Ecco Ninni VI

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1Ecco Susan Cook
Ricky mi scrollava spaventato.
“Susan! Susan! Che ti succede?”.
Ero sopraffatta dai ricordi. Secoli di esistenza, centinaia di vite che fluivano in me. Scartavo e tenevo, li catalogavo, classificavo, archiviavo. Cancellai senza rimorsi una decina di relazioni fallite, e feci posto. Cancellai noiosi anni scolastici. Annullai gran parte della mia vita, ma erano sempre troppi, e allora dovetti fare una scelta. Una scelta dolorosa.
“Sei epilettica? Perché non mi hai detto niente?”.
Riuscii a stringergli la mano, ma non riuscivo ancora a parlare. Eravamo rimasti in tre e questa era una tragedia. Eravamo troppo pochi per contenere l’immensa massa di dati che costituivano i miei ricordi.
Ricky era davvero disperato.
“Chiamo un’ambulanza”.
Gli strinsi il polso, per bloccarlo. Avevamo fatto l’amore, e dopo ancora e ancora. Era il sogno della mia vita, il sogno realizzato. Ma troppo tardi. Sempre troppo tardi.
Ora toccava a me. Quanto avrebbe impiegato ad arrivare fin qui l’assassino? Non molto. Dubitavo che mi restasse fino al mattino. Dovevo andare via, subito. Non c’era tempo per spiegazioni, né per gli addii.
“Sto bene”, riuscii a mormorare.
Cercai di scendere dal letto, ma ero nuda. Guardai con disgusto i miei vestiti. C’erano anche lì dei segnalatori? Anch’io ero stata tenuta sotto sorveglianza come Rodrigo?
“Susan, che fai? Torna a letto, non stai bene”.
Scossi il capo.
“Devo partire, te l’ho detto”.
“Adesso? In piena notte? Sei matta?”.
Raccolsi i vestiti, perché ne ero costretta.
“Devo andare”.
Ricky era incerto.
“Io credevo…”.
Che fosse speciale? Sì, lo era stato. La notte più speciale della mia vita. Ma era giunta troppo tardi, nel momento sbagliato.
Mi chinai per baciarlo, prima di uscire, e mormorai: “Ti amo”.

2Ecco Alain Giusti
Mi sollevai col cuore in gola e col respiro affannato. Ci vollero alcuni minuti prima di poter ragionare di nuovo. L’immensità di ciò che era avvenuto mi travolse. Eravamo indifesi contro quel killer, e chiunque lo pagasse.
Sapeva ogni cosa di noi, sapeva sempre dove trovarci.
Non ero tornato a casa, dopo aver lasciato Julie, ed era stata la scelta migliore. Ero lì, nell’appartamento dove avevamo passato i momenti più belli. Forse era stata solo la nostalgia a spingermi in quel luogo, forse una premonizione del pericolo.
Non bastava. Guardai preoccupato la valigia che mi ero portato dietro e non tentai neppure di aprirla. Mi spogliai completamente nudo e non persi tempo a controllare i vestiti. Nell’armadio del padrone di casa trovai un paio di pantaloni e un maglione che mi stavano un po’ larghi ma che per il momento potevano bastare. Presi solo i documenti e i soldi, e lasciai lì ogni altra cosa.
Non persi altro tempo e scesi in strada. Era piena notte e non si vedeva nessuno in giro. Degli uomini di Brandi non c’era traccia. Ormai era certo che qualcosa non aveva funzionato.
Dovevo scomparire, trovare un riparo.
Il mio cuore era straziato per il modo in cui io e Julie ci eravamo lasciati per l’ultima volta.

13Ecco Ninni
Non ero nessuno.
Tutto il mio potere, tutta la mia conoscenza, non erano in grado di fermare quel massacro. Chi mi voleva morto? Chi mi odiava a tal punto?
Ilaria mi stava guardando. Coricata nel suo letto avevo creduto che dormisse.
“Sei sveglia?”.
“Sei stato di nuovo male”.
Se ne era accorta. Aveva di nuovo assistito al trasferimento.
“Parla col medico, diglielo”.
Scossi il capo.
“Lo fai per me? Guarda che non mi aiuti se ti ammali pure tu. Fai degli esami, ti prego. Solo per essere certi…”.
“Non è quello”.
“E cos’è allora?”.
Sospirai.
“Sarà lo stress. Sono stati giorni piuttosto frenetici”.
“Torna a casa, riposati un po’. Posso restare anche da sola”.
No, era impensabile. Ci restava così poco tempo, ormai, e non volevo abbandonarla neppure per un istante. Le strinsi la mano.
“Non riesci a dormire?”.
Lei scosse il capo.
“Posso chiamare un’infermiera, farti portare un sonnifero”.
Scosse di nuovo il capo.
Restai lì, a stringerle la mano.

4Ecco Alain Giusti
Sembravo un barbone.
Senza bagaglio, con vestiti non miei, ridotto a dormire nella sala d’aspetto della ferrovia. Già due volte erano venuti a vedere se avevo davvero il biglietto, perché non davo molto affidamento.
Io non sapevo che fare. Continuare il viaggio come da programma, andare in Italia a ricongiungermi con Ninni? Lì sarei stato più protetto? Oppure mi conveniva partire senza una meta, cambiare treno in continuazione, far perdere le mie tracce?
C’era davvero modo di ingannare quel killer?
Non capivo. Com’era riuscito a trovare Rodrigo con così tanta facilità? Eppure l’unico che sapeva dove si trovasse ero io. Un segnalatore? Se gli aveva messo addosso un segnalatore, il killer doveva sapere che avrebbe funzionato quell’unica volta. Non gli sarebbe stato affatto semplice prendere me e Susan.
E se invece aveva un altro metodo? E se era come noi? Se in qualche modo era collegato alla mia mente? Era un pensiero terrificante. Mai, in settecento anni, avevo incontrato un altro come me.
In quel caso sarei stato perduto, non mi sarei mai potuto difendere. Ma perché un essere del genere avrebbe desiderato distruggermi?
Continuavo a non capire, c’era qualcosa che mi sfuggiva.
Quando venne l’alba mi ritrovai tra i binari, in cerca del primo treno in partenza. Non importava la destinazione, mi bastava allontanarmi da lì. Poi avrei deciso a mente più lucida.
I vagoni erano tutti vuoti, perché ero in forte anticipo. Scelsi uno scompartimento in fondo al treno, e tirai tutte le tendine per non essere disturbato. Ero sfinito, la sera prima avevo bevuto parecchio e non avevo quasi dormito, ma non potevo lo stesso rilassarmi, forse non ci sarei riuscito mai più.
Il killer era ancora lontano, però era necessario che riuscissi a cancellare le mie tracce, a sparire del tutto. Sperai che anche Susan ce la facesse. Per Ninni era più difficile, con Ilaria in quelle condizioni. Mi augurai che Brandi riuscisse a proteggerlo, anche se non mi fidavo più di lui.
Dovetti aspettare più di mezz’ora prima che il treno si mettesse in moto, e solo allora tirai un sospiro di sollievo. Mi coricai sul divano, allungando le gambe, e mi concessi un attimo di riposo.
Quasi subito sentii scorrere la porta e non nascosi una smorfia. Quando alzai gli occhi mi paralizzai.
Julie entrò, fresca e riposata, e gettò il suo zaino su un sedile, poi mi guardò e scosse il capo.
“Sembri proprio uno straccio!”.

5Ecco Susan Cook
La nave sarebbe partita entro un’ora, e sperai che non fosse troppo tardi. Erano state decisioni sofferte. In primo luogo non confidare più nell’aiuto degli uomini di Brandi, poi scegliere di fuggire via mare. Restava il fatto che se fossi riuscita a partire il killer non avrebbe avuto modo di raggiungermi per giorni. Avevo chiamato l’aeroporto, ma non era in previsione l’arrivo di nessun aereo di linea da Buenos Aires. Questo mi aveva convinto che il killer usasse un aereo personale, e quindi c’era il rischio che fosse già arrivato.
Mi ero procurata dei soldi, alla prima occasione avevo comprato vestiti nuovi e mi ero liberata di ogni altro indumento. Viaggiavo con un coltellaccio da cucina dentro all’impermeabile, perché non ero riuscita a procurarmi niente di meglio.
Non poteva trovarmi. Ero assolutamente certa di non essere stata seguita. Avevo persino prenotato la crociera con un nome falso. Ora ero imboscata in un bar proprio accanto al pontile, nel separé più buio e riparato. Dalla finestra potevo tenere d’occhio le operazioni di carico della nave. Il bar era deserto, perché aveva appena aperto, ed ero stata subito servita.
Mi sentivo persa, senza Ricky. Abbandonarlo adesso era stato doloroso. Quanto avrei desiderato vederlo entrare da quella porta, come era accaduto a Alain con Julie.
L’avevo rivisto ancora una volta, quando gli avevo portato Matisse. Volevo che capisse che sarei tornata, non era assolutamente un addio. Lui era deluso, anche se aveva cercato di nasconderlo.
Fissavo il cellulare posato sul tavolo, e cercavo il coraggio di fare quel numero. Dovevo essere io, Alain e Ninni non potevano, non erano soli.
Il telefono suonò a lungo prima che qualcuno rispondesse, ma io attesi con pazienza.
“Pronto?”.
Riconobbi la voce all’istante, e quasi scoppiai a piangere.
Parlai in spagnolo.
“Sei Pablo?”.
“Papà non c’è, non è ancora tornato, e anche mia madre è fuori. È meglio che chiami più tardi”.
“Sei vivo”, mormorai.
Un attimo d’incertezza.
“Non so di cosa stia parlando, signora. Chiami più tardi”.
“Rodrigo ti ringrazia, per quello che hai fatto per lui”.
La voce divenne più agitata.
“Non l’ho visto, non so dove sia. È da ieri mattina che non lo vedo”.

6Sorrisi.
“Hai fatto la cosa giusta. Non avrai a pentirtene, te lo prometto”.
Quelle parole mossero qualcosa dentro di lui, perché scoppiò a piangere.
“È morto! Rodrigo è morto, non c’è più!”.
“Ti ha lasciato andare”.
Lo sentii singhiozzare. Mi pareva impossibile che il killer avesse mantenuto la parola. Gli aveva davvero risparmiato la vita.
Pablo non sapeva chi fossi, ma aveva troppo bisogno di confidarsi con qualcuno.
“È ancora là! Io sono scappato e l’ho lasciato là! Lo stanno cercando!”.
“Hai fatto bene. Era la cosa giusta da fare”.
“No, non lo era! È… orribile! Papà… stanno dando la colpa a lui! Lo vogliono licenziare!”.
Dapprima non capii cosa intendesse dire, che c’entrava suo padre?
Pablo lo spiegò.
“Hanno trovato delle tracce nel bagagliaio, e ora l’hanno portato alla polizia. La mamma è andata con lui”.
Rimasi a bocca aperta. Non mi ero resa conto che era proprio il padre di Pablo l’autista dell’auto su cui era scappato Rodrigo.
“Sistemeremo tutto, sta’ tranquillo”.
“Devo dire la verità! È tutta colpa mia!”.
“No, no, non dire niente a nessuno. Ti prometto che tutto verrà sistemato. Non avrai a pentirtene, ricordi? Tutti i tuoi sogni si realizzeranno”.
“Come? Chi è lei?”, balbettò.

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7Avevo detto fin troppo, ma quel ragazzo era disperato.
“Rodrigo ti vuole ringraziare per quello che hai fatto per lui, e ti assicura che manterrà le sue promesse”.
“Rodrigo è morto! Era solo… uno stupido! Non poteva fare niente!”.
“Chi lo sa, Pablo, chi lo sa”.
“Chi è lei?”.
“Non dire niente a nessuno, Pablo. Non dire dove si trova Rodrigo, né quello che è successo. Continua a dire che non l’hai visto. E non preoccuparti per tuo padre, sistemeremo anche quello”.
“Ma cosa devo fare?”.
“Devi aver fiducia, Pablo. Fiducia in Rodrigo. Accadrà quello che lui aveva previsto”.
Scoppiò di nuovo in lacrime.
“Si è ucciso per colpa mia! L’ha fatto per me!”.
“Qualunque cosa ti dicano, ricorda queste parole: Rodrigo non è morto. Rodrigo non morirà mai”.
Poi riattaccai, perché avevo detto fin troppo. Soppesai il cellulare, studiando se fosse il caso di liberarmene. L’avevo appena comprato e avevo fatto quell’unica telefonata. Era possibile che il telefono di Pablo fosse sotto controllo? Mi rendevo conto che stavo diventando paranoica, ma la situazione mi giustificava.
Gettai un’occhiata dalla finestra. Le operazioni di carico erano quasi concluse, presto avrebbero iniziato a imbarcare i passeggeri.
Raccolsi le mie cose, poi, mentre mi stavo alzando, suonò il cellulare. Mi paralizzai e lo guardai quasi fosse uno scarafaggio.
Non era possibile. Nessuno conosceva quel numero. Nessuno poteva averlo scoperto. Oppure sì?
Tutte le mie certezze crollarono all’istante. Se l’assassino aveva quel numero voleva dire che era in grado di rintracciarmi. Qui, adesso, e ovunque fossi.
Continuava a suonare.
Cercai di ragionare. Se poteva rintracciarmi perché mi stava mettendo in guardia, allora? Che significato aveva?
Guardai il numero che era apparso, ma non lo conoscevo. Era un numero di Cannon Rocks, però, corrispondeva a un telefono fisso.

8Dovevo rispondere, non avevo altra scelta.
“Pronto?”.
“Oh Susan, meno male che ti ho trovata!”.
Restai senza fiato e faticai a ritrovare la voce per rispondere.
“Ricky? Come fai ad avere questo numero?”.
Lui scoppiò a ridere.
“Non lo conoscevo, infatti. Me l’ha dato tuo fratello”.
Non avevo fratelli, ero figlia unica, e se anche l’avessi avuto non avrebbe potuto avere comunque quel numero.
“Dov’è?”.
“Qui! Ti ha fatto un’improvvisata, è appena arrivato dall’Argentina. È rimasto molto deluso quando gli ho detto che eri partita. L’ho fatto venire da me, non sapeva dove andare”.
Crollai a sedere.
“È lì? Adesso?”.
“Gli vuoi parlare?”.
Scossi il capo decisa, anche se lui non mi poteva vedere.
“Sperava tanto che tu non fossi ancora partita. Dove ti trovi?”.
La sconfitta totale, assoluta. Era inutile fuggire, non ne ero in grado. Ero troppo vulnerabile, quel bastardo sapeva bene dove colpire.
Ecco perché aveva lasciato in vita Pablo, perché sapessi che lui manteneva le sue promesse, ero soltanto io a interessargli. E avrebbe risparmiato anche Ricky se fossi andata a incontrarlo.
“C’è qualche problema?”.
Mi feci forza e cercai di sembrare allegra.
“No, non sono ancora partita. Tornerò subito, diglielo pure. Sarò lì entro un’ora”.
Ricky era felice, non certo per il mio presunto fratello, quanto per il fatto che stavo per tornare e mi avrebbe rivista.
“Vieni direttamente da me, ti aspettiamo qui”.
Poi abbassò la voce: “Devo dire che hai un fratello davvero simpatico”.
Il mondo si stava accartocciando tra le mie mani, la catastrofe stava assumendo proporzioni spaventose.

9Ecco Ninni
Ilaria stava facendo la chemio. Non mi avevano fatto entrare. C’era la paura nei suoi occhi, una paura costante, che non riuscivo a mitigare. Tutta la forza che finora l’aveva sostenuta si stava sgretolando.
Quando rimasi solo, seduto nella saletta d’attesa, presi il cellulare e iniziai a giocarci.
Non vedevo più alcuna speranza, alcuna salvezza. Sentii la loro mancanza, un dolore quasi fisico, più forte che mai. Erano dall’altra parte del globo, non potevo raggiungerli, probabilmente non li avrei rivisti mai più. Ma sentivo il bisogno di parlare con loro, di dirgli ancora una volta che li amavo. I miei figli.
Ormai niente aveva più importanza, era inutile mantenere il segreto. Avevo la certezza che quel killer non si sarebbe fermato finché non ci avesse uccisi tutti. Poteva essere l’ultima occasione.
Smisi di tergiversare e composi il numero.
Risposero quasi subito, in coreano.
“Pronto?”.
“Hohung? Mi chiamo Lang, sono un cugino di Yong-ho Hwangbo. Ho saputo solo ora della tragedia. Purtroppo abito molto lontano da lì”.
“Oh, signor Lang! Una tragedia, sì. Una cosa orribile. Chi può aver fatto del male a persone così buone! Mia sorella…”.
“I bambini come stanno? Come l’hanno presa?”.
“Oh poveretti! Non è stato facile per loro. Hanno sofferto molto”.
“Potrei parlare con Sang? È lui il maggiore, vero? Vorrei fargli le mie condoglianze”.
“Oh no, mi dispiace, signor Lang. I ragazzi non sono qui”.
Quasi mi sfuggì il cellulare, mentre un brivido mi attraversava la schiena.
“Dove sono? Credevo li avrebbe accolti lei!”.
“L’avrei fatto con piacere, ma non hanno voluto. Hanno detto che non sono adatta”.
“Chi l’ha detto?”.
Avevo quasi urlato, perché mi sembrava di impazzire.
“Lo stato. I giudici. Non lo so. Sono venuti a prenderli. Hanno parlato di un istituto”.
Un orfanotrofio? I miei figli in un orfanotrofio? Non era possibile!
“Non è venuto uno… straniero, a parlare con lei? A chiederle di loro?”.
“Straniero? No, non ho mai visto nessuno straniero. Che significa?”.
Non riuscivo a ragionare. Mormorai una scusa confusa e chiusi la comunicazione.
Avevo mandato Brandi a occuparsi di loro! Com’era possibile che fossero stati portati via, messi in chissà quale istituto? Che stava succedendo?
Feci il numero di Brandi e attesi. Attesi e attesi, ma nessuno rispose, e neppure partì alcuna segreteria telefonica. Alla fine cadde la linea. Era fuori portata? Magari stava atterrando? Sarebbe dovuto arrivare proprio quella mattina, se…
La verità mi colpì come uno schiaffo.
…se fosse partito! Se si fosse allontanato dall’Italia. Se fosse davvero andato in Corea! Ma a questo punto iniziavo a dubitarne. Non aveva fatto nulla per i miei figli, non c’era nulla a dimostrare che fosse partito, eccetto la sua parola. Non aveva fatto nulla per proteggere Manuel, Susan e Alain. Le uniche guardie del corpo che aveva mandato erano qui in ospedale. Le potevo vedere camminare avanti e indietro nel corridoio, e stavolta non le trovai affatto rassicuranti.
Cosa stava succedendo? Erano qui per proteggermi o per tenermi prigioniero?

10Ecco Alain Giusti
Julie aveva uno strano sorriso.
“Te la sei presa, vero?”.
In realtà non sapevo neppure io cosa provare. Il desiderio più forte era quello di saltarle addosso e riempirla di baci, ma mi rendevo anche conto che la sua presenza al mio fianco forniva all’assassino un’arma in più con cui ricattarmi. Proprio come aveva fatto con Rodrigo e adesso stava facendo con Susan.
Ero rimasto in silenzio troppo a lungo e lei si stava preoccupando.
“Avrei dovuto lasciarti andare?”.
“Quando l’hai deciso?”.
“Deciso cosa? Cosa c’era da decidere? Davvero hai pensato che mi sarei fatta da parte e ti avrei permesso di scappare?”.
Per questo era andata via così presto, il pomeriggio prima, per organizzare tutto quanto.
“Era tutto preparato… Ieri sera. Mi hai preso in giro”.
“Anche tu non hai fatto altro che mentire. Te lo meritavi”.
“Io…”.
“Non penserai che abbia creduto per un solo istante che tu avessi un’altra!”.
“Che idea ti sei fatta, allora?”.
Stavolta fu lei a restare in silenzio qualche secondo.
“Che hai paura. Che sei terrorizzato. Che stai fuggendo”.
Era incredibile come riuscisse sempre a leggere dentro di me, talvolta mi spaventava questa sua capacità.
“E sei venuta lo stesso?”.
“Non fare l’idiota!”.
“È pericoloso”.
“Lo so. E allora?”.

11Tirò un lungo sospiro e aggiunse: “Intendi raccontarmi qualcosa o devo continuare a tirare a indovinare?”.
“Non posso”.
“Stronzate! Non vuoi, è diverso”.
Aveva ragione lei, ancora una volta.
“Senti, ti conosco più di quanto tu voglia ammettere. So ogni cosa di te, persino quello che pensi. So dove passi ogni minuto del tuo tempo, anche perché per la maggior parte lo passi insieme a me. Allora, in che guaio ti puoi essere cacciato? Non ti droghi, non bevi, non troppo almeno. Non hai altre ragazze. Non hai bisogno di soldi. Non puoi aver fatto niente che ti abbia cacciato in questa situazione”.
Era un’analisi perfetta, non lo potevo negare.
“Che situazione è, in definitiva? Cosa vogliono da te?”.
Fino a che punto dovevo essere sincero? Era giusto che Julie si rendesse conto del pericolo che correva.
“Mi vogliono uccidere”.
Non ebbe alcuna reazione evidente, segno che aveva considerato anche questa ipotesi.
“E potrebbero fare del male anche a te, se ti trovassero insieme a me”.
Anche questo doveva averlo preventivato, perché non la colpì.
“Non si può fare niente? Voglio dire, non puoi fare qualcosa per fargli cambiare idea?”.
“Non so chi sia”, ammisi.
Inarcò un sopracciglio.
“Non sai chi ti vuole uccidere? Come fai a essere certo che ti voglia uccidere realmente?”.
“Ha già ucciso altre persone. Persone che… erano legate a me”.
Ora l’avevo scossa.
“Un serial killer?”.
Scossi il capo. “Un killer a pagamento. Ma non è lui il problema. Non ho idea di chi ci sia dietro”.
“Pazzesco!”, ammise Julie. “Sembra di essere entrati in un libro giallo. Sei sempre pieno di sorprese, tu!”.

12Mi strappò un sorriso.
“Dove stai andando, adesso?”.
Alzai le spalle.
“Non lo so. Via. Lontano il più possibile. Cerco di sfuggirgli”.
“Non a Roma? Era una bugia?”.
“All’inizio volevo andare a Roma, ma ora non sono più sicuro che sia la scelta giusta”.
“Immagino che non ci sia nessun amico di tua madre. Te lo sei inventato”.
“C’è… un’altra persona di quella lista”.
“La lista del killer?”.
Annuii.
“Chi è?”.
“Uno ricco, importante. Credevo che avrebbe potuto proteggermi, ma ora non ne sono più sicuro”.
“Vogliono uccidere anche lui?”.
“Sì”.
“Ma lui non scappa”.
“Non può. C’è sua moglie in ospedale. È molto malata, sta morendo. Non può lasciarla”.
“E chi è?”.
A che serviva mentire ancora, al punto in cui eravamo?
“Si chiama Ninni, è un finanziere”.
“Lui ti conosce?”.
Tecnicamente i nostri corpi non si erano mai incontrati, ma…
“Meglio di te”.
“Accidenti! E non sapete chi vi voglia uccidere, dici. Però lo sapete il perché?”.

6Altro punto dolente, non ne avevo proprio idea. Scossi il capo.
Julie era perplessa. Restò pensosa per qualche istante.
“Però qualcosa accomuna tu, questo Ninni, e quelli che sono stati uccisi, vero? Avete qualcosa in comune. Qualcosa che vi dà la certezza di essere in pericolo”.
“Sì”.
“E non vuoi dirmi cosa”.
Feci una smorfia. Sapevo bene come sarebbe andata a finire, e forse sarebbe stato meglio così.
“Te lo dirò, ma dopo mi odierai”.
“Hai fatto qualcosa di brutto? Di molto brutto?”.
“Tu la penserai così”.
“E tu no?”.
Cercai di essere sincero, ma non era facile.
“Io non me lo sono mai chiesto. L’ho fatto e basta. Non mi sono chiesto se era male. Non ho pensato che lo fosse, mentre lo facevo”.
“Ma hai fatto del male a qualcuno? Si tratta di una vendetta?”.
“Non lo so”.
“E quando è successo?”.
“Da sempre, immagino. Da quando sono nato”.
Fece un sorriso malizioso.
“Ti diverti a parlare per enigmi. Vuoi proprio fare il misterioso”.
“Non ti ho detto tutto di me. Ti ho taciuto molte cose”.
“Questo ormai l’avevo capito”.
“Le ho taciute a tutti. Non le ho mai dette a nessuno”.
“Quindi io sarei la prima? Devo sentirmi lusingata?”.
“Non mi crederai. Mi riderai in faccia. Dirai che è impossibile”.
“Lascia che sia io a decidere”.
“Io ho… una capacità”.

4Di nuovo inarcò un sopracciglio.
“Che vuol dire?”.
“Che ho qualcosa in più. Qualcosa di diverso. Qualcosa che gli altri non hanno”.
“Tu… e i tuoi amici?”.
“Lascia perdere loro. Ti sto parlando di me, adesso”.
“Va bene, va bene. Di che capacità si tratta?”.
Stavo per svelare un segreto custodito da sette secoli, e pure a caro prezzo, ma non mi importava. Tanto non era più un vero segreto, qualcun altro doveva esserne per forza a conoscenza.
“La telepatia. Io sono telepatico”.
Mi guardò a bocca aperta, poi di colpo si mise a sorridere.
“È questo? È tutto qui il tuo segreto? Io personalmente non ci ho mai creduto, ma il mondo è pieno di gente che afferma di avere lo stesso dono. Non vedo cosa ci sia di spaventoso”.
Poi studiò la mia espressione e tornò seria.
“Non è soltanto questo, vero?”.
Sospirai.
“No, non è soltanto questo”.
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33 pensieri su “Ecco Ninni VI

  1. Un capitolo meglio dell’altro.
    Questo, poi, mi sembra particolarmente sofferto.
    I dialoghi splendidi tanto che sia mentalmente, che alcune volte a voce alta, mi sono intromessa nella discussione.
    Bellissimo e sofferto.
    Si vede, si legge. Poi, ho scoperto che guardando le foto che hai inserito (bellissime) stai affrontando la “concezione” di solitudine.
    Già.

    Allora mi chiedo, dopo aver riletto tutto per essere più sicura.
    Ci sono due modi per sentire la solitudine:
    -il primo e sentirsi soli al mondo (e nel nostro caso hai buttato l’amo, per svariati motivi)
    -il secondo e avvertire la solitudine del mondo (e nel tuo caso hai buttato molti ami!)
    O c è ne una terza che non mi sovviene?

    Si è solitari quando fisicamente si è soli lontano dai nostri simili?
    Oppure la solitudine può essere benissimo stare fisicamente dentro una folla, ma sentirsi soli, completamente e estranei oppure abbandonati (nel caso di Ninni inseguito dal Killer?).

    Scappo mon trésor..
    Bisoussssss

    Annelise

    🙂

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    • – Sto ascoltando:
      – LORRIE MORGAN –
      ___________________
      * Letting go slow
      (Adesso) – Is it raining at your house?
      – Strange
      – Something about trains
      – What l’d say
      – Lonely whiskey
      Sospendemmo il Voi, grazie

      Cara Annelise
      Io ritengo che entrambi i “tipi” di solitudine che proponi rientrino coerentemente con un’attitudine (o logica, se vogliamo essere più drastici) che si è andata sviluppando negli ultimi 150 anni circa e che trova oggigiorno il suo apice: la scissione tra individuale e collettivo.
      E proprio su questa che sto lavorando, ovvero, nella sua misura antropo sociale.
      Grazie per esserci

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  2. Io credo che, a prescindere da tutto, la solitudine faccia parte dell’indole umana o almeno ne è una grossa componente.
    Il capitolo è proprio superlativo e in forma relativistica affronta l’essere per l’essere e non l’essere per il credere.
    Cosa che porta le persone alla solitudine decisoria e alla solitudine psichica.
    Come potrebbe essere altrimenti?
    Doversi districare da situazioni che sono pericolose e non poterlo urlare per il bisogno dell’aiuto fine a se stesso.
    Un bel capitolo Milord.
    Proprio bello.
    Ciao

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      Sospendemmo il Voi, grazie

      caro Francesco
      Nella analisi al sistema tecnico di una società, una questione di stampo esistenziale (Non tanto una filosofia della vita, ma un modello di condizioni di vita basato sui rapporti sociali) che oggi posso considerare la causa prima dell’individualismo radicale, parte da una logica ormai globale, che si conclude in quella che tu chiami solitudine, sia essa una solitudine nei confronti di se stessi o nei confronti del mondo che ci circonda (Vagamente mi ricorda il binomio Angoscia/Disperazione in Kierkegaard, e se, come tu dici, hai fatto o continui a fare esperienza della solitudine, non potrai fare a meno di non percepire alle sue radici uno stato di angoscia o di non cadere nella disperazione).

      Ciao e grazie

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      Sospendemmo il Voi, grazie

      Caro Gianluigi
      Ti ringrazio per l’espressione generosa.
      in effetti mi sono basato, molto, sull’umanità.
      Ciao e buona giornata

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  3. Questo capitolo è veramente bello. I primi enigmi stanno per essere chiariti. Realismo e fantasia vi si fondono alla perfezione affrontando un tema importante. La libertà più che la solitudine. Il killer è visto, ben guardando oltre alla trama, come un elemento che, oltre a incutere timore, impedisce a tutti i protagonisti di condurre l’esistenza desiderata. Un imprevisto che, di prepotenza, porta alla solitudine, a scelte sofferte, alla rovina.
    La telepatia è un elemento a sorpresa e molto gradito.
    Bella storia Milord e belle foto. Splendida quella della persona seduta sul burrone.
    Bravo Bravo!!!!!!!!!!!!! Aspetto il seguito con grandissimo interesse. Allora cosa sarà successo a monte?
    Buona giornata!😊

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      Sospendemmo il Voi, grazie

      Cara Nadia
      Già, ho puntato molto sul binomio principale che coniuga realismo e fantasia. L’esistenza di un Killer, quale inconcepibile elemento che ferma lo scorrere naturale del proprio futuro e dei relativi futuri ad esso connessi, rappresenta una diacronicità del quotidiano alla quale siamo abituata, nel senso odierno, proprio in virtù dei nostri tempi di crisi.
      Quindi una naturale prosecuzione e sottotraccia della solitudine intesa come sistema.

      Con questo non voglio dire che la solitudine esista soltanto come sottoprodotto; di certo essa è sempre esistita, sia in modo sociale, sia patologico.
      Ma il fatto che gli “interessi” siano ciò che muove la nostra società (Italiana e in parte anche mondiale) deve avere una ricaduta sui membri stessi della società, i singoli cittadini, gli esseri umani. Questi “interessi” si palesano come un filtro in ogni nostro rapportarci, inquinando la genuinità di ogni rapporto intersoggettivo.

      La scissione tra individuale e collettivo che ho fatto presente all’inizio e che si trova essenzialmente nella forma alienata del vissuto quotidiano e nell’alienazione del valore di scambio (proprietà relazione e sociale, intrinseca) riduce l’essere umano a semplice merce nell’orizzonte dei rapporti interessati e trova oggi più che mai, a mio avviso, una spiegazione a quella che è la (nostra in senso lato) solitudine.
      Sembrano parole al vento, ma se in famiglia (come in moltissime altre) c’è chi soffre di depressione (figlia della solitudine), ciò accade specialmente per tali motivi.
      Nella fattispecie esiste il bandolo di una matassa rappresentata dalla ricerca ad una soluzione che sembrava inattaccabile e che grazie ad un elemento, di per sé distruttivo ed enfatizzante (il Killer), modifica peggiorando quello status, iniziale, di quotidianità nella solitudine.

      Grazie per esserci e buona giornata

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      – What l’d say
      – Lonely whiskey
      Sospendemmo il Voi, grazie

      Grazie, cara Eleonora e mi conforta leggerti e leggere l’attenzione che metti in ogni commento, considerata la tua giovanissima età.
      Un’età che ti vorrebbe con amiche, nei flash mod, nella Youtube mania e non a discutere di argomenti antropo filosofico sociali.

      Sei preziosa e come ti dissi, fin dai primi tempi della tua frequenza presso questo umile spazio web, quando scrivevano anche i tuoi genitori, la società ha bisogno di persone che, come te, possa risolvere l’aridità cardiaca in cui siamo piombati.
      Ciao e grazie

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      Cara Giorgia,
      le emozioni, in quanto tali, non sono rettificabili o indirizzabili.
      Rappresentano quella parte importante che definisce il nostro senso umano.
      Grazie per la tua premura.
      Cordialità

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  4. Un capitolo impegnativo e molto, da scrivere, immagino. la storia deve essere svolta al meglio e come tuo costume, caro Ninni, non ci stai lesinando la genialità letteraria.
    Molto bello e soprattutto, a quanto leggo, anche molto sentito come passaggio.
    Bisognerebbe usare, però, dei sistemi strumentali complessi perchè sei riuscito a nascondere, e bene, il motivo profondo.
    Riesci a rendere naturali i dubbi e le malsanità umane.
    Ti leggo, amico mio.
    Ciao

    Enrico

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      Caro Enrico,
      quei sistemi complessi ai quali fai riferimento, ritengo che, in verità siano molto semplici.
      Non sto parlando di empiricità, ma di relativismo emozionale positivo.
      La positività, però, in quersto caso non è legata ad una forma di reazione, bensì all’unica opposizione al nichilismo radicale.
      ne consegue che, nell’alveo di querl positivismo, possiamo trascendere da negazioni o facili entusiasmi.
      Basta esserci, soffrire, piangere e sorridere durante “l’attimo”.
      Ti ringrazio e buon lavoro

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  5. Ed ecco… il Milord! In questo caso, davvero strepitoso (come nei precedenti, peraltro). La telepatia mi affascinò e questo é dir poco; ma tutto scorre a meraviglia, ca va sans dire. Un’opera d’arte, letteratura, e altro ancora. Molto altro.
    Radiosity.
    (Alex Alliston si fece vivo per dirmi che intende pubblicarvi).

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      Cara Alessandra
      Ti ringrazio, come sempre, per l’espressione generosa.
      La telepatia, già. E’ strettamente connessa a quell’andamento sociale che ho impostato fin dall’inizio. La solitudine in condizione estreme e non rapportabili all’essere umano.
      un po’ come un matematico, mi sono posto il problema del se.
      Ovvero quel sistema di pensiero (uno dei pochi da me accettati) britannico che nasce dal binomio “If … than.

      In sintesi, Kant affermava che l’uomo non è mai un mezzo, ma sempre il fine. Come posso, dunque, non sentirmi un mezzo (particolare) di un ingranaggio più grande (universale), al quale però non faccio minimamente riferimento nel mio essere uomo? (in una profonda scissione).
      lavorare su questi temi, mi affascina, dandomi quella soddisfazione di base, in un mare del nulla che, al momento, rappresenta la nostra società.
      Ecco perché tento di analizzare per assurdo.

      Grazie per esserci

      PS: Alex Alliston? Beh, spero tu lo convinca a desistere da tali decisioni: non valgo la pena di essere pubblicato da una Casa Editrice di tale spessore.
      Ciao

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  6. La più pesante e profonda solitudine, con qualsiasi identità si possa identificare il protagonista.
    Solo, senza conforto, solo nelle decisioni che, terribili, deve prendere.
    Anche in questi frangenti si premura di trovare e compiangere gli affetti più profondi: la moglie Ilaria, i figli coreani, l’amico abbandonato dopo il suicidio.
    E con tutto questo disperarsi, rimane ancora solo, divagando con se stesso.
    Assistiamo, quindi, alla nascita di un nuovo tipo di solitudine “profonda”, staccata da altri eventuali tipi di solitudine superficiale?

    Questo capitolo ci ha dilaniata mio signore.
    Conveniamo sull’opera d’arte.
    Buongiorno milord.

    Lilly

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      Cara Lilly,
      innanzi tutto ti ringrazio per le espressioni veramente gentili e per l’attenzione.
      Io credo che infiniti altri fattori particolari contribuiscono ai vari tipi di solitudine possibile; nemmeno io ho approfondito determinati discorsi, come la matrice biologica degli interessi, per non dilagare ulteriormente.

      Ma la mia posizione permane sulla genesi sociale dell’ “attitudine alla solitudine”.
      Non ho propriamente risposto alla tua domanda, ma trovavo opportuno affrontare un discorso sulle origini moderne della solitudine, e perdonami se sono stato impreciso o non ho argomentato adeguatamente, ma è una riflessione più che una struttura filosofico-sociale.
      Grazie e ciao

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  7. L’estraniazione non è solitudine. La solitudine richiede che si sia soli, mentre l’estraniazione si fa sentire più acutamente in compagnia di altri.
    Il trionfo dell’essere, contro l’annichilimento delle situazioni.
    Molto bello milord.
    Molto vero.
    Quando vengo a leggerti rinasco.
    Ciao e buon sabato

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      Cara Elena
      A parte alcune osservazioni di sfuggita – usualmente formulate in tono paradossale, come la frase di Catone: “mai ero meno solo di quando ero solo” o, meglio, “mai era meno estraniato di quando si trovava in solitudine” – sto proprio propugnando la distinzione tra estraniamento e solitudine.
      Una scoperta in un certo senso, per me, accidentale, dato che il mio interesse era rivolto principalmente non alla solitudine o all’estraniazione, bensì all’essere da solo nel senso dell’indipendenza assoluta.
      Per cui l’uomo estraniato si trova circondato da altri con cui non può stabilire un contatto o alla cui ostilità è esposto.
      L’uomo solitario, invece, “può essere insieme con se stesso“, perché gli uomini hanno la capacità di “parlare con se stessi“.
      Nella solitudine, in altre parole, sono con me stesso, e perciò “due-in-uno“, mentre nell’estraniazione sono effettivamente uno, abbandonato da tutti!

      Grazie Elena per esserci. Buon sabato

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  8. Che bel capitolo, milord! Scorre veloce, nonostante la corposità, grazie ai fitti dialoghi che fanno intravedere qualche spiraglio. ma presto si torna nel buio della trama, alla ricerca di quel qualcosa capace di restituire vita a chi sa che sta scivolando ancora una volta. La solitudine, sì, filo rosso che unisce tutti i protagonisti, capaci di leggere le menti altrui, ma soli nell’affrontare la fine. E se gettassimo uno sguardo alla nostra attuale società, tecnologicamente avanzata, controllata, spiona e spiata, globalmente unita da miriade di scintillanti fibre, ci accorgeremmo come lo spettro della solitudine e di estraneità sia già con noi. Buon sabato sera.Non mancherò all’appuntamento domenicale.

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    • Cara Marirò

      Grazie per il commento, come costume, sempre elegante e soprattutto proprio.
      La solitudine e come detto l’estraniazione (che comprende, poi, anche gli effetti della società.

      La riflessione, in senso stretto, si svolge in solitudine ed è un dialogo fra me e me; ma questo dialogo del “due-in-uno” non perde il contatto col mondo dei suoi simili, perché essi sono rappresentati nell’io con cui conduco il dialogo del pensiero.
      Il problema della solitudine è che questo “due-in-uno” ha bisogno degli altri per ridiventare uno: un individuo non scambiabile, la cui identità non può mai essere confusa con quella altrui. Per la conferma della mia identità io dipendo interamente dagli altri; ed è la grande grazia della compagnia che fa del solitario un “tutto intero”, salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l’identità che gli consente di parlare con l’unica voce di una persona non scambiabile.

      La solitudine può diventare estraniazione; ciò avviene quando, chiuso completamente in me stesso, sono abbandonato dal mio io. I solitari corrono sempre il pericolo dell’estraniazione, quando non possono più trovare la grazia redimente della compagnia che li salva dalla dualità, dall’equivocità, dal dubbio.

      Gazie mia signora e buona domenica

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  9. Ho letto tutto e devo dire che concordo con la maggioranza dei commenti e delle tue risposte soprattutto.
    Mi astengo dal commentare perché aspetto domani!
    Ciao Milord.
    Dalla partenope Capitale,

    Dudù

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