Voynich VII

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Lui girò il pomello e aprì la porta verso l’interno. Intuì all’istante che qualcosa non andava.
Sentì Lauren sussurrare: “Non entrare, Ross. Io chiudo sempre la porta a chiave. Dev’essere entrato qualcuno”.

Poi il mondo esplose.
Una forza irruente gli fece sbattere la porta in pieno viso, spingendolo indietro sul pianerottolo e facendogli urtare la testa contro la ringhiera. Un rivolo di sangue caldo gli oscurò la vista e attraverso la cortina rossa vide una figura in passamontagna che lo sovrastava. Un individuo più debole sarebbe stato messo al tappeto, invece Ross si rimise in piedi, si voltò verso la moglie, paralizzata in cima alle scale, e le gridò con tutto il fiato in gola: “Scappa, Lauren. Scappa!” L’intruso gli sferrò un calcio col tallone, colpendolo alla tempia e ristendendolo a terra.
Lauren corse, ma, piombando in uno stato d’incoscienza, Ross si rese conto che la moglie, incinta, non stava fuggendo. Stava correndo verso di lui, lo sguardo ardente di ansia protettiva e rabbia allo stato puro. “Lascialo stare! Lascia stare mio marito!”
La figura scavalcò Ross e si precipitò giù per le scale.
Lauren gli bloccava la strada. Ross allungò una mano e afferrò l’intruso, riuscendo soltanto a trattenerlo debolmente per una gamba dei pantaloni e scoprendogli una cicatrice profonda sopra la caviglia destra. Gridò a Lauren di togliersi di mezzo, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Assistette inerme mentre l’uomo si lanciava in avanti, scaraventando la donna contro la balaustra con una violenza tale da spezzare il corrimano e far cadere Lauren, tra urla di orrore, sul duro parquet dell’ingresso sottostante. Si udirono un tonfo e uno schiocco ripugnante. Poi silenzio. L’ultimo suono che Ross sentì prima che le tenebre misericordiosamente lo avvolgessero fu lo scatto della porta d’ingresso che si chiudeva alle spalle dell’intruso in fuga.

Uganda, Africa
A migliaia di chilometri di distanza, in una piccola cittadina sulle rive del lago Vittoria, il Jambo Internet Café rappresentava un angolo tecnologico all’avanguardia, il suo interno rinfrescato dall’aria condizionata un rifugio dal caldo asfissiante. Tra la giovane clientela del luogo ed escursionisti abbronzati che sorseggiavano caffè e battevano sulle tastiere dei terminali, saltava all’occhio un’anziana dal viso pallido. Bevendo un caffè macchiato dolce, suor Chantal scrutò lo schermo del computer, sbattendo a malapena le palpebre.
Per mesi, armata di bastone da passeggio, si era incamminata verso la città dall’ospedale umanitario sulla collina, aveva ordinato un caffè macchiato e una brioche e si era seduta a uno dei computer. Ogni volta, le sue fragili dita avevano digitato la stessa parola chiave in tutti i maggiori motori di ricerca per perlustrare la rete telematica. E, puntualmente, non aveva scoperto niente di nuovo. Dopo aver consumato la brioche e la bevanda, se ne tornava all’ospedale e si diceva che il mese successivo le cose sarebbero cambiate. Il mese successivo sarebbe stata sollevata del suo fardello.
Viveva all’ospedale da dodici anni e le piaceva lavorare lì, ma era consapevole che presto sarebbe arrivato il momento di partire. Non soltanto perché la madre superiora e le autorità ecclesiastiche avrebbero finito per porre troppe domande, com’era successo in ogni altro ospedale in cui aveva lavorato, ma soprattutto perché le sue preziose provviste cominciavano a scarseggiare e, per portare avanti la sua veglia solitaria, doveva fare rifornimento. Era difficile da credere, ma il suo tempo stava per scadere. Un moto di autocommiserazione penetrò la serenità della sua autodisciplina, ma suor Chantal scacciò quel pensiero dalla mente con fare colpevole e si concentrò sullo schermo del computer.
Per prima cosa, diede una scorsa ai siti di informazione: BBC, CNN e altri. Come al solito, le notizie non erano delle migliori. Un articolo sul nuovo oleodotto della Alascon Oil era particolarmente allarmante. Quando ebbe letto a sufficienza, aprì la pagina di Google e inserì la parola chiave.
Scorse velocemente le prime quattro pagine, liquidando ciascun risultato con un sospiro stanco.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.

Si soffermò, la tazza in mano, mantenendo la calma: aveva già trovato elementi incoraggianti, rivelatisi tutti un buco nell’acqua. Cliccò sul link e perlustrò il sito. Inconsapevolmente, poggiò il caffè sulla scrivania, ancora intatto. Nel corso della lettura, il cuore prese a batterle forte e le iniziarono a sudare le mani. Si portò le dita al soggolo per allentarlo, sentendosi d’un tratto mancare l’aria. Lottando per tenere a freno l’emozione crescente, visitò altri due siti, ricavando altre informazioni circostanziali, poi mandò in stampa le pagine più pertinenti. Dopo di che eseguì l’accesso protetto nel sito della Banque Genève e inserì password e numero di conto. Diede appena un’occhiata al cospicuo saldo. Il denaro era il mezzo per un fine.
Niente di più. Acquistò un biglietto aereo e trasferì i fondi alla banca più vicina, a Jinja. Infine si alzò, pagò per le pagine stampate e si precipitò fuori, lasciando il caffè a freddare sul tavolo.
Quando rientrò, nell’ospedale regnava il silenzio. Gran parte delle monache era nella cappella o fuori, nell’orticello di fertile terra rossa, a occuparsi del raccolto abbondante. Andò dritta nella sua stanzetta spartana e dispose tutti i suoi averi in una valigia minuscola. Prima di chiuderla recuperò un vecchio scrigno di legno non più grande di una scatola da scarpe e ne aprì il lucchetto. All’interno c’era una seconda scatola intarsiata ancor più piccola. Sollevò il coperchio per esaminarne il contenuto. La sacca, chiusa da una stringa di cuoio, era quasi vuota. Si sentì travolgere da un’ondata di sollievo e di euforia. Un tempo era stata piena fino all’orlo, ma ormai non aveva importanza se le scorte fossero finite. L’attesa era giunta al termine.
Un esitante colpetto alla porta la fece voltare di scatto e chiudere d’istinto la scatola.

Due bambini magri da far paura stavano sulla soglia.
“Cosa fa, sorella?”
Suor Chantal rivolse ai due un sorriso.
“Jambo, Samuel. Jambo, Joshua.” Samuel e Joshua Jarimogi erano gemelli, entrambi malati di AIDS.
La madre era morta sei mesi prima, dopo una lunga agonia, e secondo il parere dei dottori era inevitabile che i bambini facessero presto la stessa fine. Suor Chantal cercava di non affezionarsi troppo ai pazienti. Nel corso di tanti anni ne aveva visti morire troppi. Ma Samuel e Joshua avevano un posto speciale nel suo cuore.

“Giochiamo insieme?” chiese Samuel.
Suor Chantal gettò uno sguardo alla valigia, poi alla scatola. Avrebbe dovuto partire, prima che la madre superiora o una delle altre sorelle si fosse opposta, ma la sua veglia era quasi al termine e l’euforia la spinse a fare qualcosa di incauto: un piccolo atto di ribellione dopo un’esistenza votata alla disciplina, all’obbedienza, alla pazienza e all’abnegazione. “Sì, d’accordo. Giochiamo al tè.”
Prese la scatola intagliata e condusse i bambini nella cucina deserta. Mise il bollitore sul fuoco e disse loro di prendere due tazze col piattino. Aprì la sacca di pelle e ne svuotò il contenuto nella scatola, serbando il minimo indispensabile per l’ultima missione, consapevole del fatto che le forze la stavano abbandonando e che avrebbe dovuto risparmiarle per portare a termine la veglia e passare il fardello a qualcun altro. Ma ne aveva visti morire così tanti. Che male c’era ormai? Preparò il contenuto e inclinò la scatola in modo da raccoglierlo tutto in un angolo, ne versò con cautela metà in una tazza e metà nell’altra. Poi vi rovesciò l’acqua bollente.

Quando lei posò di nuovo la scatola, Samuel allungò una mano per afferrarla, stregato dagli insoliti intarsi nel legno. “Posso tenerla?”
Il primo istinto di suor Chantal fu quello di riprendersela, ma, quando si rese conto di non averne più bisogno, mise in tasca la sacca e annuì. “Certo, Sam, potete dividervi la scatola. Ma è molto antica e preziosa, perciò custoditela con cura.” Aggiunse del latte condensato nelle tazze e aspettò che il liquido si raffreddasse. “Ora, bambini, fate i bravi e bevete il tè.”

Roma, tre giorni dopo
Respirando la fragranza benefica dei pini, Nick Raimo guardò in basso, in direzione della basilica di San Pietro che si ergeva sulla foschia mattutina della città eterna. L’Aventino all’alba era deserto e per un momento Raimo indugiò nell’illusione di essere solo al mondo. In lontananza apparve un uomo di cui riconobbe all’istante il passo. Mentre si approntava al faccia a faccia, considerò l’ironia di quanto era successo. In tutti i suoi anni da assassino, La mano sinistra del diavolo non aveva mai sbagliato un colpo. E
tre giorni prima, l’unica volta in cui gli era stato ordinato di non far del male a nessuno, aveva fallito.
La zoppia dell’uomo adesso era ben visibile, come pure il suo abito nero. Raimo tornò con la mente alla notte in cui il prete gli aveva fatto visita al rifugio alpino. Nel rievocare le emozioni discordanti di quella sera, la mente lo riportò ancora più indietro: alla sua infanzia e al torrido cortile polveroso dell’orfanotrofio gesuita di Napoli. Laggiù non c’era profumo di pini, solo il miasma delle fogne, del sudore, della paura. Fratellastri, nati dalla stessa prostituta, lui e Leo allora erano l’uno il solo amico dell’altro. Gli opposti vincolati da un comune bisogno di appartenere a qualcuno, e di sopravvivere. Il fratellastro maggiore, più minuto e intelligente, lo aveva aiutato con lo studio, mentre lui lo aveva protetto quando gli altri ragazzi lo avevano preso di mira per la sua gracilità e il suo acume. 

Poi avevano lasciato l’orfanotrofio e tutto era cambiato.
I gesuiti avevano sempre stimato l’intelligenza di Leo e lo avevano incoraggiato a prendere i voti per proseguire gli studi. La Chiesa era diventata la sua salvezza. Raimo, invece, aveva sempre odiato quei preti che non avevano mai avuto tempo per le sue maniere un po’ rozze. Così aveva voltato le spalle alla Chiesa e si era unito alla camorra. Col passare degli anni i due fratelli avevano imboccato strade sempre più diverse: il primo era diventato un potente clericale dedito alla salvezza delle anime, il secondo un temuto assassino pagato per mietere vittime.

Quando però Raimo aveva scoperto che stava per morire, aveva chiamato
l’unica persona che riteneva in grado di redimerlo. Con sua sorpresa, gratitudine e vergogna, Leo aveva risposto all’appello e aveva offerto a Raimo un modo per assolversi dai peccati. Ma ora, nel guardare il padre generale Leonardo Torino avvicinarsi nella bruma del primo mattino, Raimo sapeva di aver tradito le sue aspettative. Riusciva a scorgere la rabbia e il disprezzo negli occhi del fratellastro.
Torino non gli sorrise né lo salutò, diede solo un colpetto sull’orologio.

“Facciamola breve, Nick. Sono un uomo impegnato e non voglio che qualcuno mi venga a cercare. Cos’è capitato in America? Pensavo che te la cavassi bene in queste cose. Il piano era di entrare, reperire le informazioni e fuggire. Non di compromettere il lavoro della dottoressa Kelly, nell’eventualità che non l’avesse finito. Di sicuro non ti avevo detto di far del male a qualcuno e di coinvolgere la polizia. Volevo solo sapere cos’avesse scoperto.”
Raimo non riusciva a sostenere il suo sguardo. “Mi avevi detto che sarebbero stati fuori per tre settimane, Leo.”
“Non chiamarmi Leo. Devi rivolgerti a me come ‘padre generale’.” Seguì una pausa di silenzio. “Avrebbero dovuto essere in vacanza. Il punto è che tu eri tenuto a usare discrezione.”
“L’ho fatto, padre generale. Mi sono coperto il viso e non ho lasciato tracce. La polizia supporrà che sia fuggito senza portar via molto. Se fossero stati fuori come lei aveva detto, nessuno si sarebbe accorto che ero stato lì. Ma ho dovuto usare la forza per scappare, o non avrebbe avuto ciò che voleva. Alla fine ho preso anche degli oggetti di valore per farlo sembrare un semplice furto.”

Torino non fiatò per alcuni istanti, continuando a squadrare con occhio bieco Raimo, che teneva lo sguardo fisso nel vuoto. “Mi hai deluso, Nick.
Il tuo cammino verso l’assoluzione è cominciato col piede sbagliato.” Si riempì i polmoni della fragrante aria mattutina. “Ma non è ancora tutto perduto. Se hai quello che ti ho chiesto, Nick.”
Raimo frugò nella tasca della giacca ed estrasse un hard disk portatile LaCie. “Prima di essere interrotto, ho scaricato gran parte delle cartelle importanti che mi aveva detto di cercare.” Passò la scatoletta a Torino.
“Ma non tutte.”

Torino posò lo sguardo sull’hard disk nelle sue mani e poi lo alzò verso Raimo. “Sarà meglio che ci sia quello che ti ho chiesto. Ti contatterò quando avrò bisogno di te.” Nascose la scatoletta nella veste, si voltò di scatto e si allontanò: l’incontro era finito.
Raimo ripensò ai corpi accasciati di Ross e Lauren Kelly e a quello che aveva fatto per impossessarsi di ciò che Torino desiderava. “È sicuro che sia questo che la Chiesa vuole, padre generale?” gli gridò dietro. “È sicuro che sia il modo giusto per ottenere il perdono?”
Torino si fermò e Raimo vide la tensione nelle sue spalle. “Come osi mettere in dubbio le mie parole? Se avrò bisogno di una consulenza su come uccidere qualcuno, verrò da te. Ma sono io a giudicare quali sono i desideri e le necessità della Chiesa.” Torino socchiuse gli occhi infossati e si avvicinò a Raimo, tanto che quest’ultimo riuscì a sentire l’odore di aglio e menta del suo alito. “Mi hai supplicato di aiutarti. Ricordi?” Prima che potesse rispondere, Torino afferrò Raimo per le palle, stringendo il suo morbido scroto attraverso i pantaloni.

“Che cosa…” Raimo fece per tirargli via il polso. Sapeva di poter uccidere Torino con un sol colpo, ma gli occhi scuri del fratellastro lo tenevano paralizzato.
“Ascoltami, Nick. Sei stato tu a chiedere il mio aiuto. Non dimenticarlo mai.” Serrò la stretta. “Sai perché Dio ha lasciato che i chirurghi ti tagliassero una delle tue palle? Perché rappresentano la tua doppia vita: quella che vivi adesso e quella dopo la morte. Dio si è preso la prima per colpa dei tuoi peccati passati e, se vuoi tenerti la seconda, quella che rappresenta il tuo futuro eterno, devi seguire Lui e la Sua Chiesa. Dio ti tiene per le palle, Nick. Hai detto che volevi l’assoluzione. La domanda è: quanto la vuoi?”
“Gliel’ho detto. La voglio. Ne ho bisogno. “
“Nel medioevo, in Inghilterra, quando un uomo era chiamato a deporre in tribunale, non metteva la mano sulla Bibbia. Si teneva i testicoli. La parola ‘testimonianza’ deriva da quella pratica. E siccome sto tenendo in mano l’ultimo che ti resta, Nick, sappi che hai giurato davanti a Dio. Stiamo combattendo una crociata, la Chiesa sta lottando per la propria sopravvivenza e Dio ti chiede di aiutare uno dei suoi ministri a fare tutto ciò che è necessario.” Rimase in silenzio, lasciando che le parole attecchissero. “Tu non lavori più per la camorra. Non sei più La mano sinistra del diavolo, un vile assassino che uccide per soldi, ma un crociato, un guerriero santo, la mano destra di Dio che brandisce una spada purificatrice contro i nemici mortali del Vaticano. Da questo giorno in poi qualsiasi cosa ti dica di fare nel Suo nome è consacrata, pura, giusta. Capisci?”
“Sì.” A dispetto del dolore – o proprio per quello – Raimo si sentì rincuorato. Alla fine aveva trovato uno scopo e vi si sarebbe dedicato, anima e  corpo. Torino gli stava mostrando il cammino incondizionato che conduceva alla redenzione e che avrebbe seguito sino in fondo. Comunque fosse finita.
Come per telepatia, il Preposito generale mollò la presa. “Sei pronto a fare tutto quello che è necessario per la Chiesa, per quanto rischioso? E offrirai il tuo aiuto senza fare domande?”
“Sì.”
“Se ne parlerai con qualcuno, la Chiesa sconfesserà tutto. Io sconfesserò tutto. Hai capito?”
“Voglio solo l’assoluzione, padre generale.”
“Devi guadagnartela, Nick. Devi guadagnartela.”

Una volta tornato ai suoi alloggi, Torino collegò l’hard disk al portatile.
Mentre ne esaminava il contenuto, provò una punta di rimorso per Lauren Kelly e suo marito. D’altra parte le aveva offerto la possibilità di collaborare e lei l’aveva rifiutata. Sebbene non avesse voluto in nessun modo che Raimo facesse loro del male, entrare in possesso delle informazioni di cui disponeva la linguista era di vitale importanza. In modo quasi perverso, quello che era successo poteva persino volgere a favore della Chiesa. Con la dottoressa ridotta al silenzio, sarebbe stato più semplice proteggere la scoperta di cui si parlava nel Voynich, ammesso che avesse finito di tradurlo. La sua preoccupazione maggiore erano il Santo Padre e il resto della Curia. Finché non avesse prodotto delle prove, non avrebbero mai approvato il suo operato, soprattutto la profana alleanza con Raimo.
Sullo schermo del computer, i file documentavano gran parte dei successi e dei fallimenti sul percorso tortuoso intrapreso da Lauren Kelly per decodificare il Voynich. Lesse con quale velocità avesse scartato, con l’aiuto di Zeb Quinn, l’uso di un cifrario polialfabetico e come, dopo innumerevoli tentativi, avesse fatto appello all’impressionante vastità delle sue conoscenze linguistiche per dedurre che il testo era in un linguaggio artificiale a posteriori basato su due lingue preesistenti. Torino aveva appreso tutto ciò dal discorso a Yale, ma nei file venivano svelati i dettagli. Il voynichese era a prima vista un ibrido tra un latino estremamente articolato e il dialetto cinese mandarino in cui i caratteri rappresentavano non solo le lettere dell’alfabeto ma intere parole e frasi. Sia le lettere più pertinenti dell’alfabeto latino sia gli ideogrammi chiave del cinese erano stati traslitterati nei singolari caratteri usati nel testo del Voynich, camuffando ancor di più quella miscela di lingue. Oltre alla traslitterazione, tuttavia, la parte tradotta del manoscritto non conteneva codici. L’uso del cinese collimava con le ricerche di Torino su Falcon. Favorito di Ignazio di Loyola, padre Orlando Falcon era stato inviato, intorno al 1540, in una delle prime missioni in Cina. 

Torino aveva appreso dagli Archivi dell’Inquisizione che l’autore era dotato di un intelletto straordinario; era una delle ragioni per cui la Chiesa aveva preso così sul serio le sue dichiarazioni e per cui lo aveva punito con tanta severità. Torino era impressionato, nondimeno, dalla profondità e dall’ampiezza dell’erudizione della dottoressa Kelly e dall’approccio controintuitivo grazie a cui aveva investigato nella mente geniale dell’autore per trovare la chiave di tutta la sua storia.

Quasi tutta.
Scorrendo i documenti, Torino trovò la traduzione letterale del Voynich.
Era persino più vivida e terrificante della sinossi, pur non comprendendo la sezione astrologica. E non c’erano menzioni alla radix, o “fonte”, di padre Orlando. In uno dei suoi primi file la dottoressa Kelly aveva scritto:

Da quanto ho capito, credo che la sezione astrologica conclusiva possa contenere una serie di rilevamenti bussola, coordinate geografiche e segni dello zodiaco. Ho il vago sospetto che, più procederò con la traduzione, più sarò costretta a rivalutare le mie supposizioni sul documento e sui suoi misteri…

Cosa voleva dire? Aveva corretto l’ipotesi iniziale che il documento fosse un’allegoria, interpretandola invece come la cronistoria di quello che l’autore aveva realmente scoperto? In caso affermativo, era riuscita da allora a trovare il bandolo dell’ultima sezione astrologica e della mappa che poteva racchiudere? Era ambigua in modo seducente.
Maledicendo Raimo per non aver portato a termine la sua missione, esaminò il resto dei file, ma non c’era niente a dimostrazione del fatto che la studiosa avesse decifrato la sezione finale. A ogni modo, la traduzione integrale della dottoressa Kelly poteva trovarsi nei file che Raimo non era stato in grado di scaricare prima di essere interrotto. Se le cose stavano così, Torino doveva procurarseli, per il bene della Chiesa.

Ma come?
Voleva precipitarsi fuori e ordinare a Raimo di tornare a perquisire il resto del computer. Ma casa Kelly ormai era la scena di un crimine e probabilmente era sotto sorveglianza. In qualità di Preposito generale dei gesuiti, non poteva permettersi di avere imputazioni a suo carico.

Non aveva scelta.
Avrebbe dovuto portare pazienza e cogliere l’occasione quando si sarebbe presentata.
Ma si sentiva tutto tranne che paziente.
Era come una bomba a orologeria che ticchettava verso il momento in cui la sua amata Chiesa avesse compiuto il proprio destino come unico ministro di Dio sulla Terra, o fosse scomparsa, liquidata come una reliquia falsa.
(segue …)

Un pensiero su “Voynich VII

  1. Mi interessa molto il futuro: è lì che passerò il resto della mia vita.

    Di questo sono certo.
    Se apriamo una lite tra il presente e il passato, rischiamo di perdere il futuro.
    La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti.
    L’avvenire è la porta, ma il passato ne è la chiave.

    Grazie per aver letto e cordialità

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