DELITTO A MONTECARLO

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DELITTO A MONTECARLO

Le luci erano abbaglianti.
Un enorme negro sorvegliava davanti al Casinò i riflettori e le macchine da presa momentaneamente abbandonate dal regista.
La gente, seduta ai margini delle aiuole, chiacchierava della Dietrich e di De Sica intenti a girare al Café de Paris una scena del loro ultimo film. Davanti a me, Misha Auer beveva tè e poi ancora tè.
Pochi si occupavano di lui; incredibile come si dimentichino presto gli idoli di ieri. Se qualcuno si fermava, era solo per osservare la camicia color vulcano attivo che il divo lasciava mollemente scendere sui pantaloni.
Il cameriere conversava con un turista. Discutevano sulle possibilità che ancora restavano per l’Andrea Doria, in pericolo nell’Atlantico, di evitare il naufragio. La birra era buona, quasi dolce; una qualità che ho travato solo a Montecarlo. Il signore dietro a me diceva con il viso imbronciato che in quindici giorni, dal suo arrivo nel principato cioè, non aveva ancora potuto vedere Grace Kelly. Per consolarlo il cameriere gli ripeteva che Sua Altezza Serenissima non ha l’abitudine di apparire frequentemente in pubblico. Antoine Frederick arrivò quando non l’aspettavo più.
Il suo ritardo era dovuto a una passeggiata sentimentale fatta sul terrazzo lungo il Casinò per inseguire un gatto randagio. Non dissi che era stata una stranezza, poiché so bene che Antoine Frederick non fa stranezze. Forse perché non lo rimproverassi, mi rivelò che la baia illuminata dalle luci verdazzurre della costa è piena di attrattive.

“In porto c’è il Deo Adiuvante: perché non vai a vederlo?”, domandò.
Risposi che non avevo voglia di alzarmi. La sedia era comoda e la birra ottima. Cominciavo a capire perché gli abitanti di Monaco siano flemmatici; non hanno nessuna ragione valida per agitarsi, stanno bene e il loro Stato è tanto piccolo che se camminano troppo rischiano di trovarsi con la punta della scarpa oltrefrontiera.
Antoine Frederick non disse più nulla; certamente fantasticava. Io pensavo a quel che stava dicendo il turista alle mie spalle a proposito dell’Andrea Doria. L’inabissamento della nostra nave sembrava inevitabile.
Alle nove e un quarto giunse lei. Me ne avevano parlato ma non mi era ancora accaduto di vederla. Antoine Frederick smise di sonnecchiare e si passò una mano sugli occhi. “E’ lei?”, domandò. “Sì è lei”, dissi riferendomi entrambi ad un discorso fatto giorni prima.
Un autista altissimo ed allampanato aiutò “Lei” a scendere dalla nera Rolls-Royce e due camerieri le si fecero incontro. Misha Auer smise di sorseggiare il tè e buttò in aria uno sguardo indagatore. La dama della Rolls-Royce andò a sedersi nell’interno del locale. Noi, Antoine Frederick ed io, ci alzammo.
Demmo un’occhiata alla macchina.
Con un radiatore lucente come cristallo terso, enormi i fari, pulitissime le bandierine sui parafanghi, l’auto aveva l’interno grandissimo e disposto come un soffice sofà in modo da consentire a “lei” di viaggiare comodamente sdraiata in una conca tutta raso e piume. L’autista ci guardò con palese disprezzo, con l’aria di dire: “Eh, che macchina?”
“Domando e dico se una vecchia biscia rattrappita come quella deve possedere un treno simile”, Si lasciò sfuggire Antoine Frederick. Lo pregai di tacere. Potevamo essere uditi e non volevo rischiare cattive figure.

Al suo tavolo “lei” si dispose a consumare il piatto di ogni sera: una sottile fetta di cocco, un melone non grande e neppure troppo piccolo già accuratamente sbucciato e messo in gelo. “Lei” lo tagliava personalmente a fette e vi versava sopra tre calici di gin disposti dal cameriere davanti al piatto. Mangiava in silenzio, facendo un lieve rumore, probabilmente con la dentiera; l’orchestra, nell’angolo a forma di conchiglia, taceva. Il proprietario sapeva che qualsiasi musica avrebbe disturbato “lei”. Il concerto sarebbe ripreso dopo la sua partenza. “I signori”, sussurrava il capo-cameriere, “abbiano la cortesia di attendere; si ricomincerà a suonare quando la signora avrà finito il melone. Lei detesta il chiasso e per lei la musica è chiasso”.
Nelle rughe secche, fra i solchi di quella pelle incartapecorita, la cipria formava strisce di colore più intenso; le labbra, lievemente colorite, come le gote facevano pensare ad una principessa reale fabbricata da madame Tousseaud. I capelli erano fra l’argento e il biondo stanco. Pesanti gli orecchini, pesantissimo il fermaglio che teneva chiusa la cappa d’ermellino; massiccio il bracciale d’oro bianco.

“Quanti anni può avere secondo te?”, mi domandò Antoine Frederick.
“Non saprei, settanta, settantacinque forse”.
“Quando vedo un tipo così, cosa vuoi farci, divento anarchico”.
“Anarchico?”
“Proprio così. Anarchico ed assassino. Credo che godrei un mondo ad assassinarla”, soggiunse, ed i suoi occhi brillarono con malizia.
Compresi che Antoine Frederick stava per cominciare una pensata, come lui chiamava le sue fantasticherie.
“Sai dove abita?”, mi domandò.
“Sì, poco oltre il castello del Principe, sulla collina”, risposi.
“Un luogo isolato, immagino”.
“Sì, una grande villa circondata da un parco. Sono stato da quelle parti soltanto due giorni fa, mentre tu rischiavi alla roulette quei famosi tremila franchi”.
“Ha parecchio personale al suo servizio?”
“Non lo so, quando va a passeggio è sempre accompagnata dall’autista, ma è probabile che abbia almeno una cameriera ed una cuoca”.
“No”, disse Antoine Frederick crollando il capo, “no, ad assassinarla in casa non mi divertirei. Preferirei qualche cosa di spettacolare, di cinematografico, ecco”.
“Per esempio?”, domandai incuriosito.
“Non so ancora bene, ma credo che basterebbe “lavorarle” a dovere la macchina in modo da farla sbandare e mandarla a fracassarsi sulla scogliera dopo un bel volo. Figurati questo treno che precipita con la vecchia, i suoi gioielli e tutto il resto. Si potrebbe fare dopocena, così prima lei avrebbe modo di divorare in pace il melone”.
“Sì, un pensiero gentile. Però con questo sistema ammazzeresti anche l’autista!”, osservai finendo di bere la birra.

Misha Auer se ne andò.
“Mi spiace davvero, ma l’interessante per me sarebbe di far volare la vecchia; l’autista è un orpello, una gemma della corona di questa gallina in ermellino, tanto peggio per lui”.
“Ma lo faresti per prenderle i soldi?”
“Questa forse potrebbe essere una conseguenza del delitto, ma non il movente. L’assassinio avverrebbe soltanto per mio personale diletto e basta”.
Mi domandavo divertito che avrebbe mai potuto pensare qualcuno ascoltando i nostri discorsi; forse sarebbe corso a cercare un poliziotto. Antoine Frederick osservava la Rolls-Royce e vidi che il suo occhio era cattivo. Apprezzavo il mio amico per la capacità di sognare “plasticamente”. Si dedicava tutto alla sua pensata e scommetto che se gli avessi detto: “Ma dopo il delitto ti arresteranno”, in quattro e quattr’otto egli mi avrebbe parlato delle sue giornate in carcere e perfino del processo.
“Una sbarra di ferro fra le ruote o un tronco in mezzo alla strada nel punto più buio e tutto è fatto; tu naturalmente mi aiuterai mettendole fuori uso i freni”.
“Non immaginavo avessi bisogno di un complice”, mormorai.
“Se non accetti non importa, ma se ci stai il colpo sarà perfetto. Vedrai che bel volo, lei, la Rolls e la cappa d’ermellino!”
Restai colpito da quel vedrai usato al posto del vedresti. Evidentemente davanti ai suoi occhi si svolgeva la scena, meravigliosamente viva, reale, affascinante. Vedeva le scogliere, la grossa auto nera con i fari accesi, poi sentiva uno schianto; infine il pauroso volo seguito da un tonfo nel mare, appena coperto dal suono delle tante orchestrine dei night. Una volta avevo udito Antoine Frederick fantasticare su un combattimento con un leone. I suoi contorcimenti e le imprecazioni erano stati tali che in un combattimento vero e proprio non si sarebbe avuto nulla di meglio.
“E’ inconcepibile che mentre il mondo gira vi sia a spasso gente come la vecchia, gente che vive soltanto per il melone serale condito con del gin. E’ un insulto anche per Montecarlo”.
Il cameriere corse sul marciapiede e fece un segno all’autista. Questi depose il giornale che stava leggendo ed aprì la porta dell’auto. Con uno schiocco appena percettibile della lingua, quasi a conferma che il melone era stato di suo gradimento, “lei” si aggiustò sulle spalle la cappa d’ermellino e scomparve nella sua poltrona viaggiante. Rimase ai nostri occhi il ricordo di quel polso scarno, rinsecchito, reso pesante dal bracciale massiccio, di quella mano scheletrica ostinatamente avvinghiata alla maniglia di seta, sopra il finestrino.
“Una frenata a vuoto, un volo e poi il bagno o lo schianto sui massi. Che bella fine!”, esclamò Antoine Frederick.

Un signore italiano, accanto a noi, dovette aver sentito perché ci guardò con gli occhi sbarrati. “Andiamo al Café de Paris”, dissi. “Questa sera ho voglia di sgranchirmi; vorrei pregarti, se non t’importa, di rinviare a domani il tuo assassinio”.
Antoine Frederick però non mi udì.
Fece segno al cameriere e gli ordinò: “Melone in ghiaccio e gin per due”.

Era la sua rivincita.

Grazie per aver letto

24 pensieri su “DELITTO A MONTECARLO

  1. Oh Milord, ben tornato. Ne parlavo proprio ieri con una amica che vi legge.
    Una entrèe degna della Vostra arte scrittoria mio signore. Voglio leggere e rileggere.
    Il racconto è bello sul filo del sarcasmo.
    Torno dopo

    Saluti

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  2. Ben tornato Milord con una storia che, dall’impianto, ha già il seme dell’interesse.
    Creare un racconto “giallo” dove il giallo non c’é è davvero esilarante.

    Grazie per quest’altra perla Milord.
    Le auguro delle serene festività

    BV

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  3. Eccomi a leggerti Ninni
    Un racconto che spazia tra l’immaginario e la scontatezza di alcune emozioni. Mancava davvero.
    Perché hai fatto passare tutto questo tempo?
    Adesso rileggo. Bello il gioco del detto e non detto.
    Ciao e grazie Milord.

    Babi

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  4. Anche io sono stata avvisata per telefono. pensa che proprio l’altro giorno parlavamo di te con alcuni amici comuni e ci chiedevamo come mai non ci deliziavi con un nuovo racconto, un impressione o un qualcosa che ci scuotesse.

    Eccoti dunque.
    Il racconto è bello e … geniale.
    Come non potrebbe essere diversamente?

    Grazie davvero, un abbraccio milordissimo

    L.

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  5. ah ah ah direttorissimo: i sogni son desideri vero?
    Certe volte ci si dovrebbe affidare di più a un sogno.
    Ti gratifica proprio.

    Cameriere: Melone, cocco e gin per me.
    Ben ri-trovato super Milord.
    Bacin bacetti

    Lamanudivertitadamatti
    😀

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  6. Caro Antonmaria

    Anche da me il ‘bentornato’ a leggerVi qui.
    Offrite sempre il piacere di attimi che assorbono e deliziano.
    Vi ho letto col sorriso. Il racconto mi ha divertito per la surrealtà della vicenda narrata e, nel contempo, per la probabilità che certe facete fantasie possano passare.

    Grazie, mio Caro Kren

    Vostra Sil

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  7. Ho letto il racconto mi Signore e sinceramente la freschezza del punto di vista è notevole Milord.
    A quando uno dei vostri racconti intendo quelli imegnativi?
    Ben tornato.

    Posso ordinare melone e gin? Io ci aggiungerei anche il cocco
    ah ah ah

    😀

    Sony

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  8. Ecco the best Milord in the world.
    Come diceva la grande Fabrizi (la sora Lella del grandissimo Aldo): “Cominciamo bene”.
    Beh, ogni tanto ci vorrebbe proprio che qualcuno manifestasse un po’ di queste iniziative e non voglio intrufolarmi nella politica. Ci sono certe “Mongolfiere” al governo che meriterebbero, volentieri, la rupe taarpea.

    Milord, colpita dal vostro “succoso” rientro, Vi salutammo con affetto e affettati.

    Lady Isabella

    😀

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  9. E’ arrivate o Miluorde!
    Buongiorno Milord, iniziamo bene la giornata con unraccontino saace, giusto per scaldarci.
    Va bene, va bene, posso dare anch’io una spintarella alla vecchia?

    😀

    Un carissimo saluto dalla partenope Capitale

    Dudù

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  10. Ecco che le mie speranze, le attese sono state soddisfatte.
    Siete rientrato alla grande, Milord e avete iniziato con quella “ironia” che vi contraddistingue.
    Leggervi è bellezza e soddisfazione e risata.
    Grande grande come sempre.

    Allora ripasserò più spesso.
    Ben tornato

    V

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  11. Ecco il mio milorderrimo.
    Una entrèe alla grande con un racconto che ti sgonfia dopo esserti montato in attesa diun finale che non ti aspettavi.
    Io l’avrei buttata dalla rupe la vecchiaccia.

    Ecco che la tua ironiaa ci spiazza.
    Pensavo al “sperato delitto a Montecarlo”.
    Ma si lo prendo anch’io un melone al gin (posso metterci, anche, del Brandy?)

    🙂

    Un abbraccino Milordissimo

    Loredana
    The best

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      • Invece di continuare a cercare di farti vedere un po’ sciocchina (tanto non ce n’é bisogno: scrivi due parole e diventa una certezza) vai a lavorare che ci sono almeno tre persone che ti cercano di cui due ti vogliono suonare con un randello e la terza riempire il tuo bel faccino di schiaffi.

        Ti sto chiamando al telefono: rispondi!
        Perdonala Ninni: “Ma di soltanto una parola e io la frusto”.

        😀

        Buona giornata e scusami per le intemperanze della “signora”

        😉

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