La morte li aveva fatti incontrare.
Si erano conosciuti al funerale di un amico comune di Boston mentre lui era al MIT e lei a Harvard. In seguito gli aveva confessato di aver inizialmente provato antipatia nei suoi confronti. Pensava che fosse troppo sicuro del suo aspetto fisico, di se stesso. Poi avevano iniziato a parlare, a parlare sul serio, e avevano scoperto che di recente lei aveva perduto il padre e lui la madre.
La morte li aveva uniti.
Avevano poche cose in comune. Lei era religiosa e credeva fermamente nella conservazione. Lui era ateo e non si faceva problemi a lavorare per le sette sorelle. Ma l’uno amava il modo di pensare dell’altra. Lui amava i capelli e il profumo di lei. Lei la forza e la capacità di ascoltare di lui. Si erano innamorati subito l’uno dell’altra, e tanto era bastato. Dicevano per scherzo che sarebbero vissuti insieme per sempre o sarebbero morti provandoci. Niente li avrebbe divisi. Mai. Se uno si fosse smarrito, l’altra sarebbe andata in capo al mondo per cercarlo.
Ross si ritrovò a fissare l’oscurità, attanagliato dal panico, incapace di ritrovare la sua anima gemella. Lauren si era smarrita.
La morte minacciava di separarli.
“Ross, Ross, Ross.”
Ebbe un tuffo al cuore. La sentiva chiamare attraverso le tenebre. Era in trappola e aveva bisogno del suo aiuto. Doveva ritrovarla e fare tutto il possibile per portarla in salvo… “Ross.”
La mano sulla spalla lo scosse delicatamente.
“Ross, svegliati.”
Ross aprì gli occhi e, non appena vide quel volto, la sua prima sensazione fu di sollievo: era solo un incubo. Lauren stava bene. Era lì.
Ma non era Lauren. Aveva i capelli rossi. Era la sua assistente, Zeb Quinn. Una tristezza nauseabonda tornò a tormentarlo.
“Ross, sono circa le tre del pomeriggio. Ti ho lasciato dormire qualche ora dopo pranzo mentre vegliavo Lauren. Adesso devo tornare a Yale, ma tuo padre e la madre di Lauren stanno per arrivare. Il dottor Greenbloom, il neurologo, ha detto che vuole parlare con tutti voi. Sei d’accordo?”
“Sì, sì, va bene.” Si stropicciò gli occhi e si alzò dalla sedia accanto al letto di Lauren. Indossava i jeans e un maglione scolorito e si sentiva rimbambito dal sonno. “Grazie, Zeb. Grazie di tutto.”
“Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami. D’accordo?”
“Sì, grazie.” Una volta che Zeb se ne fu andata, si diresse verso il bagno adiacente e si rinfrescò il viso. Erano passate tre settimane dal furto e, da allora, era visibilmente invecchiato. La faccia pallida, gli occhi azzurri iniettati di sangue e tra i capelli – rasati parzialmente dove gli avevano applicato dodici punti – una muta di chiazze argento appena spuntata. I dottori dicevano che la microfrattura al cranio stava guarendo bene e che la spalla slogata era a posto. Ma quella era solo metà della storia. . Tornò nella camera di Lauren. La stanza a pagamento all’ospedale del Sacro Cuore fuori Bridgeport, nel Connecticut, era pulita e luminosa. Una grande finestra si affacciava sul Long Island Sound e più a destra si vedevano le distanti torri di Manhattan. Fiori e biglietti incorniciavano l’ampio davanzale. Nelle ultime settimane, gli amici lo avevano tempestato di messaggi; i pochi che erano venuti in visita si erano dimostrati premurosi, ma a disagio, indecisi su come reagire di fronte alle condizioni di Lauren. Ross si sentiva sollevato che pochi avessero saputo della gravidanza e ora preferiva rimanere solo; era già abbastanza dura far fronte al proprio trauma senza dover gestire anche quello altrui. L’unica eccezione era Zeb Quinn.
Sebbene lei e Ross non fossero mai andati molto d’accordo, si era rivelata un’amica vera e una persona dotata di grande senso pratico. Le due orchidee sul davanzale venivano dalle sorelle di Lauren, che adesso vivevano all’estero, una a Londra e l’altra a Sidney. Erano accorse entrambe dopo l’incidente ed erano rimaste due settimane per offrire aiuto e sostegno alla madre. Durante l’ultima settimana avevano fatto ritorno alle rispettive famiglie. Uno dei mazzi più grandi era della Xplore. Dopo i convenevoli, Kovacs aveva detto a Ross che lo rivolevano nella squadra e che erano disposti ad aspettare che fosse pronto a discutere i termini. Ma in
quel momento a Ross non poteva importare di meno della sua carriera.
Il letto di Lauren era in mezzo alla stanza. Era stata girata sul fianco sinistro per impedire la formazione di piaghe da decubito. Cannule e fili collegavano il suo corpo a una serie di monitor e deflussori. Un tubo endotracheale bianco le fuoriusciva dalla bocca e il suono ritmico del respiratore regnava nella stanza silenziosa. Le bende alla testa erano state tolte e i capelli biondi avevano ricominciato a crescere dopo l’operazione. Teneva gli occhi chiusi. Sembrava fragile e bella, come una principessa addormentata.
Ross immaginò che, se l’avesse baciata nel modo giusto, avrebbe potuto ridestarla e guarire il suo corpo martoriato.
Guardandola, sentì salire un impeto di odio per il manoscritto Voynich.
Se non si fosse sentita in dovere di finirlo, a quell’ora sarebbero stati in vacanza. Invece lui aveva trascorso le ultime settimane all’inferno, a trascinarsi per la casa vuota che Lauren – solo e soltanto lei – aveva reso una vera casa, in cui ogni dettaglio parlava di lei e dei loro momenti felici insieme. Aveva il presentimento che il ladro fosse interessato ai file di Lauren, anche se non sussistevano né prove né indizi. La polizia aveva speculato sul movente dell’intruso, ma l’unica certezza era che Ross e Lauren lo avessero interrotto e che lei si fosse semplicemente trovata sulla sua traiettoria. .
Era così ingiusto. Così insensato.
Delle voci sommesse dal corridoio interruppero il flusso dei suoi pensieri. Ci fu un colpetto alla porta, poi Henry Greenbloom entrò con una cartella in mano: il neurochirurgo, un uomo pallido, spigoloso, tenne lo sguardo incollato al letto mentre salutava Ross. La madre di Lauren, Diana Wharton, lo seguiva in compagnia di suo padre. Non appena entrati, diedero un forte abbraccio a Ross. Quei due sembravano l’uno il contrario dell’altra: Sam Kelly era un grosso fattore con le mani callose e un viso dai tratti marcati, segnati dalle intemperie, mentre la madre di Lauren era un’elegante accademica di Manhattan dalla pelle d’alabastro. A dispetto di tutto, Sam e Diana avevano stretto un’improbabile amicizia. Entrambi erano rimasti vedovi più o meno alla stessa età, ma la vera ragione di quel sodalizio era molto più banale: erano tutti e due brave persone che si piacevano, si rispettavano e amavano i propri figli.
Greenbloom indicò le sedie posizionate vicino al letto e incrociò lo sguardo di Ross per la prima volta. “Vogliamo accomodarci?” La voce del neurochirurgo era professionale e distaccata. “È essenziale che comprendiate a pieno il quadro. Il punto è che, anche nel caso in cui Lauren uscisse dal coma, evento assai improbabile visti i traumi subiti, potrebbe rimanere cerebrolesa e paralizzata. Il midollo spinale è intatto, ma il danno tra le vertebre C3 e C4 potrebbe lasciarla immobilizzata dal collo in giù. Ora come ora, per respirare ha bisogno di un ossigenatore e la situazione potrebbe rimanere immutata.”
Ross posò lo sguardo su Lauren e si domandò se avesse sentito gli oscuri presagi del chirurgo sulla sua vita futura, o sull’inesistenza di quella vita.
Dalla finestra, sentì una macchina mettersi in moto, qualcuno salutare allegramente e il suono di risate. Era difficile accettare che fuori da quella stanza la vita andasse avanti come nulla fosse, indisturbata da quello che era capitato a sua moglie.
“La buona notizia è che, siccome la testa e il collo di Lauren hanno assorbito gran parte dell’impatto, il feto è ancora vitale.” Greenbloom estrasse l’ecografia dalla cartella e l’esaminò. “Secondo i ginecologi, il feto è delle dimensioni giuste per sedici settimane di gestazione, con undici centimetri e mezzo di lunghezza cefalocaudale e un peso di ottantasette grammi. L’ecografia rivela un’evidente attività. C’è ancora molta strada da fare e dovremo monitorare costantemente la situazione, ma è probabile che Lauren possa portare a termine la gravidanza.”
“E se perdiamo il bambino? Che scelte abbiamo?” chiese Ross. .
“Escludendo un miracolo, soltanto due. Una è aspettare a oltranza per vedere se Lauren esce dal coma, sperando che non rimanga paralizzata, né cerebrolesa. L’altra possibilità è spegnere l’ossigenatore dopo un lasso di tempo concordato in precedenza.”
“E farla morire?” esclamò Ross, scandalizzato. “Che mi dice delle terapie con le cellule staminali e di tutte le cure miracolose cui dite di lavorare? Ho letto che nei prossimi anni potrebbe esserci un passo avanti nella cura delle lesioni al midollo spinale.”
“ Potrebbe, ma devo ammettere che non ritengo possibile che Lauren si risvegli, tantomeno che ricominci a camminare. La verità, anche se dura da accettare, è che per come stanno le cose non c’è molto che noi, o qualsiasi altra équipe medica al mondo, possiamo fare per Lauren. È sul bambino che dobbiamo concentrarci.”
Diana Wharton si asciugò le lacrime e prese l’ecografia. “Sta soffrendo?”
“No.”
“E c’è davvero speranza per il bambino?”
“Sì.”
La donna si rivolse a Ross e suo padre.
“È già qualcosa. No?” . Sam Kelly posò la mano sulla sua e sorrise teneramente. “È molto di più. C’è sempre una speranza.”
Ross fu colto da uno slancio di confusa ammirazione per il padre. Gran lavoratore, assediato per tutta la vita dalle delusioni e dalle tragedie, aveva imparato ad accettare e guardare avanti. Ross ricordava il giorno in cui suo padre gli aveva riferito che il fratellino appena nato non sarebbe tornato a casa e che la mamma non poteva più avere bambini. Suo padre si era limitato a dire che si sentiva benedetto per il fatto che la moglie fosse ancora viva e che Ross doveva dimostrarsi riconoscente di avere ancora una mamma. Persino quando il cancro l’aveva portata via, alcuni anni prima, il padre si diceva fortunato per il tempo che avevano passato insieme. Ma Ross non riusciva a essere così stoico. Ad accettare quello che sarebbe successo. Guardò Lauren. Era in pace, in un cupo sonno senza sogni? O, come nel suo incubo, lo stava chiamando disperatamente perché la salvasse?
Greenbloom si alzò. “Ovviamente faremo tutto il possibile per il bambino. Volevo solo assicurarmi che foste al corrente della situazione per prepararvi a ogni eventualità.”
Ross ricacciò le lacrime di dolore e frustrazione. Aveva dedicato la vita a trovare quello che altri non potevano scoprire. Ma ora, nel momento culminante, non riusciva a pensare a un solo modo per aiutare Lauren. Diana gli passò l’ecografia e nel suo volto vide riflesso il proprio dolore. Poi scorse la tristezza e la compassione di suo padre. Ma i loro occhi tradivano qualcos’altro: rassegnazione. Si stavano già mettendo il cuore in pace, qualunque fosse il destino di Lauren, ed erano pronti a riporre tutte le loro speranze nel nipotino.
Ross non riusciva a farlo. Esaminò l’ecografia. Il feto aveva davvero l’aspetto di un bambino: presentava una leggera lanugine sulla testolina, le unghie delle dita erano ben formate e le gambe più lunghe delle braccia.
Desiderava un figlio più di qualsiasi altra cosa al mondo e voleva che avesse il fratello o la sorella che lui non aveva mai avuto, ma non conosceva ancora quel bambino. Conosceva e amava Lauren, però. A quel punto si sentì in colpa: avrebbe rinunciato volentieri al figlio pur di salvare sua moglie. Sentì una stretta al petto e il sangue martellargli nelle tempie. Non importava cosa avesse detto il medico di Lauren e quanta speranza ci fosse per il bambino, Ross non era pronto a fare a meno di sua moglie. Non ancora. E non lo sarebbe stato mai.
. Yale University, quella sera stessa
“Saprebbe dirmi dov’è lo studio della dottoressa Lauren Kelly?”
Il giovane studente scosse la testa. “Mi dispiace, sorella. Yale è un posto immenso. Deve chiedere in segreteria. La indirizzeranno nel posto giusto.
Vada verso lo stabile in mattoni rossi, giri a sinistra passando sotto l’arco e dall’altra parte del prato vedrà un enorme edificio di pietra: è quello.”
Guardò l’ora. “Si sta facendo tardi, ma dovrebbe trovarci ancora qualcuno.”
Dimentica dello scorrere del tempo, suor Chantal guardò in alto verso il grande orologio. “Grazie.”
“Non c’è di che.”
Incamminandosi sorretta dal bastone, iniziò a sentirsi sempre più debole.
Ma presto avrebbe potuto riposare. Era piacevole passeggiare per il campus. L’accademica tranquillità verdeggiante di Yale faceva da contrappunto alla fretta del mondo moderno e le rammentava tempi dominati dal pensiero. Quella calma, però, non bastava a raffreddare il suo entusiasmo.
Il cuore le vibrava in petto come l’ala di un colibrì. Proprio quand’era stata messa a più dura prova, la sua pazienza sarebbe stata ricompensata. L’attesa era agli sgoccioli.
Sorrise, d’un tratto grata per l’audace tecnologia del mondo moderno: era stata sbatacchiata di jet in jet da Entebbe a Londra, da dove aveva preso un volo per Ginevra per sistemare le questioni finanziarie e ritirare l’oggetto che teneva nella cassetta di sicurezza della banca, prima di far rotta finalmente per New York. E senza Internet non sarebbe mai venuta a conoscenza così in fretta dei risultati della dottoressa Kelly. Dio le aveva sorriso quel giorno al Jambo Internet Café quando aveva trovato la sinossi di Lauren Kelly sul sito della Yale.
Aprì la valigia, ignorando il pacco sottovuoto che aveva ritirato a Ginevra, e ne trasse fuori una stampata sgualcita. Rileggere le prime righe della sinossi la indusse a fermarsi e a farsi il segno della croce. Aveva dimenticato quante volte aveva dubitato che quel giorno sarebbe mai arrivato. Era destino che dovesse succedere lì, a poche centinaia di metri dalla biblioteca dov’era conservato l’originale.
Entrò nell’edificio di pietra che le aveva indicato lo studente e si avvicinò al bancone della portineria. Le due donne dietro la scrivania stavano raccogliendo le loro borse, pronte a smontare. .
“Posso aiutarla?” chiese la più giovane.
“Spero di sì. Dove posso trovare la dottoressa Lauren Kelly?”
La giovane abbassò lo sguardo sullo schermo di un computer. “Mi dispiace. Non viene al campus da qualche settimana e non conosciamo la data del suo rientro…”
“Va’ pure, Maisie, ci penso io”, intervenne l’altra. Si sistemò gli occhiali e sorrise in modo cordiale. “Maisie è nuova. Ha a che fare con quello che è successo, sorella?”
Suor Chantal tastò nervosamente il crocifisso appeso al collo, sbigottita che l’impresa di Lauren Kelly avesse già destato scalpore. “Sì, si tratta di quello.” Aveva confidato che la traduzione avrebbe attratto poca attenzione prima di essere completata. Ed era sicura che senza il suo aiuto non sarebbe mai stato possibile. “Sa dove posso trovarla?”
“Certo. Dovrei avere il nome dell’ospedale sul computer.”
“Dell’ospedale?”
“Credevo volesse vedere la dottoressa Kelly per via dell’incidente.”
Una mano gelida avvolse il cuore di suor Chantal.
“Incidente?” .
La donna si accigliò, esterrefatta.
“Non sa cos’è successo?” . (continua)
Che lo vogliamo o meno, dobbiamo accettare il fatto che la vita di tutti noi è costituita da momenti felici, ma anche da altri tristi in cui sembra che tutto ci crolli addosso.
Il nostro cammino può incontrare degli ostacoli o subire delle sbandate, l’importante è riuscire a riprendere il controllo e rientrare in carreggiata.
La tragedia della vita è ciò che muore dentro ogni uomo col passar dei giorni.
Puoi dimenticare la persona con cui hai riso, mai quella con la quale hai pianto.
Che lo vogliamo o meno, dobbiamo accettare il fatto che la vita di tutti noi è costituita da momenti felici, ma anche da altri tristi in cui sembra che tutto ci crolli addosso.
Il nostro cammino può incontrare degli ostacoli o subire delle sbandate, l’importante è riuscire a riprendere il controllo e rientrare in carreggiata.
La tragedia della vita è ciò che muore dentro ogni uomo col passar dei giorni.
Puoi dimenticare la persona con cui hai riso, mai quella con la quale hai pianto.
Grazie per aver letto
"Mi piace"Piace a 21 people