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“D’accordo, stiamo ancora giocando a fare ipotesi. Come spiegheresti l’esistenza di un giardino unico nel suo genere, isolato, con un ecosistema evoluto in modo indipendente, dove acqua e piante hanno proprietà curative miracolose?”
“Orlando Falcon pensava fosse un luogo divino, il Giardino di Dio.”
“Ma lui era un prete. Tu sei un geologo, uno scienziato. Come te lo spieghi, tu?”
Ross scosse la testa e alzò lo sguardo verso la stampa appesa alla parete sopra la scrivania di Lauren: un planisfero centenario. Ampie zone dell’antica cartina erano contrassegnate come Terra Incognita, e gli oceani presentavano disegni di mostri marini con l’avvertimento: Attenzione! Qui vi sono i draghi. Ross studiò la mappa per alcuni istanti, poi sul suo viso apparve una strana espressione, come se avesse visto o pensato qualcosa cui non riusciva a credere.
Zeb colse l’emozione nei suoi occhi.
“Che ti prende? Parla!”
Ross non le rispose subito. Continuò a fissare la vecchia cartina sopra la scrivania di Lauren. Mentre esaminava quel planisfero romantico e incompleto, lo paragonò con la precisa mappa geologica terrestre della Xplore, che mostrava non solo la superficie dell’intero pianeta, ma anche cosa vi si trovava al di sotto. L’idea in nuce, l’intuizione che lo aveva esaltato gli era venuta l’ultima volta che aveva usato la mappa della Xplore: per presentare la sua teoria sull’olio antico a Underwood e Kovacs nel giorno del suo licenziamento.
Tolse il mouse dalla mano di Zeb e ritornò indietro fino alla descrizione del fiume di lava e delle velenose grotte sulfuree da cui colava una pioggia caustica. Si ricordò delle condizioni tossiche dominanti agli albori del mondo e gli sovvenne un collegamento così stravagante da non poter essere fondato. O sì? Nonostante l’incredulità, il cuore prese a battergli più forte. Era un’ipotesi che poteva dare una giustificazione a tutto. Passò oltre, alla parte della storia in cui i soldati morivano nella ricerca di qualcosa di misterioso celato nelle cavità inaccessibili all’altro capo del giardino, convinti che si trattasse di un tesoro. Il saggio religioso tentò di fermarli, ma vennero tutti uccisi e il fiume si tinse del rosso del loro sangue. Ross afferrò il libretto di indicazioni di Orlando Falcon e andò dritto alle pagine che rivelavano la traduzione dell’ultima impenetrabile sezione del Voynich.
Nello scartabellare il testo, Ross continuava a notare la parola el origen, la Fonte. Tutto puntava alla sua ipotesi, per quanto bizzarra.
“Allora?” insistette Zeb, gli occhi enormi dietro le spesse lenti. “A che stai pensando?”
Lui si sforzò per riordinare il guazzabuglio di pensieri. “Un dato di fatto: c’è stato un momento prima del quale la Terra era sterile e dopo il quale non lo era più. E, considerando il valore di questo momento improbabile, prodigioso ma inconfutabile nella storia del pianeta, allora tutto diventa possibile.”
“Stai parlando del momento in cui sulla Terra è nata la vita?”
“Non soltanto del momento in cui si è accesa la prima miracolosa scintilla vitale, ma anche del modo in cui si è verificato e, cosa ancor più importante, del luogo. “
Zeb annuì lentamente. “Ti seguo, stiamo parlando del tempo e del luogo in cui la vita è iniziata sulla Terra. Va’ avanti.”
Sciorinò il resto in una serie di “se” e di “allora”. “ Se, come suggerisce un crescente numero di prove, i germi della vita sono derivati da amminoacidi asteroidali che sono caduti sul pianeta quattro miliardi di anni fa, e se il luogo in cui l’asteroide ha colpito la crosta terrestre si è conservato – proprio come si sono conservate le rocce superficiali di Isua in Groenlandia occidentale di tre miliardi e ottocento milioni di anni fa e l’Acasta Gneiss nel Canada nordoccidentale, vecchio di quattro miliardi di anni – allora il Giardino di Dio, l’Eden di Orlando Falcon, potrebbe essere l’epicentro della vita, il ground zero, il punto originale dell’impatto, chissà come cristallizzato nello spazio e nel tempo. Nella sezione conclusiva, Falcon cita persino qualcosa che chiama el origen, la Fonte.” Tacque, ma Zeb non fiatò, aveva il volto pallido e non gli staccava gli occhi di dosso. “Inoltre, se il giardino, o la sua Fonte, esiste e se segna il punto in cui è iniziata la vita, allora potrebbe contenere ancora il brodo primordiale, l’antenato del DNA, e questo potrebbe spiegare la stranezza della flora e della fauna e le sue proprietà miracolose.”
Ci fu una pausa di silenzio prima che Zeb parlasse. Quando lo fece, la sua voce non era più che un sussurro. “Perciò, come ha detto la suora, c’è qualcosa nel giardino che potrebbe curare Lauren?”
“Sì”, rispose Ross, percependo la prima vampa di speranza. Se quello strano giardino corrispondeva alla sua ipotesi, allora non solo lui avrebbe potuto salvare Lauren, ma avrebbe anche scoperto il Santo Graal della geologia, forse il Santo Graal di tutte le scienze: l’origine stessa dell’esistenza.
Zeb ricadde indietro sulla sedia, tenendosi la testa tra le mani e scoppiando in una risata nervosa. “Cazzo… Il Giardino di Dio nel Voynich è il grembo di Gaia, la culla della vita sulla Terra. Cazzo, Ross, è un’ipotesi bomba. Non mi meraviglio che quel prete sia uscito dai gangheri.”
“Be’, dobbiamo ancora dimostrare l’ipotesi.”
“Niente di più facile”, disse Zeb, prendendo in mano il libretto di Orlando Falcon. “Troviamo il giardino.”
La mente di Ross andò subito a Lauren e al bambino che portava in grembo e l’entusiasmo si affievolì. “Non posso abbandonare Lauren per andare a caccia di farfalle, ora che ha più bisogno di me.”
“Non è una caccia alle farfalle”, intervenne una voce alle loro spalle.
Ross si voltò. “Da quant’è che è lì?”
“Abbastanza da aver sentito la sua teoria.”
“Lei dev’essere suor Chantal. Salve, sono Zeb Quinn. Ho lavorato con Lauren al manoscritto.”
“Piacere di conoscerla, Zeb.” Suor Chantal attraversò la stanza e prese le mani della ragazza nelle sue, poi afferrò il libretto di Falcon e se lo strinse al petto. “Allora? Venite con me a cercare il giardino?”
“Conti su di me”, affermò Zeb.
“Ehi, non così in fretta”, disse Ross, ancora incerto se crederci o no e su cosa fosse meglio per Lauren. Indicò il libretto. “Anche se il giardino esistesse, alcuni indizi sono piuttosto criptici, a dir poco.”
“Io posso interpretarli”, replicò suor Chantal.
“Davvero? E come fa a esserne sicura?”
“Sono la Guardiana. Li ho già seguiti in passato.”
“Per arrivare al giardino?” Ross era incredulo. “Lei c’è stata?”
“Sì.”
“E allora perché ha bisogno di noi per tornarci?”
“Perché sono vecchia, il viaggio è lungo, irto di difficoltà ed è passato tanto tempo.” Picchiettò sul libretto. “Per trovare la strada, dobbiamo seguirlo passo dopo passo.”
Ross si massaggiò le tempie per lo sconforto, incapace di determinare se la vecchietta stesse dicendo il vero o fosse una mitomane delirante. “Sorella, voglio credere alla sua storia. Vorrei davvero credere all’esistenza di un giardino miracoloso che possa curare mia moglie. Ma, se pensa che abbandoni Lauren nelle sue condizioni attuali solo perché lei sostiene che è vero e che c’è stata, allora si sbaglia di grosso.”
“E la sua teoria?”
“Non si tratta di un esperimento scientifico. Non posso lasciare mia moglie per verificare un’ipotesi assurda. Serve qualcosa di più. Ho bisogno di una prova.”
“Le ho mostrato il libro.”
Lui scosse la testa.
La religiosa rimase in silenzio per un attimo. “Avevo qualcosa che avrebbe potuto convincerla dei poteri di guarigione del giardino, ma non era abbastanza. L’ho usato tutto…” Si ammutolì di nuovo e rivolse i suoi begli occhi a Ross. “Su Lauren.”
A Ross balzò il cuore in petto e colse un’espressione sbigottita anche sul volto di Zeb. “Cos’ha detto?” D’un tratto gli tornò in mente di aver sorpreso suor Chantal inginocchiata al capezzale di Lauren, vicino al sondino gastrico. Poi ricordò la sacca di pelle vuota della suora. “Cosa le ha dato?”
Lo sguardo della donna era imperturbabile. “Quel poco che mi rimaneva, non molto. È stato un gesto disperato, ma volevo guarirla con tutta me stessa. Gliene avrei somministrato di più, se me ne fosse rimasto. Sono certa che abbia avuto qualche effetto, ma purtroppo non basterà a curarla.”
“Cosa le ha dato esattamente?” chiese Zeb.
Ross balzò in piedi e andò al telefono. Che gli saltava in mente? Non esisteva nessun giardino. La suora non solo farneticava, aveva anche avvelenato sua moglie. “Cos’ha fatto? Per l’amor di Dio, me lo dica!” Il telefono squillò non appena le sue dita lo sfiorarono. Mise il vivavoce e fulminò suor Chantal con lo sguardo. “Pronto?”
“Ross, sono Diana.” La madre di Lauren sembrava senza fiato. “Ti chiamo dall’ospedale.”
Zeb impallidì e qualcosa di gelido si snodò nello stomaco di Ross. “Che c’è che non va? È successo qualcosa?”
“Non preoccuparti, Ross, va tutto bene. C’è stato un piccolo ma significativo miglioramento. Hanno tolto il respiratore a Lauren. Respira da sola e il bambino riceve più sangue e ossigeno. Mi hanno avvertito di non entusiasmarmi troppo perché la prognosi non è cambiata, ma il bambino sta meglio, almeno un pochino.”
All’improvviso Ross fu attraversato da un’ondata di sollievo e di sconcerto. Poteva essere una coincidenza? Continuò a fissare la suora. “Quando l’hanno scoperto, Diana?”
“Meno di un’ora fa.”
“Hanno idea di come sia successo?”
“Non ancora. Stanno facendo esami e controlli. Ma i dottori dicono che è molto raro che si verifichino miglioramenti improvvisi di questo tipo.
Francamente, Ross, è un piccolo miracolo.”
“Arrivo.”
“Non importa. È tardi e, come ti ho detto, le stanno facendo degli accertamenti. Resterò con lei fino a mezzanotte. Perché non vieni domattina presto?”
“Va bene, farò così. Grazie della telefonata.”
“A domani. Buonanotte.”
Riagganciò e per un lungo istante non proferì parola, tentando di elaborare cosa fosse appena capitato. Non sapeva se sentirsi riconoscente o arrabbiato per l’intercessione della suora.
Fu Zeb a rompere il silenzio. “Ha dato a Lauren qualcosa dal giardino?”
“Sì.”
“Cosa, esattamente?” chiese Ross.
“Non importa. Ormai è finito. Quello che conta è che non è bastato e non ne resta altro. Ce ne vorrà di più. Molto di più.” D’un tratto sembrò esausta. “Ross, non importa in che modo le spieghi l’esistenza del giardino di padre Orlando – religioso, scientifico o spirituale -, sappia solo che ha il potere di curare sua moglie e molto altro ancora.” Si accasciò sulla sedia accanto a lui. “E non ci resta molto tempo per trovarlo. La medicina che ho dato a Lauren era quella che avevo risparmiato per me stessa, per sostenermi nell’arduo viaggio. Sono fragile, le forze mi stanno abbandonando e senza di me a interpretare le indicazioni ho paura che non lo troverete mai.
Perciò, qualunque sia la sua decisione, Ross, la prenda in fretta. Al più presto. Perché io ho intenzione di partire, con o senza di lei.”
Quella notte, Ross sognò la sua fragile famiglia appesa a un filo: Lauren e il bambino nel suo grembo, entrambi aggrappati alla vita, quest’ultimo che cercava disperatamente di venire al mondo, la prima che lottava per non lasciarlo.
Mentre dormiva, l’assassino un tempo noto come La mano sinistra del diavolo eseguiva con fare furtivo le istruzioni del suo mandante.
Per prima cosa, attaccò delle cimici alla linea telefonica di Ross.
Poi, alle prime luci dell’alba, penetrò nei corridoi deserti del Sacro Cuore indossando il camice di un inserviente e una borsa nera in mano. Quando fu certo di essere solo, entrò nella stanza trentasei del reparto di Neurotraumatologia. Avvicinandosi al letto, controllò il nome sulla cartella e aprì la borsa. Per un lungo istante rimase a contemplare la sagoma inerte della paziente, ad ascoltare il suono ritmico dei macchinari che la tenevano in vita. In tutto quel tempo il suo viso si mantenne inespressivo, senza tradire nessun accenno alla natura dei suoi pensieri. Infine rovistò nella borsa ed eseguì quello che il padre generale gli aveva ordinato di fare.
Una volta finito, lanciò un’ultima occhiata al letto e se ne andò. Nessuno aveva fatto caso alla sua presenza e, anche se la paziente l’avesse visto, non era certo in grado di raccontarlo.
Ross aveva sperato di alzarsi il mattino seguente con un piano d’azione ben definito in mente, ma quando aprì gli occhi era confuso come quando li aveva chiusi. Allora si recò all’ospedale con suo padre, ma le parole del neurologo non furono di grande aiuto.
“Lauren è decisamente migliorata, per quanto non riusciamo a capirne il motivo”, disse Greenbloom nel suo studio. “Adesso può respirare senza macchinari e l’ematoma intorno al tronco encefalico è regredito. Le radiografie rivelano inoltre che alcune delle fratture vertebrali non sono più visibili, un altro fatto che non riesco a spiegare. Tutto questo è un bene, ma le nostre aspettative non sono cambiate. È ancora in coma profondo, livello uno nella scala Rancho e tre nella Glasgow Coma Scale e non abbiamo ragione di credere che la sua prognosi sia migliorata.”
“E il bambino?”
“La prognosi del bambino è parzialmente migliore, ma non direi ancora che sia fuori pericolo.”
“Perciò lei dice che c’è stato un miglioramento improvviso, e inspiegabile, però le prospettive non sono affatto mutate?”
“Purtroppo è così.”
Per quanto Ross fosse contento della rimozione del tubo dalla trachea di Lauren e della scomparsa del suono meccanico e senz’anima del respiratore, dopo il responso di Greenbloom era impossibile sentirsi rinfrancati.
Mentre faceva colazione con suo padre alla piccola mensa dell’ospedale, Ross continuava a riflettere sul giardino di padre Orlando. Aspettò che suo padre finisse le uova e le frittelle prima di metterlo al corrente.
Si aspettava che da uomo con la testa ben piantata sulle spalle qual era si mettesse a scuotere il capo e chiedesse a Ross perché perdeva tempo dietro tutte quelle fesserie. Invece strinse con le grandi mani callose la tazza di caffè e si accigliò pensieroso. “Quello che ho imparato da una vita come contadino è che la natura ha modi strani di sorprenderci. Perciò non sarò io a dire che quel giardino non esiste. Figliolo, sei l’unico che ha studiato.
Cosa ne pensi? Potrebbe essere vero?”
Ross vagliò di nuovo la sua ipotesi e si strinse nelle spalle. “Credo sia possibile, almeno in teoria.”
“Potrebbe essere di aiuto a Lauren? Da qualche parte ho letto che le foreste del mondo sono piene di medicine e cure di cui la scienza moderna non sa ancora nulla.”
Ross ripensò al miglioramento di Lauren. “Anche questo è possibile.”
“Ora come ora, la parola ‘possibile’ mi sembra già tanto”, affermò il padre. “Ha un suono molto più bello di ciò che continua a dirci il dottor Greenbloom.” Rimase in silenzio e fissò Ross. “Senti, non sei mai stato uno che se ne sta lì seduto ad aspettare che succeda qualcosa. Cos’è che ti frena?”
“Abbandonare Lauren e il bambino. Se dovessi partire alla ricerca di quel posto, dovrei farlo come si deve. Sarei lontano, in mezzo al nulla, come minimo per un paio di mesi.”
Una fiamma si accese nello sguardo solitamente calmo del padre. “Ti dico una cosa, ragazzo. Se avessi potuto fare qualcosa, anche l’impresa più azzardata, per salvare il tuo fratellino mai nato tanti anni fa, o tua madre quando le diagnosticarono il cancro, non ci avrei pensato un momento.”
Sorrise tristemente. “Sei fortunato, figliolo. Tu puoi fare qualcosa. Non conosco bene il tuo lavoro, ma capisco che consiste nel trovare delle cose.
È quello che fai e che ti riesce meglio. Se c’è persino la più magra possibilità che quel giardino esista, solo tu puoi trovarlo. E, se salvare Lauren e il bambino significa abbandonarli per qualche mese, allora che aspetti? Penserò io a tutto. Tra l’altro, presto venderò la fattoria. Il mio cuore non è più quello di un tempo e tu non la vuoi. Il vecchio Lou Jackman mi ha fatto
un’offerta onesta e ho intenzione di andare in pensione. Quindi non preoccuparti per Lauren e per il mio nipotino. Lasciali alle cure mie e di Diana.”
Ross provò uno slancio di gratitudine e speranza. “Sei sicuro, papà?”
“Diavolo, figliolo, non sono mai stato così sicuro in vita mia. Va’ a salutare Lauren, spiegale perché te ne vai e poi fa’ di tutto per salvarla. Perché, se resterai senza far nulla, potresti pentirtene per il resto della tua vita.”
Carico di nuova risolutezza, Ross s’incamminò verso la stanza di Lauren ed estrasse il cellulare.
L’entusiasmo nella voce di Zeb Quinn lo fece sorridere. “Ehi, Ross, ti sei deciso?”
“Sei ancora disposta a partire?”
“Puoi scommetterci. Allora andiamo?”
“Sì, andiamo.”
“Sei d’accordo a lasciare Lauren?”
“Sì, sono d’accordo”, rispose lui, cercando di reprimere i dubbi. “Ma solo perché lo faccio per lei.”
(segue)
Mi sono guardato allo specchio ogni mattina e mi sono chiesto:
“Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare ciò che sto per fare oggi?”
E ogni volta che la risposta è stata “No” per troppi giorni di fila, ho capito che bisognava cambiare qualcosa.
La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti.
La vita ci cambia tutti.
Il mondo sembra un’enorme, orribile macina, nella quale a un capo entra tutto ciò che è fresco, luminoso e puro, ed esce vecchio inacidito e stazzonato dall’altra parte.
Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi.
Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale.
Non è mai troppo tardi per essere ciò che avresti voluto essere.
Grazie per aver letto e cordialità
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