Il silenzio di Euridice

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Si avvicinava lentamente, scendeva quasi barcollando cercando con gli occhi tra quell’oscurità un appoggio per i suoi occhi chiari.
Era spaventata, come se fosse stata dentro un sogno che bagna il cuscino e fa tremare il cuore.
Era bella, la vedevo da quaggiù, aveva ancora la corona di fiori tra i capelli, sciolti e scomposti.
Si fermava e poi riprendeva guardando sempre indietro come potesse vedere il punto da cui era entrata, come se potesse vedere quel punto di luce che aveva abbandonato.

Ma era impossibile scorgerlo

Tutti si scostavano per lasciarla passare, e la guardavano senza parlare perché non si confondesse, perché non provasse più emozioni di quelle che stava sentendo.
La malinconia nei suoi occhi me la rese subito preziosa.
La presi per mano e la accompagnai davanti ad un rivolo, dove istintivamente si specchiò, e i suoi occhi la videro bella più di come ricordavano nella luce.
Aveva il sorriso spento ma gli occhi ancora accesi, e sfiorò l’acqua ma non sentì altro che vento fresco.
I mille cerchi che quando era lassù ripetevano all’infinito la sua immagine, non trovò qui, perché solo fumo era il freddo delle sue mani al contatto con quel fiume.
Ma non tremarono i suoi occhi quando incntrarono i miei.
E si rasserenò.
Mi parlò dei profumi che aveva lasciato lassù, di un amore caldo e dolce, del canto e dei suoni che la svegliavano quando l’alba tornava a destarsi.
E dai suoi racconti compresi perché lì ancora stavano versando lacrime di dolore al cospetto di quel corpo senza occhi accesi, e perché i fiori avevano smesso di ondeggiare e se ne stavano fermi a fissare quel viso senza più dolcezza.
E capii perché lassù il vento, che qui non ha voce, piangeva tra le foglie, nascosto, perché le mani che stringevano quel corpo vuoto non fossero urtate da fremiti.
Forse aveva già compreso dove era stata condotta, perché il respiro non le gonfiava i polmoni e non avvertiva la stanchezza ai piedi.
Le sue mani non avevano pieghe e i suoi capelli restavano sospesi mentre pensava.
Pensava. Ma non le scorrevano giù per le guance gocce di acqua di roccia
E suoi occhi cominciarono ad abituarsi al buio che l’avrebbe circondata, e non c’era niente che le abbagliasse la vista delicata,
niente che le pungesse il cuore quando ricordava. Riusciva ancora a sentire fremere il ricordo.

E non c’era il tempo che sciupava la memoria e che rattoppava a stento le ferite

Non c’era la voce acuta di un dolore che non si placa, non si nascondeva la luna per fare posto a quello specchio di luce.
E il suo sonno era custodito da mille anime vaganti e dalla mia veglia eterna.
Ma sapevo che si sarebbe persa perché lui sarebbe giunto fin qui, a turbare un sonno placido ed eterno, lui altero e fermo, forte della sua voce alta, fiero di essere un eroe che non ha mai combattuto,
ma che ora avrebbe sfidato le ombre.
Lo vedevo agitarsi, di notte, quando le nubi coprivano la luna, perché sapeva che la luce che lo faceva forte, e non c’era luce qui,
e temeva di inciampare e non fare più ritorno ai suoi campi dorati.
Ma lo supplicarono le acque e il vento, le viole e i passeri, e una mattina di sole, quando tutti potevano avvicinarsi per vederlo,
imbracciò la sua forza e venne a riprendere la sua sposa.
La sua sposa che adesso sentiva con chiarezza la dolcezza della morte, e aveva dimenticato che la voce che la teneva in vita, quel sospiro del vento tra le labbra del suo amante era scomparsa,
ma nessuna nostalgia era rimasta dentro la sua anima, adesso, solo adesso così libera e leggera.
Adesso era cosciente di sé, e restava immobile a contemplare un sorriso per caso apparso sulle labbra, adesso era qui, e aveva dimenticato ogni cosa.
Lui iniziò a suonare e le anime che veleggiavano si fermarono per ascoltare le note di pianto che aveva intonato per intenerire colui che non aveva mai fatto un passo indietro.

Il buio diventò impalpabile e lei a quel suono, ricordò ogni cosa

Ricordò l’ultimo bacio nella distesa del campo mentre già i suoi occhi impallidivano.
Per un attimo volle andare a sfiorare quel corpo, ma la sua ombra la trattenne perché era troppo vivo per comprendere lei ora.
Tutto era diventato suono, e lui vinse la sfida, la sua partita: avrebbe potuto riportare a casa il trofeo della sua vittoria.
Della sua bravura, della sua maestria.
Era fiero e guardava dritto negli occhi di fuoco colui che non ama essere fissato, quasi a mostrargli che una forza più grande della sua lo aveva sconfitto.
E tra le mani stringeva quella forza, ma non la sua sposa.
Si guadava le mani e sorrideva.
Ottenne quello che aveva chiesto: lei sarebbe dovuta tornare con lui lassù, nel mondo che aveva dimenticato, nel mondo della vita e della morte,
della felicità e del dolore, delle lacrime e del sorriso.
Felice della vittoria non si voltò a guardarla; certo che anche lei fosse felice, che fosse ancora la sua sposa, che volesse tornare,
e si incamminò.
Conosceva i patti, e li avrebbe rispettati.
Agli ordini del signore non si può disobbedire, e lei mi guardò per l’ultima volta, supplichevole.
Lessi tutta l’angoscia che si era risvegliata in lei, lessi nella sua mano tremante l’ultimo saluto, l’ultimo attimo di pace che stava andando via, man mano che si avvicinava alla soglia,
dove l’attendeva il sole abbagliante che l’avrebbe accecata, dove l’aspettava il fragore che l’avrebbe resa sorda, dove il destino non aveva voluto che fosse, e l’avrebbe torturata, ma non me l’avrebbe riportata.
Le avrebbe riservato una lenta e lunga vita accanto ad un uomo che si specchiava nelle sue mani mentre ondeggiavano sulle corde del suo strumento, accanto ad uomo che non avrebbe più rivisto la luce dentro i suoi occhi e l’avrebbe cercata altrove.
In altri occhi, in altri sorrisi, in altri abbracci
Su quella soglia la attendeva la vita, quella vita che qui era stata lesta a dimenticare e a non rimpiangere e mentre le lacrime ritornavano sul suo volto avvicinandosi alla porta, e il suo stupore cresceva perché aveva dimenticato il sapore acre dei rivoli sulle labbra, lui sentì qualcosa: era l’eco delle lacrime della sua sposa che strisciava contro i muri.

Si fermò

Non riusciva a capire, non voleva girarsi, non poteva credere che la sua musica avesse incantato tutti e non lei, non voleva girarsi, aveva giurato che l’avrebbe riportata indietro e doveva varcare la soglia con lei, o sarebbe stato tutto vano.
Quell’eco di pioggia lo assordava e voleva solo raggiungere al più presto l’uscita, ma con la certezza della sua vittoria.
Chi avrebbe creduto che proprio lei non voleva tornare più?
Era di certo stato lui, incapace, ad averla lasciata lì.
Nessuno avrebbe più ascoltato il principe dell’armonia, nessuno si sarebbe più soffermato ad osservarlo, nessuno più gli avrebbe tributato gli onori dovuti.
Doveva dimostrare che niente era più forte della musica di Orfeo.
E si voltò di scatto per afferrarla.
Ma il pianto era cessato.
Per sempre.

Stretta nel buio dell’attesa,
l’ultimo raggio
del sole di maggio
le si era spento negli occhi,
insieme alla promessa dell’amato.

Ma l’attesa era senza parole,
per non oscurare
con le sue preghiere senza poesia
il canto di colui
che l’avrebbe riportata
dove aveva lasciato gli occhi
pieni di luce.

Restò muta e senza lacrime,
al limitare del giorno,
quando lui si voltò
verso la vita.
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http://www.krennegmcaff.altervista.org/krenneg_mcaff_00000c.htm

27 pensieri su “Il silenzio di Euridice

  1. Un brano bellissimo che canta della disperazione di una donna che muore e vuol rimanere nel regno dei morti vicino a Colui che la ama nel silenzio.
    Bello caro Ninni.
    Ci regali sempre dei brani emozionanti.
    Buona domenica.
    Ciao

    🙂

    (Ho ricevuto la tu mail sul tuo ultimo pezzo sulla Russia: mi è piaciuto moltissimo)
    Ciao

    Annelise

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  2. Una rivisitazione del dramma di Orfeo e Euridice che è affascinante.
    Vista dal punto di Euridice colpisce il sentimento e l’amore per tutto ciò che è stato ritrovato e non perduto.
    Tutto questo è “l’inversoo” di quanto si fa o si dice spesso.
    Sempre guardare oltre la barricata, vero Ninni?
    (Mi sono fatto una bella scorpacciata di musica. ma che bella idea hai avuto..)
    Ciao e buona domenica

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  3. non c’é bisogno di dirti quanto mi sia piaciuto il brano che hai ri-pubblicato.
    Mi ricordo pure il periodo. Hai fatto bene.
    Bisogna evidenziarlo
    Il punto di vista della vittima è un po’ sempre quello che hai raccontato.
    Un punto di vista che nessuno, o quasi, affronta.
    Ciao

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  4. Primavera non è che s’avventuri
    un’altra volta e cinga di tripudi
    un’altra volta i rami seminudi,
    tutti raggiando questi cieli puri?

    Madre Terra, sei tu che trasfiguri
    la vigilia dei giorni foschi e crudi?
    O Madre Terra buona, tu che illudi
    fino all’ultimo giorno i morituri!

    Essi non piangono la sentenza amara.
    Domani si morrà. Che importa? Oggi
    sorride il colco tra le stoppie invalide…

    Tutto muore con gioia (Impara! Impara!)
    E forse ancora s’apre contro i poggi
    l’ultimo fiore e l’ultima crisalide.

    Mi è venuta in mente questa poesia di Guido Gozzano, vecchie reminiscenze scolastiche, e sono riuscita a trovarla.
    Il sentimento e l’amore trovato e ritrovato dietro tutto quello che sembrava perduto.
    Siete un mago, milord.
    Buona domenica

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  5. Stiamo parlando di un pezzo che ha una espressività eccezionale.
    La forza del sentimento e la passione struggente per tutto quello che è amore.
    Sotto ogni aspetto o forma.
    Molto bello milord. Lo avevo letto, già, da un’altra parte e so il successo che ha avuto.
    Ti lascio un bacio e una carezza

    Buona notte

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  6. Una rivisitazione intelligente e sicuramente umana, nell’evoluzione, come nella debolezza.
    L’evoluzione imprevista dove il sentimento ha la meglio.
    DSa qualsiasi parte arrivi.
    Molto bello

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  7. Bella proprio.
    Mi ha presa.
    Certo che il sentimento che ne è nato era inaspettato. Come si può immaginare, infatti, che l’amata si innamori dell’amore nuovo. Di un amore molto differente rispetto a quello che si immagina.
    Bello come sempre mio milord.

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  8. Una bellezza affabulatoria che ti contraddistingue, caro Ninni. Quella stessa bellezza affabulatoria che sperimentammo, qualche annetto fa, proprio qua a Torino.
    Se ti ricordi, eravamo impegnati a mettere su carta alcune impressioni sulla vita politica italiana e tu proponesti:
    ma perché non la raccontiamo dal punto di vista del cittadino che, ora come ora, deve soltanto subire?
    Fu un trionfo!

    Ciao Nì (Visto? Mi adeguo anch’io).

    Max dalla ‘scrivania forzata’.

    🙂

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  9. Devo convenirne con gli altri suoi lettori: l’approccio con la storia di Orfeo ed Euridice pone in evidenza l’importanza della donna su l’uomo e non come la conosciamo attraverso i classici.

    Il suo leggere e vedere la medesima narrazione, a mio avviso, è migliore e più soddisfacente, anche se, e qui lo dco per onestà, il rimaneggiamento di un classico è sempre operazione ardua.
    A lei è riuscito benissimo.
    Sono andato, anche, a leggerlo sul suo sito letterario e con la magnificenza dell’approntamento visivo, secondo me, rende ancora di più l’idea che lei ci propone.

    Congratulazioni e buona serata

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