
In piedi a prua, Naris alzò verso il sole una boccetta di profumo.
“Possano i tuoi raggi dare vita a questo liquido purificatore affinché allontani i guardiani malefici e lasci libero il mio cammino.”
Una goccia alla volta, il profumo denso toccò le orrende creature. Carapaci e pelle si misero a fumare.
Quando la nebbia del fumo si dissipò era rimasto solo un enorme serpente, attorcigliato intorno a uno scrigno di ferro.
L’asino emise tre ragli di un’intensità inaudita. Armato di pugnale, Naris si buttò nel pozzo. Il Vecchio, sgomento, chiuse gli occhi, preparandosi a sentire le urla di dolore del giovane.
Quando li riaprì, aveva di fronte uno spettacolo spaventoso: lo scriba aveva appena mozzato la testa del rettile! Ma la vittoria apparente ebbe breve durata: la testa si rincollò al corpo e le mascelle del mostro si spalancarono mettendo allo scoperto due enormi uncini. Il coltello si abbatté nuovamente sul serpente tagliandolo in due. Anche questa volta i pezzi si ricomposero.
Naris, per nulla scoraggiato, ripeté il gesto, ma questa volta sparse della sabbia sui due segmenti del corpo impedendo loro di ricongiungersi.
Nel frattempo ai marinai, sbalorditi, sembrava di vivere un incubo a occhi aperti.
Naris aprì lo scrigno di ferro. All’interno, un altro scrigno, di rame, ne conteneva uno in legno di ginepro che, a sua volta, ne avvolgeva uno di avorio e di ebano.
Le pareti del pozzo iniziarono a oscillare e l’acqua ad agitarsi. Il vortice aveva tutta l’aria di riformarsi.
“Torna su!” urlò il Vecchio. “Morirai affogato!”
Naris si mantenne calmo e con fatica ruppe la chiusura dello scrigno d’avorio e di ebano. Ed ecco che comparve lo scrigno d’argento.
Le oscillazioni aumentarono, il fiume si stava infuriando.
“Torna a bordo!”
Lo scrigno d’argento opponeva resistenza, ma lo scriba non si perse d’animo. Il gorgo si stava richiudendo e Naris rischiava di essere inghiottito.
Lo scrigno d’argento ne conteneva uno d’oro.
Il figlio di Ramses aveva raggiunto l’obiettivo: sollevandone il coperchio, si trovò davanti il Libro di Thot. Troppo tardi però per sfuggire all’onda che si era formata in superficie e che si sarebbe abbattuta su di lui.
Naris lesse la prima formula.
Così incantò il cielo, la terra, il regno sotterraneo, le montagne e le acque. I pesci del Nilo lo circondarono, gli uccelli lo salutarono. L’onda si dissolse, Naris ritornò in superficie e risalì sulla barca.
Vento del Nord si accovacciò. Il Vecchio e l’equipaggio guardarono il ragazzo sopravvissuto come se fosse sbucato dall’aldilà.
Naris si affrettò a recitare la seconda formula del Libro di Thot che gli permise di guardare in faccia il sole circondato dalle divinità che componevano la sua corona luminosa. Benché fosse pieno giorno, lo scriba poté vedere la luna nelle sue diverse fasi e milioni di stelle.
“Ce l’hai fatta”, constatò il Vecchio allibito.
“Non ancora, dammi della birra e dell’acqua.”
Che il ragazzo volesse la birra gli risultava comprensibile, ma l’acqua? Non ne aveva già avuta a sufficienza?
Utilizzando uno dei papiri nuovi trasportati da Vento del Nord, Naris ricopiò velocemente le due formule facendo attenzione a non commettere errori. Quindi, intrise il papiro di birra e lo fece dissolvere nell’acqua. Sotto lo sguardo sbalordito del Vecchio trangugiò la strana pozione.
“Ho dovuto bere il libro per poterne percepire la portata”, rivelò. “Così, non ne dimenticherò il contenuto.”
Naris arrotolò il papiro estratto dallo scrigno d’oro nella speranza che il Libro di Thot lo avrebbe aiutato nella lotta contro il mago che si era appropriato del vaso sigillato di Osiride.
Il Vecchio non si sentiva per niente al sicuro: possedere quel documento sarebbe stato fonte di grossi guai!
Quanto al capitano e al suo equipaggio, non avevano neppure il coraggio di guardare il figlio del faraone. Erano consapevoli degli straordinari poteri dei maghi, ma non ne avevano mai visto uno così da vicino e avevano assistito a un miracolo senza precedenti. Eliminando il vortice assassino, Naris aveva reso un grande servizio a tutti i naviganti!
“Torniamo a Copto?” chiese il capitano, pronto a soddisfare le richieste del suo passeggero.
Lo scriba acconsentì.
Una tempesta cominciò a sballottare l’imbarcazione, gli alberi cigolavano. I marinai si precipitarono a prendere il controllo. Il Vecchio temette di avere ragione.
*Armato di coltelli, colui che combatte per la luce affronta un’orda di serpenti, che portano un fuoco distruttore.

Dopo aver esaminato il cadavere dell’archivista sgozzato, Ithef diede l’autorizzazione a inumarlo e redasse un lungo rapporto per il nuovo governatore di Menfi. Nessun testimone, nessun sospetto evidente, un’inchiesta difficile, probabilmente un delitto commesso da un vagabondo o una rapina finita male dato il carattere irascibile della vittima. La proposta concreta era di intensificare le ronde della polizia per mantenere alto il livello di sicurezza tanto apprezzato dagli abitanti di Menfi.
Prudente qual era, Ithef evitava di formulare ipotesi più gravi: di quale clan era stato vittima l’archivista? Non era stato capace di tenere a freno la lingua? Il suo padrone non aveva più bisogno di lui? E chi era il padrone: Ramses, Naris o un assassino misterioso?
La scomparsa della figlia di un notabile, l’assassinio di uno specialista di alto livello, un conflitto aperto tra i due figli di Ramses… La tempesta si gonfiava e Ithef non aveva nessuna voglia di essere trascinato via come un filo di paglia.
Essendo riuscito a mantenere l’incarico, poteva sbarazzarsi delle mele marce e reclutare uomini fidati per dare vita a una squadra compatta. Soprattutto, non avrebbe dovuto scegliere uno schieramento invece dell’altro. Il generale Ramses sembrava più maestoso di Naris, ma la personalità del giovane scriba lo avvinceva. E la posta in gioco nel confronto tra i due fratelli era qualcosa che andava al di là delle competenze del capo della polizia di Menfi. La miglior strategia era quella di rimanere fedele al suo ruolo.
Stare a osservare le loro mosse: questo era il meglio che Ithef poteva fare nell’immediato.

La guaritrice non aveva risparmiato Marsinkara, costringendola a dare prova del suo talento. Un’embolia polmonare, una frattura della caviglia, un disturbo cardiaco, delle malattie della pelle, un bebè in pericolo… In ognuna di queste circostanze la discepola della dea leonessa aveva dimostrato grandi capacità pronunciando la formula di rito: “Una malattia che conosco e che sono in grado di combattere”.
Grazie ai rimedi che preparava con meticolosità, Marsinkara guariva i suoi pazienti o ne migliorava lo stato di salute sotto lo sguardo vigile della vecchia dai capelli bianchi, vera e propria padrona del villaggio alla quale il governatore obbediva a menadito.
Marsinkara usufruiva di due piccoli locali, una camera e un deposito trasformato in laboratorio. Le contadine le portavano le piante medicinali che faceva macerare in alcol diversi. Mescolava pozioni e preparava compresse.
“Mi sembri competente e sono disposta a proteggerti”, disse la vecchia. “Chi sta cercando di ucciderti?”
“Sicuramente il mio stesso padre.”
“Ha forse perso la ragione?”
“Persegue un obiettivo che disapprovo. E poiché conosco la verità mi deve eliminare.”
“E ha i mezzi per farlo?”
“Mio padre, Ishtun, è ricco e potente.”
“Eccoti quindi in fuga e ricercata…”
“Sono fidanzata e voglio ritrovare l’uomo che amo e che mi ama. Forse mi crede morta”, ammise Marsinkara.
Sedute in riva al fiume le due donne contemplavano un tramonto particolarmente luminoso. L’oro del cielo e l’argento del Nilo si univano per placare gli animi e nutrire il vecchio sole appena prima delle tenebre.
“E sei sicura di questo fidanzato?”
“Ci amiamo!”
“Sei giovane, Marsinkara, e piena di illusioni. Hai dubitato di tuo padre prima di scappare? E se il tuo fidanzato fosse un suo alleato?”
“Impossibile!”
“Per il Male niente è impossibile. Tu, sacerdotessa della dea leonessa, cerca di non essere troppo ingenua! Avere fiducia negli altri è stupido e la cecità si paga cara.”
La brutalità dell’avvertimento turbò Marsinkara, ma non scalfì minimamente le sue convinzioni.
“Hai ancora molte cose da scoprire. Ti consiglio di essere paziente per evitare errori irreparabili.”
“L’amore va al di là della fiducia!”
“La nostra giornata di lavoro non è ancora terminata. Ti insegnerò ad alleviare il dolore con l’imposizione delle mani.”
“E ne sarò capace?”
“Se non lo fossi, non ti avrei accolta in casa mia.”
La guaritrice aiutò Marsinkara a sviluppare il proprio magnetismo trasmettendole al medesimo tempo parte del suo stesso potere.
Quell’insegnamento si integrava a meraviglia con quello ricevuto al tempio e la giovane sentì che le sue percezioni si amplificavano. Da quel momento iniziò a combattere la sofferenza trasmettendo un calore benefico al corpo dei pazienti. Grazie a quel passaggio di magnetismo anche i rimedi utilizzati acquisivano maggiore efficacia.
“Come hai fatto ad accorgerti di questo dono?” chiese Marsinkara alla vecchia.
“Ascoltando le parole della leonessa.”
“Vuoi dire…”
“Anche io sono discepola di Sekhmet, che non ho incontrato a Menfi ma in mezzo al deserto. Non ho avuto scelta: o mi facevo divorare o riuscivo a sottometterla. La volontà di sopravvivere ha risvegliato in me una forza sconosciuta, dalle mie mani è uscito del fuoco e la leonessa mi ha leccato i piedi. Ho vissuto molti anni con lei e il suo clan prima di tornare nel mondo degli umani e stabilirmi qui. La mia condotta era dettata da un’unica esigenza: trasmettere la mia potenza a una terapeuta capace di sopportarne l’intensità. Niente è dovuto al caso, Marsinkara, e il tuo cane Geb ti ha portata fino a me.”

A Geb piaceva la sua nuova vita, cadenzata da notti tranquille, ottimi pasti, passeggiate lungo il fiume e visite ai malati. Si intendeva a meraviglia con l’anziana e non aveva ravvisato minacce.
Mentre era assopito a godersi una dolce brezza del nord, il cane nero si risvegliò improvvisamente dal suo torpore e con le orecchie dritte mise in allerta la sua padrona.
“Che succede?”
Nervoso, Geb condusse Marsinkara incontro alla guaritrice.
“Pericolo, ma lontano dal nostro villaggio…” valutò la donna. “Desideri affrontarlo?”
“Geb mi chiede di farlo.”
“Contempla la fiamma della lampada che illumina l’altare degli antenati. Quando al suo posto vedrai un paesaggio, chiudi gli occhi e abbandonati alla visione che ti sta pervadendo. Se provi un senso di terrore, riaprili.”
L’anziana appoggiò le mani sulla nuca della giovane. Lo spirito di Marsinkara si mescolò alla fiamma le cui lingue si facevano sempre più ampie. All’interno di una di esse, prese forma una riva disseminata di canne.
Marsinkara chiuse gli occhi.
Vide il fiume, i suoi mulinelli, sentì l’intensità della corrente. Affascinata, ma anche impaurita, la giovane distinse una barca di dimensioni notevoli e doppia vela. I marinai stavano portando a termine manovre delicate. Assaliti da un vento violento facevano fatica a mantenere a galla l’imbarcazione.
E Marsinkara vide Naris.
A poppa, stringeva un papiro contro il petto e a fatica si teneva in piedi. Si era scatenata una tempesta ed enormi onde si rovesciavano sulla barca, strappandone le vele.
Naris vacillò.
Spaventata, con il cuore in gola, Marsinkara aprì gli occhi, la fiamma l’abbagliò.
“Ti devo aiutare”, mormorò. “Sopravvivrai!”
Sentì girare la testa ma l’anziana le impedì di cadere a terra.
“Ho paura”, ammise. “Come faccio a soccorrerlo?”
“Con la tua magia puoi modificare il corso del destino.”
“Ma so soltanto curare gli ammalati!”
“Sei stata iniziata ai primi misteri di Sekhmet, il suo sguardo ti ha illuminata, hai visto la sua statua. A questo punto devi incontrare la leonessa del deserto. Solo allora saprai sei puoi essere utile all’uomo che ami.”
*Il magnetismo delle mani di una dea allontana la sofferenza e infonde energia.

“Ottima mossa!” esclamò Shlaq rivolgendosi al suo padrone, il notabile Ishtun. “Brindo alla vostra salute! Il vostro piano ha funzionato alla perfezione e i nostri avversari hanno abboccato all’amo. Portandoli qui, un passettino alla volta, li avete condotti alla sconfitta.”
Contemplando il giardino lussureggiante, Ishtun gongolava per la strategia che aveva elaborato.
Aveva cominciato a sospettare di quel sostituto lavandaio fin dal primo giorno. Prima o poi Charid il Salvatore avrebbe cercato di infiltrare una spia per osservare i movimenti dell’uomo sul quale ricadevano i suoi sospetti e per trovare il vaso sigillato di Osiride.
Quale magnifica occasione per piazzare una serie di colpi vincenti! L’apparizione di Shlaq disperato e la sua conversazione con Ishtun erano state entrambe delle messe in scena accuratamente preparate. La spia aveva creduto di aver captato informazioni riservate, in particolare il luogo in cui si nascondeva Marsinkara. Pensava poi di aver individuato la stanza in cui era stato riposto il tesoro dei tesori.
Manipolato alla perfezione, il gigante rosso aveva involontariamente favorito la nuova vittoria messa a segno da Ishtun.
A questo punto, cosa ne era dell’unità speciale di Charid il Salvatore? Alcuni erano caduti nell’imboscata del villaggio delle Gazzelle, altri erano stati distrutti nel tentativo di aprire il falso reliquario.
“Ramses non rimarrà con le mani in mano”, preannunciò il siriano. “Avendo imparato la lezione da questa disfatta attaccherà con impeto.”
“È probabile”, ammise Ishtun.
“Se Charid il Salvatore ha avuto il tempo di trasmettergli un rapporto, siete diventato l’obiettivo principale.”
“È inevitabile”, ammise Ishtun.
“Affrontare il faraone… Non vi spaventa?”
“Non sottovaluto l’avversario, ma dispongo di un’arma terrificante. E Ramses ne conosce la portata.”
“Allora darà ordine di uccidervi!”
“È già troppo tardi”, ironizzò Ishtun.
“Non sembrate minimamente preoccupato!”
“Il re spera ancora di ritrovare intatta l’arma in mio possesso. Ogni giorno che passa aumenta la potenza destinata a rivoltarsi contro di lui. Vuole farmi parlare e farà quindi di tutto per tenermi in vita, poiché sono l’unico a sapere dove si trova quell’inestimabile tesoro.”
Shlaq era affascinato da quel dignitario dalla statura impressionante, destinato a rivestire alte funzioni e deciso a combattere Ramses!
“Io sono siriano e odio l’Egitto che umilia il mio popolo. Ma voi… perché desiderate distruggere il re?”
“Perché incarna sulla terra la legge di Maat, la verità, la giustizia e la rettitudine, a detrimento della sola forza che deve dominare il mondo, il Male, che si trova all’origine di ogni forma vivente, detiene la potenza assoluta e rivela il cammino del potere. Erede di una lunga tradizione improntata alla lotta contro il Male, il faraone non ne percepisce la bellezza. Io invece ho questa fortuna.”
“Volete veramente annientare Ramses?”
Ishtun non riuscì a nascondere un ghigno carico di disprezzo.
“Il re sa di essere in pericolo. Questa guerra sarà lunga e violenta. Il tuo aiuto mi è prezioso, Shlaq. In fondo intuisci il nostro trionfo, qualunque siano i sacrifici che dovremo compiere.”
Con una guida così, come poteva dubitare Shlaq che l’esito non fosse favorevole?
“La prossima mossa?”
“Reclutare un numero sempre più grande di sostenitori della nostra causa e rafforzare la nostra rete. Un po’ alla volta ci infiltreremo nei servizi dello Stato all’insaputa dell’autorità centrale.”
“L’arma straordinaria…”
“Tu limitati alla tua missione. Io mi occupo del resto.”
Shlaq fu infastidito da quella risposta. Sbarazzarsi di Ishtun? Impossibile. Da solo, il siriano, non avrebbe avuto nessuna possibilità di vincere. Una volta annientato il regime del faraone, non avrebbe più permesso che nessun egizio governasse il paese, nemmeno Ishtun.
“Ci aspetta un’ottima cena”, annunciò il notabile. “Dopodiché lascerai la tenuta e raggiungerai le tue truppe. La tua priorità sarà di assicurarti il controllo del porto di Menfi.”
“Sarà fatto. Ben presto, quasi tutti gli scaricatori saranno sul nostro libro paga e potremo avvalerci di un bel numero di depositi. Tantissimi commercianti e artigiani lavorano già per noi e continueranno ad aumentare. Cosa dobbiamo temere dal nuovo governatore di Menfi?”
“Hai saputo sbarazzarti del precedente che minacciava di tradirci”, si compiacque Ishtun. “Il suo successore è un brav’uomo, serio e onesto. Si accontenterà di amministrare bene la città e non si accorgerà di nulla.”
“E Ithef, il capo della polizia… non bisognerebbe comprarselo al più presto?”
“Assolutamente no! È onesto ma anche prudente. Cercare di corromperlo sarebbe un passo falso che non ci procurerebbe nessun vantaggio. Ithef sa come farsi da parte evitando di schierarsi; gli interessa solo mantenere il posto e garantire la sicurezza degli abitanti di Menfi. Al momento opportuno ubbidirà ai nostri ordini.”
“E la minaccia ittita?” chiese Shlaq con tono preoccupato. “C’è chi teme un tentativo di invasione.”
“Riponiamo la nostra fiducia in Ramses e nella Grande sposa reale”, raccomandò Ishtun. “Dopo la battaglia di Qadesh, il re non ha abbassato la guardia e considera gli ittiti un grande pericolo. Quanto a Nefertari, mette in atto un’intensa attività diplomatica e non ha perso le speranze di riuscire a ottenere una pace durevole, il grande progetto del regno. Magnifica copertura, amico caro! Mentre la coppia reale si preoccupa degli ittiti, noi avanziamo nell’ombra.”
“Bisognerà pur uscirne da quest’ombra, prima o poi!”
“Non ci pensare e goditi le meravigliose preparazioni del mio cuoco.”

Ishtun era intento ad ammirare le stelle sulla terrazza della villa. Il segreto della vita, contenuto nel vaso di Osiride, era avvolto dalle tenebre. Ottimo esecutore, Shlaq sarebbe stato il suo braccio armato, incapace di capire il vero obiettivo del mago. Venale, rancoroso, ostinato, il siriano già si immaginava alla guida del paese che odiava e di cui avrebbe reso schiavi gli abitanti. Ishtun aveva tutto l’interesse a mantenere viva quell’illusione.
Amava la sua sontuosa dimora, il giardino, la tenuta laboriosa come un alveare, il paesaggio simbolo del suo stesso successo. Consapevole che sarebbero state le ultime ore di tranquillità, il notabile ne apprezzava ogni secondo.
La figlia gli mancava. La sua intelligenza le aveva permesso di sfuggire ai suoi inseguitori e Ithef, il capo della polizia di Menfi, non sarebbe mai riuscito a ritrovarla. Perfino la rete di Shlaq si era dimostrata impotente.
Il mago ne apprezzava la prodezza, degna di lui, ed era convinto che la giovane sarebbe tornata. Una volta assopito il sentimento di ribellione, si sarebbe ricordata del legame di sangue che li univa e avrebbe partecipato al grandioso progetto del padre.
Oltre a Ramses, vi erano altri due nemici che avrebbero cercato di eliminarlo: i figli del re.
Il mago alzò al cielo un coltello sul quale aveva inciso il nome di Naris. Si formò una nuvola dalla quale uscì un fulmine che riprodusse una scena che non lo sorprese affatto. Utilizzando le informazioni del vecchio archivista sgozzato da Shlaq, lo scriba aveva appena reperito il Libro di Thot.
Ishtun provò una soddisfazione enorme: ancora una volta tutto stava andando secondo i suoi piani. Estraendo il prezioso testo dallo scrigno d’oro, Naris credeva di poter evitare tutti i pericoli. Dimenticava che nessun mortale avrebbe potuto entrare in possesso del documento senza provocare la collera degli dei.
Il papiro avrebbe dovuto restare a Copto, in mezzo al fiume, sorvegliato da scorpioni e serpenti, e non riapparire mai. Violando quel divieto, Naris aveva firmato la sua condanna a morte. Un demone dell’altro mondo gli avrebbe fatto pagare caro quel crimine imperdonabile e il mago si sarebbe così sbarazzato di un avversario che, in caso di vittoria, avrebbe potuto diventare temibile.
Rimaneva ancora il generale Ramses, autentico guerriero, coraggioso e determinato, fatto apposta per regnare. Il padre ci aveva visto bene quando lo aveva messo alla testa delle forze armate e dell’unità speciale incaricata di ritrovare il vaso di Osiride. Lui e il fratello si erano innamorati di Marsinkara. Ora come ora la donna gli era inaccessibile, ma Ramses non avrebbe rinunciato a conquistarla.
Il generale aveva accettato il superbo bracciale offertogli da Ishtun, ignorando che il gioiello, sul quale era inciso il suo nome, avrebbe permesso al mago di sapere quando si incontrava con il re e conoscere il contenuto delle loro conversazioni.
Disegnò il bracciale sul pavimento della terrazza, lo ricoprì con un telo macchiato del sangue di una pecora sgozzata e attese che un raggio di luna lo avvolgesse in una luce malefica.
Dopodiché tracciò i geroglifici che componevano il nome di Ramses, che un po’ alla volta si dilatarono fino a fondersi tra loro.
Il mago fu allora in grado di vedere attraverso gli occhi del generale.

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